1. I MISTERI SULLA MORTE DI PANTANI SONO MOLTISSIMI E LASCIANO PENSARE CHE DIECI ANNI FA LE INDAGINI FURONO CHIUSE CON TROPPA FRETTA, NONOSTANTE I PUNTI OSCURI - 2. DI SICURO LA PRIMA AUTOPSIA SBAGLIÒ A INDICARE L’ORA PRESUNTA DELLA MORTE E SI RIVELÒ MOLTO SUPERFICIALE ANCHE NEL VALUTARE ALCUNI DATI DI MEDICINA LEGALE CHE AVREBBERO POTUTO AIUTARE A FARE CHIAREZZA SUL CASO - 3. C’ERA QUALCUNO CHE AVREBBE AVUTO INTERESSE A FALSIFICARE L’ESITO DELL’INCHIESTA? DI SICURO PANTANI ERA FINITO IN UN GIRO DI DROGA CHE MAGARI COINVOLGEVA ANCHE PERSONE MOLTO IMPORTANTI. AVREBBE POTUTO PARLARE, FARE DEI NOMI - 4. IL GIORNALISTA PHILIPPE BRUNEL: “PANTANI ERA DIVENTATO UN TOSSICODIPENDENTE, CHE FREQUENTAVA GENTE SENZA SCRUPOLI. A UN CERTO PUNTO NON HA PIÙ SAPUTO CONTROLLARE LA SITUAZIONE, E CI HA RIMESSO LA VITA. UNA MORTE IRRISOLTA, COME TENCO O PASOLINI”
1 - PANTANI, CASO RIAPERTO DOPO 10 ANNI: “FU UCCISO? DOBBIAMO APPROFONDIRE”
Guglielmo Buccheri per “la Stampa”
Cinquemila pagine fotocopiate, decine di testimonianze e immagini. L’esposto voluto dalla famiglia di Marco Pantani è finito sul tavolo del procuratore di Rimini Paolo Giovagnoli ed ora l’indagine è aperta come riporta la Gazzetta dello Sport. «Non fu suicidio volontario, ma Pantani fu ucciso...», sostengono i familiari del campione romagnolo e, da ieri, è l’ipotesi a cui lavoreranno gli inquirenti. «Nessun commento, dobbiamo approfondire. Bisognerà fare delle valutazioni anche alla luce del risultato del processo che ci fu a suo tempo.
Quando - precisa il procuratore Giovagnoli - arriva un esposto-denuncia per omicidio volontario è sempre un atto dovuto aprire un’indagine...».
La svolta, clamorosa, è sul tavolo. E, in un attimo, i fatti della notte del 14 febbraio di dieci anni fa tornano sotto i riflettori. La procura di Rimini si metterà al lavoro, lo farà dopo l’estate e l’indagine appena aperta durerà almeno un anno prima di arrivare alle sue conclusioni.
La famiglia del Pirata, da sempre, ha sostenuto come non fossi possibile che il loro Marco avesse deciso di chiudersi nella stanza della pensione sul lungomare per dire basta. Ora, dopo un decennio di dubbi e perplessità, ecco il primo passo: l’esposto presentato in procura dall’avvocato Antonio De Rensis, e accompagnato da una perizia accurata, è stato giudicato fondato, ma dire oggi quale potrebbe essere il punto di arrivo è fin troppo prematuro.
«Non fu suicidio, ma Pantani fu ucciso...», sostengono nella loro dettagliata ricostruzione i familiari del Pirata. «Ora esca la verità...», così gli ex colleghi, ma, soprattutto, amici del romagnolo, Claudio Chiappucci e Davide Cassani. «Non capisco perchè ci sia stato tutto questo ritardo, è giusto che si vada a fondo sulla tragica morte di Marco...», sottolinea Chiappucci. «Forse - così Cassani - si sono date per scontate troppe cose che non lo erano. Chi ha voluto bene a Marco vuole capire cosa realmente sia accaduto quella notte...».
