Tratto dal sito di Stan Hall : Tayos Gold Library
Salesiano , Padre Carlo (Carlos) Crespi Croci nato in Legnano, Italia il 1891 , ha dedicato la sua vita in Ecuador dal 1923 al 1982.
Educatore , Antropologo , Botanico , Artista , Esploratore , Fotografo , Umanitario e Musicista un’insondabile ricchezza di talenti e di benevolenza riconosciuta dalla popolazione che a sua memoria hanno eretto una statua a Cuenca.
Dopo l’incontro con Padre Crespi , Stan Hall dichiara ad un amico : “Se mai mi sono sentito alla presenza d’un Santo Padre , è stato con Crespi!”
Tratto dal sito : www.qumran2.net
Carlo Crespi Croci nasce a Legnano (Milano) il 29 Maggio 1891 da Daniele Crespi e Luisa Croci. Carlo è il terzo di tredici figli. Come Giovannino Bosco, fin da piccolo fu ricolmato dal Signore di grandi doni: intelligenza, generosità e volontà. Dopo aver frequentato una scuola locale, a dodici anni incontra i salesiani presso il Collegio sant’Ambrogio di Milano, dove completa gli studi ginnasiali. “Quando studiavo al Collegio – racconta don Carlo – la Vergine mi mostrò un sogno rivelatore: …mi vidi vestito da sacerdote con una lunga barba sopra un vecchio pulpito, mentre predicavo di fronte a tanta gente. Il pulpito però non sembrava una chiesa, ma una capanna…”.
Nel 1917 fu ordinato sacerdote. All’Università di Padova scoprì l’esistenza di un microorganismo finora sconosciuto, destando per questo l’interesse degli scienziati. Nel 1921 ricevette il dottorato in Scienze Naturali, e in seguito il diploma di Musica. Nel 1923, seguendo la via mostratagli dalla Vergine, partì in missione per l’Ecuador.
Sbarcò a Gayaquil e si diresse a Quito; subito dopo si trasferì a Cuenca, dove rimase per tutta la vita. Iniziò il suo enorme lavoro per i poveri: fece installare a Macas la luce elettrica, aprì una Scuola Agricola a Yanuncay, e per questo fece arrivare dall’Italia macchinari e personale specializzato. In questo modo riuscì ad aprire numerosi altri laboratori, creando la prima Scuola di Arti e Mestieri, riconosciuta in seguito come Università Politecnica Salesiana.
A Yanuncay diede alloggio ai novizi, e nel 1940 aprì anche la Facoltà di Scienze dell’Educazione, divenendone il primo rettore. Istituì anche la scuola elementare “Cornelio Merchán” per bambini poverissimi. Aprì un Collegio di Studi Orientali per dare la formazione necessaria ai salesiani destinati all’oriente ecuadoriano. Fondò il Museo Carlo Crespi, ricchissimo di reperti scientifici e conosciuto anche al di fuori dell’America. Divulgò con tutte le sue forze la devozione a Maria Ausiliatrice, consumando la sua vita nell’omonimo Santuario.
Il suo confessionale, specie negli ultimi anni di vita, era spesso affollato, e la gente cominciava a chiamarlo spontaneamente “san Carlo Crespi”. Era sempre in mezzo ai poveri: la domenica pomeriggio faceva catechismo ai ragazzi di strada, dando loro oltre al divertimento il pane quotidiano.
Organizzò laboratori di taglio e cucito per le ragazze povere della città. Ricevette numerose onorificenze, tra cui: la medaglia d’oro al merito dal Presidente della Repubblica dell’Ecuador; il Canonicato onorario della cattedrale di Cuenca; la Medaglia d’oro al merito educativo dal Ministro dell’Educazione; la Commenda della Repubblica Italiana; la dichiarazione di “Abitante più illustre di Cuenca nel 20° secolo”; ilo Dottorato Honoris Causa post mortem da parte dell’Università Politecnica Salesiana.
Morì a Cuenca il 30 aprile del 1982. Tutto l’Ecuador pianse allora la morte di un santo figlio di don Bosco.
