lunedì 26 febbraio 2024

"Rimangiatevi quello che avete detto! Rimangiatevi quello che avete detto! Sono il più Grande!"

 




25 febbraio 1964, Miami, Florida. Non è ancora primavera, ma al Miami Beach Convention Center fa già un caldo assurdo, è umido. Gli addetti dietro le quinte hanno in consegna le cinture WBA: World Boxing Association e World Boxing Council dei Pesi Massimi che fino ad allora sono state di un uomo che tutti temono. Sonny Liston è il pugile più temuto di tutti i tempi. 185 cm, 100 kg, un allungo disumano da 213 cm, mani da 40 cm di diametro, collo da mezzo metro, sguardo freddo e torvo, un fisico che pare scolpito nella roccia. Non si era mai visto un pugile così spaventoso sul ring. Certo, c’erano stati altri picchiatori temuti, gente come il fumantino Jack Dempsey come il roccioso Rocky Marciano, uno che Liston lo ha in grande stima, lo ammira, contro cui ad un certo punto si pensava anche di mettere su un match da leggenda. Non se n’è fatto niente, ma lui, Rocky, come il suo amico, il grande Joe Louis come quasi tutti quella sera vede un solo epilogo possibile: la vittoria di Liston, dell’Orso Nero. 


Ciò che rende Charles “Sonny” Liston un pericolo pubblico è il fatto che oltre ad avere una potenza spaventosa, una mascella di ferro e una resistenza incredibile, è anche un ottimo pugile. Non è nulla di avveniristico o chissà che rivoluzionario, il suo è lo stile classico del boxer-puncher dell'epoca. Ha un buon gioco di gambe, con cui compensa ad una difesa essenziale. Il suo jab è tra i migliori mai visti, con cui apre la strada ad un diretto destro, un gancio sinistro e dei montanti semplicemente devastanti. Di KO sul ring se ne sono visti tanti, ma quando Sonny combatte, pare di vedere un adulto picchiare dei bambini. Gli avversari stramazzano al suolo come fulminati da un colpo di pistola. Tutti sono sicuri che la stessa sorte capiterà anche a quel ragazzo di 22 anni, all’oro Olimpico di Roma 1960, a quel giovane chiacchierone. Cassius Marcellus Clay è nato a Louisville, nel Kentucky, è il volto nuovo della boxe. Al contrario di Liston, cresciuto in condizioni a dir poco terrificanti, diventato pugile in prigione, Clay la povertà che conoscono gran parte degli afroamericani non l’ha mai conosciuta. Il razzismo invece si, persino dopo aver vinto l’oro olimpico, viene visto con ostilità da una bella fetta dell’opinione pubblica, a cui non piace la sua boxe, a cui non piace lui. 


Clay ha cominciato a frequentare i Black Muslims di Elijah Muhammad, si è legato da diverso tempo con quel Malcolm X che con le sue parole agita la comunità afroamericana. Cassius è lo sfidante, è dato nettamente sfavorito, anzi in molti lo vedono come una bolla di sapone, un miracolato. “Non ha battuto nessuno” scrivono alcuni giornalisti, memori della vittoria alquanto dubbia contro Doug Jones, di come abbia quasi perso contro l’inglese Sir Henry Cooper OBE, dopo essere stato atterrato in malo modo. Come può sopravvivere a una belva come Sonny? Sonny che ha perso ai punti solo un match ad inizio carriera, 12 round con una mascella rotta, il rivale che non ha più boxato dopo quel giorno. 

Ha distrutto DeJohn, Cleveland Williams, Zora Folley, Roy Harris, Eddie Machen…quando finalmente gli han dato la chance per il titolo, si è sbarazzato del quotatissimo Floyd Patterson in pochi attimi. 


Cassius ha passato tutta la vigilia a fare qualcosa di mai visto prima: ha irriso Liston. Il “rap” con cui lo schernisce davanti alla stampa, al mondo, è il primo esempio di trash talking moderno, lo usa sia per promuovere il match, che per demolire psicologicamente Sonny. Liston è un pugile nero che lui sa, tutti sanno, essere una creatura della mafia. Frankie Carbo, uno dei gangsters più spietati di quegli anni, domina la boxe, arrangia incontri, si prende le borse. Liston di ciò che dovrebbe vincere, vede solo una parte, il resto va a Carbo, alla famiglia Lucchese di New York. Gente spietata, sveglia, furba. 

Liston è stato un buon affare, ma è stato anche osteggiato ed odiato dai bianchi. In questo, l’Orso Nero e il Labbro di Louisville hanno molto in comune. Liston non segue lo stile di vita che “la sua razza” dovrebbe seguire per i bianchi. Va nei locali, esce con jazzisti, malavitosi, piace alle bianche. Non ha lo stile misurato e conciliante di un Louis o Patterson, lui è l’Orso Nero, la spaventosa superiorità fisica e sessuale che si materializza negli incubi del mondo bianco. 

Viene arrestato spesso per futili motivi, è osteggiato da molti promoters, da molti pugili. 