Il lavoro della procura di Rimini non sarà facile. Come detto dal procuratore Giovagnoli occorrerà ripartire nell’inchiesta tenendo conto degli sviluppi che hanno portato alle conclusioni del processo già celebrato. Da tempo la famiglia Pantani non perdeva occasione per chiedere la riapertura del caso che, adesso, riaccendere l’attenzione sugli attimi di vita del campione delle due ruote. Per presentare l’esposto c’è voluto un faticoso impegno, fra difficoltà nel reperire il materiale e riuscire nella visione di documenti e faldoni datati quasi dieci anni. Dopo l’estate, i pm si metteranno in azione.
2 - AVEVA CHIESTO AIUTO E FORSE NON ERA SOLO NELLA STANZA MALEDETTA
Giorgio Viberti per “la Stampa”
Perché Marco Pantani è uno dei campioni più amati e insieme discussi nella storia dello sport e non solo nel ciclismo?
Perché si dimostrò pressoché imbattibile sulle montagne, dove fece entusiasmare i tifosi quasi come ai tempi di Bartali e Coppi, ma subì poi una sospensione dalle corse molto discussa e morì ancora giovane, a 34 anni, in circostanze quasi misteriose.
Per molti Pantani non fu soprattutto il simbolo di un ciclismo diventato ostaggio del doping?
In quegli anni tanti corridori usarono farmaci vietati e alcuni in seguito lo confessarono, eppure Pantani in 12 anni di professionismo non risultò mai positivo all’antidoping.
Ma non morì per un eccesso di cocaina?
È quanto asserì l’inchiesta dopo la sua morte, avvenuta il 14 febbraio 2004. E paradossalmente fu quella l’unica volta in cui Pantani risultò positivo a una sostanza dopante.
Pantani assumeva cocaina anche quando correva?
Non venne mai rilevata nei tanti test ai quali si sottopose da corridore, ma è probabile che Pantani abbia cominciato ad assumere cocaina dopo lo choc per l’esclusione dal Giro d’Italia 1999, che aveva ormai quasi vinto, a due tappe dalla fine per ematocrito alto, cioè perché aveva il sangue troppo denso.
Perché si torna a indagare sulla morte del Pirata dopo dieci anni dalla sua morte?
La mamma Tonina e il papà Paolo non hanno mai accettato la tesi del suicidio involontario per overdose di cocaina. Insieme con i loro legali hanno raccolto una serie di dati e testimonianze che hanno convinto i giudici a riaprire l’inchiesta.
Ma è lecito pensare che la prima inchiesta non sia riuscita a fare piena luce sulle cause della morte?
Secondo molti ci sarebbero tante incongruenze e contraddizioni che quantomeno lascerebbero molti dubbi sulle conclusioni delle indagini di dieci anni fa. Di sicuro, se è stata riaperta l’inchiesta, devono essere emersi elementi nuovi e importanti di valutazione.
Per esempio?
C’è l’ipotesi che Pantani non fosse solo nella stanza del residence in cui fu trovato senza vita. Lo farebbero pensare alcuni abiti che non dovevano essere lì, del cibo che il Pirata non amava e non avrebbe mai mangiato, il disordine troppo «ordinato» della stanza, una doppia ma vana richiesta di aiuto che il Pirata fece alla reception, l’enorme quantità di cocaina trovata nel suo organismo come se fosse stato costretto a ingerirla, le escoriazioni sul suo corpo, i segni sul pavimento come se il cadavere fosse stato trascinato... Incredibile poi che l’hotel nel quale morì Pantani sia stato ristrutturato pochissimo tempo dopo, come se fosse urgente cancellare ogni prova residua.
Chi è riuscito, dopo tanto tempo, a trovare tanti nuovi indizi?
L’avvocato Antonio De Rensis, per conto dei signori Pantani, ha studiato i faldoni sia delle indagini di allora, sia quelli relativi al successivo processo. Ma non basta, perché sono stati sentiti di nuovo alcuni testimoni chiave di quella vicenda. È stata poi molto preziosa una perizia medico-legale eseguita dal professor Francesco Maria Avato, che ha aggiunto tantissimi elementi nuovi.