Tratto dal sito di Yuri Leveratto http://www.yurileveratto.com/it/articolo.php?Id=126 :
Padre Carlo Crespi, il vero scopritore del tesoro della Cueva de los Tayos (+ Video)
Nella regione amazzonica ecuadoriana chiamata Morona Santiago esiste una caverna molto profonda, detta in spagnolo Cueva de los Tayos.
La caverna, che si trova ad un’altezza di 800 metri sul livello del mare, viene denominata Tayos, dal nome di caratteristici uccelli quasi ciechi che vivono nelle sue profondità. Gli indigeni Shuar o Jibaros (che avevano l’usanza di rimpicciolire il cranio dei nemici uccisi in battaglia), che vivono nelle vicinanze della grotta, usavano cibarsi di detti volatili.
La più antica notizia della caverna risale al 1860 quando il generale Victor Proano inviò una breve descrizione della grotta al Presidente dell’Ecuador di allora, Garcia Moreno.
Solo nel 1969 però, un ricercatore ungherese naturalizzato argentino, di nome Juan Moricz, esplorò a fondo la caverna, trovando molte lamine d’oro che riportavano delle incisioni arcaiche simili a geroglifici, statue antiche di stile mediorientale, e altri numerosi oggetti d’oro, argento e bronzo: scettri, elmi, dischi, placche.
Il ricercatore ungherese fece anche uno strano tentativo di ufficializzare la sua scoperta, registrando i suoi ritrovamenti nell’ufficio di un notaio di Guayaquil, il giorno 21 luglio 1969, ma le sue richieste non furono accolte.
Nel 1972 lo scrittore svedese Erik Von Daniken diffuse nel mondo il ritrovamento del ricercatore ungherese.
Quando la notizia dello strano ritrovamento di Moricz si sparse nel mondo, molti studiosi ed esoteristi decisero di esplorare la caverna con spedizioni private.
Una delle prime e più ardite spedizioni fu quella condotta nel 1976 dal ricercatore scozzese Stanley Hall alla quale partecipò l’astronauta statunitense Neil Armstrong, il primo uomo che mise piede nella Luna, il 21 luglio 1969.
Si narra che l’astronauta riferì che i tre giorni nei quali rimase all’interno della grotta furono ancora più significativi del suo leggendario viaggio sulla Luna.
All’impresa prese parte lo speleologo argentino Julio Goyen Aguado, amico intimo di Juan Moricz, dal quale aveva avuto delle precise indicazioni sull’esatta localizzazione delle placche e lamine d’oro intagliate.
Sembra che Goyen Aguado, su indicazione di Moricz, che non partecipò alla spedizione, abbia depistato Stanley Hall, senza permettere agli anglosassoni di appropriarsi degli antichi reperti d’oro.
Altre versioni della storia indicano invece che gli anglosassoni razziarono parte del tesoro, trasportandolo illegalmente al di fuori dell’Ecuador.
Secondo altri ricercatori il vero scopritore degli immani tesori archeologici della Cueva de los Tayos non fu l’ungherese Moricz, ma bensì il prete salesiano Carlo Crespi (1891-1982), nativo di Milano.
La caverna, che si trova ad un’altezza di 800 metri sul livello del mare, viene denominata Tayos, dal nome di caratteristici uccelli quasi ciechi che vivono nelle sue profondità. Gli indigeni Shuar o Jibaros (che avevano l’usanza di rimpicciolire il cranio dei nemici uccisi in battaglia), che vivono nelle vicinanze della grotta, usavano cibarsi di detti volatili.
La più antica notizia della caverna risale al 1860 quando il generale Victor Proano inviò una breve descrizione della grotta al Presidente dell’Ecuador di allora, Garcia Moreno.
Solo nel 1969 però, un ricercatore ungherese naturalizzato argentino, di nome Juan Moricz, esplorò a fondo la caverna, trovando molte lamine d’oro che riportavano delle incisioni arcaiche simili a geroglifici, statue antiche di stile mediorientale, e altri numerosi oggetti d’oro, argento e bronzo: scettri, elmi, dischi, placche.
Il ricercatore ungherese fece anche uno strano tentativo di ufficializzare la sua scoperta, registrando i suoi ritrovamenti nell’ufficio di un notaio di Guayaquil, il giorno 21 luglio 1969, ma le sue richieste non furono accolte.