Quella sera, pur favorito, non è in condizioni entusiasmanti. Non lo è da un po’ a dirla tutta. Soffre di depressione, da un po’ conduce una vita sregolata al massimo, cerca nell’alcool, nella morfina, nelle prostitute, quell’amore, quella considerazione, che gli è stata negata, che sperava di avere dalla boxe. Tutti conoscono Sonny il pugile, ma nessuno l’uomo, che è misterioso, imprevedibile, non si sa neppure quanti anni abbia, probabilmente ne ha 3 o 4 più di quanti dichiari. Si è allenato poco e male, la sera prima l’ha passata a fare bagordi, non crede che quel ragazzo sia un problema, lo vede come una sorta di Sammy Davis extra-large. Clay invece ha passato gli ultimi due anni a studiare Liston, il campione, che ha abbattuto Patterson, uno dei suoi idoli. Vi ha visto pregi ma anche i difetti di una boxe scolastica, classica, un pugile che è sì tecnicamente valido, potentissimo ma anche molto lento, e tanto, prevedibile. Lo denigra, lo chiama brutto orso, lo stuzzica, scrive poesie e versetti dove dice come lo batterà, sfida la stampa e i media che gli dicono senza mezzi termini che per loro non può vincere. 


Comincia il match e Clay si muove sulle gambe come ha visto fare al suo mentore pugilistico, a Sugar Ray Robinson. Non offre un bersaglio fisso a Liston, che lo carica come un toro ma colpisce solo l’aria, appare immediatamente poco a suo agio contro un avversario così mobile. Clay comincia subito a centrarlo senza problemi con il suo jab, ad evitarne mazzate tribali e a rientrare doppiando con il diretto destro, con lo swing sinistro. Nel 2° Liston riesce a tagliare meglio il ring, centra Clay con un bel gancio sinistro che scuote lo sfidante. Ma è gloria effimera. Dal 3° Clay aumenta il ritmo, prende il controllo del match, bombarda il Campione con combinazioni furiose, ferisce Sonny allo zigomo sinistro. Non era mai successo. Lo chiude alle corde, lo sommerge di pugni. Manco questo era mai successo. Gli uno-due di Clay scuotono il capo del Campione che però reagisce rabbiosamente, Clay è in iperventilazione, si fa sorprendere dai colpi al corpo dell’Orso Nero, ma finisce il round schernendolo durante il clinch.

Nel 4° round Clay è in difficoltà, riesce a tenere la distanza, lavora con il jab ma è Liston che appare più deciso e convinto, lo centra con diversi colpi al corpo e con un diretto sinistro. Clay torna all’angolo scuotendo la testa, al suo coach, Angelo Dundee, dice di avere qualcosa sugli occhi, che non ci vede bene.


“Toglimi i guantoni, voglio che tutti vedano che razza di baro è, ha messo qualcosa sui guanti”. “Stai calmo” gli dice Dundee “tu ora torni lì e gli danzi attorno, è un match per il titolo, non dire cavolate!”. Una sostanza urticante sui guantoni? Il trucco di un uomo disperato? No. Sonny Liston ha problemi alla spalla sinistra, il che è il primo indizio per un uomo con quei muscoli, che si è preparato molto male. Ha una crema antiinfiammatoria, durante il clinch, qualcosa è finito addosso a Clay, che per tutto il 5° round si muove senza che Liston riesca a centrarlo. Il 6° round è un monologo dello sfidante, Liston è quasi ridicolizzato da Clay, lo stadio è in tumulto, i giornalisti non credono ai loro occhi. Il Campione scuro in volto va verso il suo angolo, ha la testa bassa, appare scoraggiato. La cuffia dei rotatori sinistra è in pessime condizioni, la spalla quasi non si muove più. Ha il volto gonfio e tumefatto, sputa il paradenti, disgustato. Clay lo vede, capisce, va a centro ring con le mani alzate, esulta, è il nuovo e più giovane Campione dei Pesi Massimi di sempre ad aver conquistato un titolo da sfidante. Nell’arena scoppia il finimondo, il ragazzo di Louisville è circondato da fan, amici, tra cui Sam Cooke si gira a bocca spalancata verso il mondo e grida la sua rabbia e il suo trionfo a chi lo aveva deriso o dato per sicuro perdente. 


In quell’istante, con il regno di Sonny Liston, scompare anche il controllo della mafia sui campioni, scompare l’afroamericano ignorante, vittima e succube dei bianchi, cavallo da corsa per un sistema che avrà proprio in Clay il peggior nemico, il distruttore per antonomasia. Ma pochi ancora lo sanno, lo intuiscono, compresi i promoters di Clay, cinque ricconi bianchi di Louisville che volevano non incontrasse Malcolm X, che si staccasse dall’Islam. Li manderà al diavolo del tutto poche ore dopo, si legherà ai Black Muslims anche professionalmente. In quel momento smette di esistere Cassius Clay, nasce Muhammad Ali che diventerà davvero chi dice di essere quella sera: il più Grande. In molti tra storici e giornalisti, indagheranno su quel match, su eventuali combine. Ma no, Liston era semplicemente troppo vecchio, usurato, non aveva soprattutto lo stile per battere Alì.


Il secondo incontro, con il pugno fantasma, apparirà esattamente ciò che è: una sceneggiata, imposta dalla mafia, che spera di controllare quel ragazzo come ha controllato per tutta la vita Liston, che andrà incontro ad un tramonto osceno e triste, morirà per una misteriosa overdose a cui non crederà mai nessuno nel 1970. Meritava una sorte migliore. Ciò che è certo, è che il 25 febbraio del 1964 di 60 anni fa, cambiava tutto. La boxe, lo sport come lo conoscevamo, non sarebbero stati più gli stessi. Tutto grazie a quel ragazzo, che volava come una farfalla e che pungeva come un’ape.

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