Ma perché queste cose non emersero subito?
È quanto eventualmente stabilirà questa seconda inchiesta. Di sicuro la prima autopsia sul corpo di Pantani sbagliò a indicare l’ora presunta della morte e si rivelò molto superficiale anche nel valutare alcuni dati di medicina legale che avrebbero potuto aiutare a fare chiarezza sul caso.
Chi avrebbe avuto interesse a falsificare l’esito dell’inchiesta?
Difficile dirlo, di sicuro Pantani era finito in un giro di droga che magari coinvolgeva anche persone molto importanti. Avrebbe potuto parlare e fare dei nomi.
Per questo potrebbe essere stato ucciso?
È questa la tesi sostenuta dai legali dei genitori di Marco. Ed è quanto dovrà appurare questa seconda inchiesta. L’ipotesi di reato è addirittura di omicidio volontario a carico di ignoti e alterazione del cadavere e dei luoghi. Il procuratore capo di Rimini, Paolo Giovagnoli, ha affidato il fascicolo a Elisa Milocco, giovane sostituto procuratore. Toccherà a lei far luce su quanto avvenne quel giorno.
3 - «LO SCRISSI GIÀ ALLORA: TROPPI PUNTI OSCURI»
G. Vib. Per “la Stampa”
Philippe Brunel, giornalista francese e inviato speciale del quotidiano parigino L’Équipe, l’aveva già scritto nel suo libro «Gli ultimi giorni di Marco Pantani»: la morte del Pirata ha molti lati oscuri.
Brunel, che ne pensa di questa nuova inchiesta?
«L’avevo già detto dieci anni fa. Nella morte di Pantani ci sono troppe incongruenze, troppi episodi inspiegabili per poter accreditare la tesi del suicidio involontario».
È quanto però emerse dalla prima inchiesta...
«Mi interesso da molti anni di ciclismo, soprattutto italiano, e fui incaricato da L’Équipe di indagare, cercare di capire, raccogliere testimonianze e prove sulla morte di Pantani. E le cose non quadravano».
Che cosa soprattutto la lasciò perplesso?
«Tante cose. Marco era una persona precisa, quadrata e amabile. Impossibile che si sia messo a urlare e spaccare tutto nella sua stanza d’albergo, come dissero invece gli inquirenti della prima inchiesta».
Tutto qui?
«No, certo. Nella camera del residence Le Rose era stato portato del cibo che Marco odiava e non avrebbe mai mangiato, e poi le escoriazioni sul suo corpo, la bottiglia d’acqua mai analizzata, certi indumenti che non avrebbero dovuto essere lì, quel disordine troppo ordinato, il mancato rilevamento delle impronte...».
Per lei Pantani non era solo in quella stanza, vero?
«Ne sono sicuro. In quel residence si poteva entrare anche dal parcheggio sul retro, di sicuro Marco è stato raggiunto dal suo pusher ma credo anche da altre persone. Incredibile poi che quell’albergo, cioè la scena della morte di Pantani, sia stato completamente ristrutturato dopo pochissimo tempo, cancellando di fatto anche le eventuali possibili prove rimaste».
Ma chi e perché avrebbe voluto la morte di Pantani?
«Temo ci fossero sotto interessi molto grossi, che magari coinvolgevano anche persone importanti. Una storia di droga e prostituzione. Pantani era diventato un tossicodipendente, che frequentava gente senza scrupoli. A un certo punto non ha più saputo controllare la situazione, e ci ha rimesso la vita. Una morte oscura e irrisolta, però, come quelle di Tenco o Pasolini».
Brunel, che cosa si augura ora dalla nuova inchiesta?
«Marco era una persona sensibile e generosa che spesso si spingeva fino agli estremi, come faceva in bici. Per lui il ciclismo era finito e si sentiva smarrito, perduto. Ma era un uomo sincero e molto intelligente, che diceva sempre ciò che pensava e che sarebbe potuto diventare scomodo. Non può essere morto come un disperato, per un’overdose, da solo in una stanza d’albergo. Non è andata così. Marco merita giustizia».
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