Nel 1972 lo scrittore svedese Erik Von Daniken diffuse nel mondo il ritrovamento del ricercatore ungherese.
Quando la notizia dello strano ritrovamento di Moricz si sparse nel mondo, molti studiosi ed esoteristi decisero di esplorare la caverna con spedizioni private.
Una delle prime e più ardite spedizioni fu quella condotta nel 1976 dal ricercatore scozzese Stanley Hall alla quale partecipò l’astronauta statunitense Neil Armstrong, il primo uomo che mise piede nella Luna, il 21 luglio 1969.
Si narra che l’astronauta riferì che i tre giorni nei quali rimase all’interno della grotta furono ancora più significativi del suo leggendario viaggio sulla Luna.
All’impresa prese parte lo speleologo argentino Julio Goyen Aguado, amico intimo di Juan Moricz, dal quale aveva avuto delle precise indicazioni sull’esatta localizzazione delle placche e lamine d’oro intagliate.
Sembra che Goyen Aguado, su indicazione di Moricz, che non partecipò alla spedizione, abbia depistato Stanley Hall, senza permettere agli anglosassoni di appropriarsi degli antichi reperti d’oro.
Altre versioni della storia indicano invece che gli anglosassoni razziarono parte del tesoro, trasportandolo illegalmente al di fuori dell’Ecuador.
Secondo altri ricercatori il vero scopritore degli immani tesori archeologici della Cueva de los Tayos non fu l’ungherese Moricz, ma bensì il prete salesiano Carlo Crespi (1891-1982), nativo di Milano.
Crespi avrebbe indicato a Moricz come entrare nella caverna e come trovare la giusta via nel labirinto senza fondo situato nelle sue profondità.
Carlo Crespi, che giunse nella selva amazzonica ecuadoriana nel lontano 1927, seppe conquistarsi nel tempo la fiducia degli autoctoni Jibaro, e si fece consegnare, nel corso di decenni, centinaia di favolosi pezzi archeologici risalenti ad un epoca sconosciuta, molti di essi d’oro o laminati d’oro, spesso intagliati magistralmente con arcaici geroglifici che, a tutt’oggi, nessuno ha saputo decifrare.
A partire dal 1960 Crespi ottenne dal Vaticano l’autorizzazione ad aprire un museo nella città di Cuenca, dove era ubicata la sua missione salesiana. Nel 1962 ci fu un incendio, e alcuni reperti furono perduti per sempre.
Crespi era convinto che le lamine e le placche d’oro da lui trovate e studiate, indicassero senza ombra di dubbio che il mondo antico medio-orientale antecedente al diluvio universale fosse in contatto con le civiltà che si erano sviluppate nel Nuovo Mondo, che erano già presenti in America a partire da sessanta millenni fa (vedi mia intervista all’archeologa Niede Guidon).
Secondo Padre Crespi, gli arcaici segni geroglifici che erano stati incisi o forse pressati con degli stampi, non erano altro che la lingua madre dell’umanità, l’idioma che si parlava prima del diluvio (vedi mio articolo sul nostratico).
Le conclusioni di Carlo Crespi erano stranamente simili ad altri ricercatori dello stesso periodo, come l’esoterico peruviano Daniel Ruzo (studioso di Marcahuasi), il medium statunitense G.H.Williamson, l’archeologo italiano Costantino Cattoi, o il ricercatore italo-brasiliano Gabriele D’Annunzio Baraldi (che documentò a fondo la Pedra do Ingá).
Verso la fine degli anni 70’ del secolo scorso Gabriele D’Annunzio Baraldi visitò a lungo Cuenca, dove conobbe sia Carlo Crespi che Juan Moricz.
