LA VILLA DELLA MARCHESINA SEDOTTA E BIDONATA
La villa della marchesina sedotta e bidonata
di Nando Dalla Chiesa
Gli anni Settanta furono tumultuosi non solo sulle pubbliche vie,
e non solo al sabato pomeriggio. Furono ricchi di tumulti, se così si può dire,
privati. Anche di domenica. Ed era proprio una domenica di fine agosto del 1970
quando il marchese Camillo Casati Stampa, 43 anni, uccise con un fucile da
caccia la moglie Anna Fallarino e il suo giovane amante, lo studente Massimo
Minorenti, per poi uccidere se stesso. Fosse stato l'onore offeso, il caldo
estivo o la impossibilità (allora) di divorziare, quale che sia stata insomma la
causa scatenante del delitto, fatto sta che il mito di Arcore, dei luoghi sacri
dell'era berlusconiana, nasce in quel mattino di sangue: a dimostrazione -
ancora una volta - che ciò che dà fortuna a Silvio Berlusconi coincide sempre
con una tragedia altrui. Il marchese infatti aveva proprietà immense, il cui
valore venne stimato dai giornali intorno ai tre-quattrocento miliardi del
tempo. E aveva una sola erede, la marchesina Annamaria, nata dal primo
matrimonio. La sorella della signora Fallarino cercò di conquistare quel
bendiddio per il proprio ramo, sperando di riuscire a dimostrare che la marchesa
avesse esalato l'ultimo respiro dopo il marito omicida. Benché patrocinata in
questo nobile tentativo da un giovane e valente avvocato calabrese, di nome
Cesare Previti, ella non riuscì nel proprio intento. Poco male. Il giovane
avvocato, dopo avere patrocinato le ragioni della parte rimasta a bocca
asciutta, si offrì in soccorso alla parte vincente, ossia alla marchesina,
appena 19enne. Che accettò. In parallelo però il Tribunale dei minori (allora
essendo fissata la maggiore età ai 21 anni) affidò la giovane a un vecchio amico
dei Casati, un senatore liberale di professione avvocato e di nome Giorgio
Bergamasco. Costui, sul piano culturale, non è un alieno nella storia che stiamo
raccontando. Si era distinto infatti per avere presentato più disegni di legge
in materia finanziaria, tra cui uno sulle successioni e uno di amnistia per i
reati finanziari. Fu lui a stendere la denuncia di successione. E lo fece
coerentemente con lo spirito delle sue fatiche legislative: 231 pagine per
descrivere immobili e terreni, titoli e gioielli, per un controvalore inferiore
ai due miliardi. Lo stesso ministro delle finanze lo giudicò risibile. E aveva
ragione se si pensa che alcuni piccoli lotti di terra nel comune di Cusago,
nemmeno dettagliati in quella denuncia, sarebbero poi stati venduti a sei
miliardi, ossia per un valore triplo dell'intero patrimonio. Tuttavia per
rispetto dei morti e di una vicenda così dolorosa, non successe nulla. La
marchesina rimase, con quel patrimonio a lei intestato, affidata alle sapienti
mani del senatore Bergamasco e dell'avvocato Previti. Lo avrebbe ella gestito al
meglio o lo avrebbe venduto (e forse svenduto) pezzo a pezzo? C'era nelle
vicinanze una società interessata alle attività immobiliari e che brillava per
dinamismo e trasparenza. La possedeva una delle primissime manager italiane, una
signora tutta Bocconi e Boston, tale Maria Borsani, zia di Silvio Berlusconi,
affiancata da un brillante finanziere di nome Giorgio Dell'Oglio, cognato dello
stesso Berlusconi. Si chiamava Edilnord Centri Residenziali sas, la società. La
quale mise gli occhi anche sulla tenuta di Arcore e sulla villa di San Martino.