In quell’occasione Carlo Crespi confidò all’italo-brasiliano che la Cueva de los Tayos era senza fondo e che le migliaia di diramazioni sotterranee non erano naturali, ma bensì costruite dall’uomo nel passato. Secondo Crespi la maggioranza dei reperti che gli indigeni gli consegnavano provenivano da una grande piramide sotterranea, situata in una località segreta. Il religioso italiano confessò poi a Baraldi che, per timore di futuri saccheggi, ordinò agli indigeni di coprire interamente di terra detta piramide, in modo che nessuno potesse mai più trovarla. Secondo Baraldi gli arcaici geroglifici incisi nelle lamine d’oro della Cueva de los Tayos, richiamavano all’antico alfabeto degli Ittiti, che secondo lui avevano viaggiato e parzialmente colonizzato il Sud America diciotto secoli prima di Cristo. Baraldi notò che in molte placche e lamine d’oro erano ricorrenti vari segni : il sole , la piramide , il serpente , l’elefante. In particolare la placca dove venne incisa una piramide con un sole nella sua sommità venne interpretata da Baraldi come una gigantesca eruzione vulcanica che avvenne in epoche remote.
Carlo Crespi, che giunse nella selva amazzonica ecuadoriana nel lontano 1927, seppe conquistarsi nel tempo la fiducia degli autoctoni Jibaro, e si fece consegnare, nel corso di decenni, centinaia di favolosi pezzi archeologici risalenti ad un epoca sconosciuta, molti di essi d’oro o laminati d’oro, spesso intagliati magistralmente con arcaici geroglifici che, a tutt’oggi, nessuno ha saputo decifrare.
A partire dal 1960 Crespi ottenne dal Vaticano l’autorizzazione ad aprire un museo nella città di Cuenca, dove era ubicata la sua missione salesiana. Nel 1962 ci fu un incendio, e alcuni reperti furono perduti per sempre.
Crespi era convinto che le lamine e le placche d’oro da lui trovate e studiate, indicassero senza ombra di dubbio che il mondo antico medio-orientale antecedente al diluvio universale fosse in contatto con le civiltà che si erano sviluppate nel Nuovo Mondo, che erano già presenti in America a partire da sessanta millenni fa (vedi mia intervista all’archeologa Niede Guidon).
Secondo Padre Crespi, gli arcaici segni geroglifici che erano stati incisi o forse pressati con degli stampi, non erano altro che la lingua madre dell’umanità, l’idioma che si parlava prima del diluvio (vedi mio articolo sul nostratico).
Le conclusioni di Carlo Crespi erano stranamente simili ad altri ricercatori dello stesso periodo, come l’esoterico peruviano Daniel Ruzo (studioso di Marcahuasi), il medium statunitense G.H.Williamson, l’archeologo italiano Costantino Cattoi, o il ricercatore italo-brasiliano Gabriele D’Annunzio Baraldi (che documentò a fondo la Pedra do Ingá).
Verso la fine degli anni 70’ del secolo scorso Gabriele D’Annunzio Baraldi visitò a lungo Cuenca, dove conobbe sia Carlo Crespi che Juan Moricz.
In quell’occasione Carlo Crespi confidò all’italo-brasiliano che la Cueva de los Tayos era senza fondo e che le migliaia di diramazioni sotterranee non erano naturali, ma bensì costruite dall’uomo nel passato. Secondo Crespi la maggioranza dei reperti che gli indigeni gli consegnavano provenivano da una grande piramide sotterranea, situata in una località segreta. Il religioso italiano confessò poi a Baraldi che, per timore di futuri saccheggi, ordinò agli indigeni di coprire interamente di terra detta piramide, in modo che nessuno potesse mai più trovarla. Secondo Baraldi gli arcaici geroglifici incisi nelle lamine d’oro della Cueva de los Tayos, richiamavano all’antico alfabeto degli Ittiti, che secondo lui avevano viaggiato e parzialmente colonizzato il Sud America diciotto secoli prima di Cristo. Baraldi notò che in molte placche e lamine d’oro erano ricorrenti vari segni : il sole , la piramide , il serpente , l’elefante. In particolare la placca dove venne incisa una piramide con un sole nella sua sommità venne interpretata da Baraldi come una gigantesca eruzione vulcanica che avvenne in epoche remote.
Quando Carlo Crespi morì, nell’aprile del 1982, la sua fantasmagorica collezione d’arte antidiluviana fu sigillata per sempre, e nessuno poté mai più ammirarla. Vi sono molte voci sulla sorte dei preziosissimi reperti raccolti pazientemente durante lunghi decenni dal religioso milanese.
Secondo alcuni furono semplicemente inviati in segreto a Roma, e giacerebbero ancora adesso in qualche cavó del Vaticano.
Altre fonti proverebbero che il Banco Centrale dell’Ecuador abbia acquisito, per la somma di 10.667.210 $, circa 5000 pezzi archeologici in oro e argento. Il responsabile del museo del Banco Centrale dell’Ecuador, però, Ernesto Davila Trujillo, smentì categoricamente che l’entità di Stato acquisì la collezione privata di Padre Crespi.
A prescindere dalla localizzazione fisica attuale dei reperti archeologici di Padre Crespi, restano le fotografie e le numerose testimonianze di molti studiosi a prova della loro veridicità.
Sembra quasi che qualcuno abbia voluto occultare i fantastici pezzi archeologici collezionati e studiati dal religioso milanese. Perché?
Sicuramente la prova che popoli antidiluviani, e altri successivi al diluvio, ma prettamente medio-orentali, abbiano visitato il bacino del Rio delle Amazzoni in tempi così remoti e vi abbiano lasciato una tale quantità di meravigliosi reperti, è una verità che potrebbe essere scomoda. Molti storici convenzionali hanno descritto Padre Crespi come un impostore o semplicemente un visionario, che ha mostrato come autentiche delle lamine d’oro che erano semplicemente dei falsi o delle copie di altre creazioni artistiche medio-orientali.
La mia opinione sugli immani tesori della Cueva de los Tayos è che sono autentici e provengono dal Medio-Oriente.
Bisogna però distinguere tra alcuni reperti dove sono stati intagliati degli apparenti geroglifici e altri che sono rappresentazioni d’arte Sumera, Assira, Egizia, Ittita.
Sono convinto che prima del diluvio i popoli che vivevano nella terraferma corrispondente all’attuale piattaforma continentale del continente africano (poi sommersa), avessero frequenti scambi con i popoli che, già da sessanta millenni prima di Cristo, vivevano nell’attuale Brasile.
La Pedra do Ingá, studiata a fondo dal ricercatore Baraldi, e da me descritta nel gennaio del 2010, testimonia che popoli antichissimi rappresentarono un evento per loro importantissimo (forse il diluvio universale?), utilizzando un arcaico metodo di scrittura (una forma di nostratico?), dopo essere giunti nell’odierno Brasile in seguito ad un evento fortuito.
E’ utile ricordare inoltre, anche l’arcaico alfabeto inciso nella statuetta (che proveniva dall’interno del Brasile), di basalto nero che fu donata all’esploratore Percy Fawcett dallo scrittore Rider Haggard. Detto alfabeto è molto simile ai segni incisi nelle lamine d’oro della Cueva de los Tayos.
In questo senso si possono individuare e descrivere alcune iscrizioni arcaiche dei reperti trovati nella Cueva de los Tayos come facenti parte dell’idioma nostratico.
Per quanto riguarda invece altri reperti, di chiara derivazione medio-orientale post-diluviana, ritengo opportuno considerarli come resti di varie spedizioni occasionali che furono attuate a partire dal terzo millennio prima di Cristo dai Sumeri e in seguito da Egizi, Fenici e Cartaginesi.
Queste mie conclusioni non sono solo supportate dal fatto che resti di foglia di coca furono travati nelle mummie egizie, ma soprattutto dai recenti ritrovamenti nell’altopiano andino come la Fuente Magna e ilmonolito di Pokotia.
Resta il mistero del perché tutto quell’immane tesoro sia stato ammassato nella Cueva de los Tayos e nei labirinti che si trovano nelle sue profondità.
A mio parere è possibile che limitati gruppi di discendenti di anti-diluviani, sopravvissuti all’enorme catastrofe, una volta sbarcati in Sud America, abbiano voluto salvare le loro preziosissime reliquie, nascondendole in seguito in una grotta ritenuta da loro sicura.
Per quanto riguarda invece i popoli medio-orientali post-diluviani, mi riferisco in particolare ai Sumeri, Egizi, Fenici e Cartaginesi, è possibile che ogni gruppo viaggiasse con particolari insegne della loro stirpe e della loro origine, che nel corso dei secoli si persero nelle Ande (come il caso della Fuente Magna). In seguito gli antenati degli indigeni Suhar ammassarono dette reliquie nella Cueva de los Tayos ritenendoli oggetti sacri che dovevano per forza essere raccolti in un luogo ritenuto magico dalla loro tradizione.