Venne così stipulata una convenzione di compravendita che fu stesa però in due
successive versioni. Nella prima versione comprava la Edilnord. Nella seconda
versione, invece, chissà perché, comprava la Società Generale Attrezzature, che
abbiamo già citato in precedenza, che era guidata da Walter Donati, altro
prestanome di prestigio di Silvio Berlusconi, e che come la Edilnord era
collegata - indovina indovinello - con una finanziaria svizzera, la Cofinvest di
Lugano. Prezzo di vendita: 750 milioni. Un valore reale o solo un po' più
modesto del reale? Forse basta dire che poco tempo dopo la Cariplo erogherà,
avendo tali beni in garanzia, un finanziamento per un valore dieci volte più
alto. E d'altronde, giusto per soddisfare i più curiosi, si trattava di una
tenuta di un milione di metri quadrati in cui sorgevano un edificio
settecentesco con annesso parco, villa San Martino appunto, di circa 3.500 metri
quadri, 147 stanze e contenente, oltre a una biblioteca da antiquariato, un bel
po' di quadri del Quattrocento e del Cinquecento, tra cui dei Tiepolo e
Tintoretto. Da qui la domanda che torna nella leggenda. La marchesina, incapace
di intendere e di volere, fu forse indotta a svendere? Venne cioè,
professionalmente, sedotta e bidonata? E se sì, perché e da chi? Oppure venne
condotta una straordinaria operazione di compravendita in nero per realizzare
una gigantesca evasione fiscale da una parte e dall'altra? Gli storici di quella
speciale e moderna disciplina detta "economia politica dei misteri" si sono a
lungo arrabattati intorno a queste diverse interpretazioni, in genere con punte
di malizia francamente illiberali nei confronti dell'avvocato Cesare Previti e
del "Dottore" (Silvio Berlusconi). Converrà dunque non cedere alle suggestioni e
ai pregiudizi e attenersi il più possibile ai fatti effettivamente accaduti.
Soprattutto sarà giusto riandare alle condizioni di compravendita. La proprietà,
così si prevedeva, sarebbe stata acquistata in più rate, l'ultima delle quali
(250 milioni) entro sei mesi dalla stipulazione del contratto, la cui data non
era indicata, e comunque senza decorrenza di interessi. In compenso «il possesso
e il godimento di quanto promesso in vendita si trasferiscono alla parte
acquirente con effetto dalla data odierna». Insomma, ad Arcore dallo stesso
giorno sarebbe stato di casa il vero referente di quell'incredibile coacervo di
sigle e prestanomi acquirenti. Coacervo reso ancora più incredibile dal fatto
che il rogito verrà finalmente firmato molti anni dopo, nel 1980, dal signor
Giovanni Del Santo (siciliano poi indicato dalle forze dell'ordine in contatto
con ambienti mafiosi), altro prestanome di Berlusconi. E non sarà firmato né per
la Edilnord né per la Società Generale Attrezzature, ma per la Immobiliare Idra
srl. Se il nome Idra, denso di evocazioni mitologiche, voglia essere una forma
di rappresentazione programmatica della società, questo non lo si può sapere. Il
fatto è che da essa restarono esclusi alcuni terreni del marchese, quelli dal
quale dovevano essere sloggiati i contadini residenti al fine di realizzare
nuove aree speculative. Quei terreni andarono infatti alla Immobiliare Briantea
srl. Che sarebbe poi confluita nella Immobiliare Idra nel 1988, una volta
compiuto l'ingrato compito di sloggiare i contadini. Dunque Silvio Berlusconi si
installò nella villa di Arcore immediatamente, prima ancora di averla comprata.
A sollecitarlo all'acquisto era stato proprio il giovane avvocato, Cesare
Previti, il fiduciario della marchesina. Vediamo come le biografie autorizzate
raccontano quel rapporto preferenziale attraverso le parole dell'avvocato
calabrese, diventato romano di adozione: «Anna Maria Casati non voleva stare in
quella villa dalle tragiche memorie, volle che la vendessi. Provai con dei
brianzoli, degli speculatori che prima o poi l'avrebbero lottizzata. In quei
giorni avevo avuto un lavoro dalla Edilnord di Silvio e gli dissi: Berlusconi,
lei deve farmi un grande piacere, mi comperi la villa San Martino dei Casati
Stampa, ad Arcore. Andammo a vederla e alla fine lui mi fece una proposta
tipicamente sua: me la lasci provare, ci sono le vacanze di Pasqua, ci vado per
qualche giorno e la provo. La provò e non se n'è più andato». Come sempre, dalle
tragedie altrui alla propria felicità: ovvero dalle 'tragiche memorie' a una
Pasqua da urlo. Le fonti dicono che ciò accadde nel 1973 (qualcuna insinua anche
prima). Quanto alla marchesina, sparì letteralmente: nello stesso '73 si
trasferì in Brasile con il marito e da lì non avrebbe mai voluto parlare di
quella vicenda. Fu intimidita da qualcuno, da qualcosa, si turbò per qualche
notizia o parola? Supposizioni malevole, spazzatura. Forse, d'altronde, non lo
sapeva nemmeno, al momento della partenza, che in quella villa di 'tragiche
memorie' si era installato o si stava installando (le fonti sono discordi) anche
Vittorio Mangano, boss emergente di Cosa Nostra. Partì e basta. (19 continua. Ha
collaborato Francesca Maurri)
3 May 2004 pubblicato nell'edizione Nazionale (pagina 13) nella
sezione "Interni" ==Francesco Ciaccia
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