Secondo alcuni furono semplicemente inviati in segreto a Roma, e giacerebbero ancora adesso in qualche cavó del Vaticano.
Altre fonti proverebbero che il Banco Centrale dell’Ecuador abbia acquisito, per la somma di 10.667.210 $, circa 5000 pezzi archeologici in oro e argento. Il responsabile del museo del Banco Centrale dell’Ecuador, però, Ernesto Davila Trujillo, smentì categoricamente che l’entità di Stato acquisì la collezione privata di Padre Crespi.
A prescindere dalla localizzazione fisica attuale dei reperti archeologici di Padre Crespi, restano le fotografie e le numerose testimonianze di molti studiosi a prova della loro veridicità.
Sembra quasi che qualcuno abbia voluto occultare i fantastici pezzi archeologici collezionati e studiati dal religioso milanese. Perché?
Sicuramente la prova che popoli antidiluviani, e altri successivi al diluvio, ma prettamente medio-orentali, abbiano visitato il bacino del Rio delle Amazzoni in tempi così remoti e vi abbiano lasciato una tale quantità di meravigliosi reperti, è una verità che potrebbe essere scomoda. Molti storici convenzionali hanno descritto Padre Crespi come un impostore o semplicemente un visionario, che ha mostrato come autentiche delle lamine d’oro che erano semplicemente dei falsi o delle copie di altre creazioni artistiche medio-orientali.
La mia opinione sugli immani tesori della Cueva de los Tayos è che sono autentici e provengono dal Medio-Oriente.
Bisogna però distinguere tra alcuni reperti dove sono stati intagliati degli apparenti geroglifici e altri che sono rappresentazioni d’arte Sumera, Assira, Egizia, Ittita.
Sono convinto che prima del diluvio i popoli che vivevano nella terraferma corrispondente all’attuale piattaforma continentale del continente africano (poi sommersa), avessero frequenti scambi con i popoli che, già da sessanta millenni prima di Cristo, vivevano nell’attuale Brasile.
La Pedra do Ingá, studiata a fondo dal ricercatore Baraldi, e da me descritta nel gennaio del 2010, testimonia che popoli antichissimi rappresentarono un evento per loro importantissimo (forse il diluvio universale?), utilizzando un arcaico metodo di scrittura (una forma di nostratico?), dopo essere giunti nell’odierno Brasile in seguito ad un evento fortuito.
E’ utile ricordare inoltre, anche l’arcaico alfabeto inciso nella statuetta (che proveniva dall’interno del Brasile), di basalto nero che fu donata all’esploratore Percy Fawcett dallo scrittore Rider Haggard. Detto alfabeto è molto simile ai segni incisi nelle lamine d’oro della Cueva de los Tayos.
In questo senso si possono individuare e descrivere alcune iscrizioni arcaiche dei reperti trovati nella Cueva de los Tayos come facenti parte dell’idioma nostratico.
Per quanto riguarda invece altri reperti, di chiara derivazione medio-orientale post-diluviana, ritengo opportuno considerarli come resti di varie spedizioni occasionali che furono attuate a partire dal terzo millennio prima di Cristo dai Sumeri e in seguito da Egizi, Fenici e Cartaginesi.
Queste mie conclusioni non sono solo supportate dal fatto che resti di foglia di coca furono travati nelle mummie egizie, ma soprattutto dai recenti ritrovamenti nell’altopiano andino come la Fuente Magna e ilmonolito di Pokotia.
Resta il mistero del perché tutto quell’immane tesoro sia stato ammassato nella Cueva de los Tayos e nei labirinti che si trovano nelle sue profondità.
A mio parere è possibile che limitati gruppi di discendenti di anti-diluviani, sopravvissuti all’enorme catastrofe, una volta sbarcati in Sud America, abbiano voluto salvare le loro preziosissime reliquie, nascondendole in seguito in una grotta ritenuta da loro sicura.
Per quanto riguarda invece i popoli medio-orientali post-diluviani, mi riferisco in particolare ai Sumeri, Egizi, Fenici e Cartaginesi, è possibile che ogni gruppo viaggiasse con particolari insegne della loro stirpe e della loro origine, che nel corso dei secoli si persero nelle Ande (come il caso della Fuente Magna). In seguito gli antenati degli indigeni Suhar ammassarono dette reliquie nella Cueva de los Tayos ritenendoli oggetti sacri che dovevano per forza essere raccolti in un luogo ritenuto magico dalla loro tradizione.
Sequenza di eventi coinvolti nel percorso tesoro
1946 - prima visita Petronio Jaramillo A. (1929-1998) alla grotta del tesoro.
1956 – Petronio registra la sua storia attuale.
1964 - Petronio è variamente intervistato: da Alfredo Moebius, Salvador Andrés Fernández-Z, Pino Turolla eJuan Moricz.
1965 - Prima visita dal Moricz alla Grotta Tayos in Morona-Santiago.
1968 - spedizione mormone alla regione Cave Tayos.
1969 – ‘Spedizione Moricz’ alla Grotta Tayos. Mezzi di annuncio.
1972 – Moricz e il Dr. Peña prendere Erich von Däniken in viaggio a Cuenca.
1974 – atto notarile di presunte scoperte Moricz di (6 giugno).
1975 – Primo incontro di Stan Hall e Moricz. Spedizione ‘Stones’ a Mendez.
1976 – British-ecuadoriano Expedition: Grotte Tayos di Morona-Santiago.
1978 – Moricz introduce Stan Hall a Don Andrés Fernández-Salvador Z.
1979 – Importanti riunioni Stan Hall / AFS Moricz, Dyott e Petronio Jaramillo.
1982 - Moricz invita Stan Hall a portare il progetto d’estrazione dell’oro di Cumbaratza all’attenzione delle compagnie minerarie internazionali e venire in Ecuador. Hall inizia approfondita indagine storica dell’Impero del Tayhuantinsuyu e Reino de los Kitus.
1991 – Moricz muore improvvisamente nel mese di febbraio. Nel settembre del Municipio incontra Petronio Jaramillo per la prima volta. Iniziano 6 anni di collaborazione.
1996 – Petronio e Hall aggiornano le loro storie : formulano un piano per la spedizione.
1998 – Petronio viene assassinato nei pressi della sua casa di Esmeraldas.
1999 – Stan Hall inizia dei viaggi di ricognizione a Oriente.
2005 – Sala pubblica posizione calcolata del tesoro e informa l’Ambasciata ecuadoriana nel Regno Unito il 17 gennaio. ( 77 º 47’34 ” West e 1 ° 56’00″ Sud )
Descrizione generale del Tesoro (Tayhuantinsuyu)
1. Una libreria costituita da migliaia di libri sugli scaffali in metallo, ognuno del peso di circa 20 chilogrammi, pagine stampate su un lato con ideogrammi, disegni geometrici e le iscrizioni.2. Una seconda biblioteca di duro, lucido, rettangolare, piatti trasparenti, ognuno con in parallelo, i canali incrostato, di cui su oro a foglia cavalletti.3. Centinaia di statue zoomorfe e umane, alcuni su plinti pesanti, che
rappresentano varie specie di animali e insetti, anche gli esseri umani in diverse posizioni visualizzazione di una serie di emozioni.4. ‘Metal’ barre di varie forme, insieme con i giocattoli e mucchi di oro alluvionale.5. Strumenti per creare pulsanti e gioielli.6. porte sigillate (possibilmente tombe) rivestito in pietre semi-preziose.7. Un sarcofago di materiale traslucido che contiene un grande, oro a foglia, scheletro umano
Tributo a Padre Carlo Crespi , La pellicola che segue è un’estratto del documentario ‘Los Invencibles Shuar del Alto Amazzoni’ nel 1927 del salesiano Padre Carlos Crespi, il primo film della vita della comunità Shuar e cultura mai fatto. La popolazione Shuar, Achuar di numeri Ecuador 70.000 oltre 400 comunità. Si chiamano ‘Invincibili’ perché né Inca né Conquistadores potevano dominare.
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