lunedì 14 aprile 2014

L’APPELLO DEGLI INFAMI

- di Francesco Maria Toscano -
Qualche giorno fa è uscito sulle pagine del Corriere della Sera un appello pro euro firmato da un manipolo di milionari che ingrassano sulla pelle della povera gente (clicca per leggere)(*). I temerari curatori del testo, tutti ascari al servizio del progetto massonico-reazionario volto ad annichilire le classi medie e proletarie del Vecchio Continente, paventano scenari catastrofici nel caso in cui l’Italia dovesse abbandonare il “comune progetto comunitario”. Questi sepolcri imbiancati, tra i quali spicca l’ex ministro dell’Economia Saccomanni, fanno finta di non sapere che l’Italia sta già vivendo un incubo. Un incubo fatto di disoccupazione galoppante, precarietà, indigenza e miseria. Un incubo alimentato proprio della volontà assassina di tipi alla Saccomanni, sicario al servizio del Venerabile Draghi, pronto a riscuotere in prospettiva il frutto avvelenato delle sue turpi condotte per il tramite di una delle tante banche d’affari in giro per il mondo, sempre pronte ad offrire contratti generosi a quelli che, come Saccomanni per l’appunto, servono interessi speculativi privati pur ricoprendo incarichi pubblici. Gli economisti veri, quelli che non si prostituiscono nella speranza di fare i ministri dell’Economia o di vedersi riempire le tasche dai soliti colossi finanziari alla Goldman SachsMorgan Stanley o Jp Morgan (habitat naturale dove vivono in armonia con la natura anche i figli di Monti e Draghi), sostengono l’esatto contrario. Paul Krugman, non certoFabio Scacciavillani, non si stanca di condannare l’assurdità di una moneta senza Stato, sadicamente tenuta in balia delle scorribande dei mercati. Lo stesso dicasi per premi nobel del calibro di Stiglitz oAmartya Sen. D’altronde non ci vuole un phd a Chicago per capire che l’abbattimento dei salari provoca il calo della domanda interna, che provoca il crollo dei consumi, che provoca il crollo della produzione, determinando infine il crollo dell’occupazione. Basta il buon senso per rendersene conto. Buon senso che manca ai firmatari dell’infame appello di cui sopra, accecati da lussi e onori che non meritano, insensibili verso il dramma della povera gente ferita e umiliata da politiche scellerate e folli. I privilegiati che difendono l’euro così com’è oggi trasportano su un piano generale le loro paure personali. Nel caso in cui le politiche monetarie tornassero sotto il diretto controllo di politici eletti con metodo democratico, i servi degli speculatori globali vedrebbero evidentemente crollare il loro potere di mediazione e di ricatto. Quale premier sano di mente accetterebbe infatti un ministro dell’Economia come Grilli o Padoan, sapendo di dover rispondere del proprio operato solo al popolo sovrano anziché agli usurai globali? Nessuno. E quale banca d’affari privata elargirebbe somme consistenti ad oscuri tecnocrati, senza la garanzia di poter così facendo dominare le politiche dei governi finiti nel mirino dei soliti aristocratici schiavisti? Nessuna. E’ chiaro quindi il senso dell’appello vergato da questi sedicenti “economisti” tanto preoccupati per le sorti dell’Italia? Spero di sì. Paesi in difficoltà come la Grecia, il Portogallo e l’Italia, non potendo svalutare la moneta, sono costretti a svalutare all’infinito i salari. E questo non per colpa del debito pubblico, degli sprechi o della Casta. Ma semplicemente perché nessuno può indossare una cintura molto più stretta rispetto alla circonferenza di vita, se non a costo di affrontare una dieta drastica, inutile, feticistica e in prospettiva mortale. Gli unici che traggono sicuro beneficio dal mantenimento della moneta unica sono i proprietari dei capitali finanziari. Costoro possono infatti spostare liberamente i rispettivi patrimoni da un Paese all’altro, spolpare tutto il possibile, per poi dileguarsi senza dover affrontare il rischio di cambio. In conclusione, l’unica cosa pericolosa consiste nel prestar fede ai consigli di figuri opachi e meschini pagati per veicolare menzogne e cristallizzare gli equilibri esistenti. Da che mondo è mondo, infatti, affidare le pecore al lupo è mai una idea vincente.

http://www.informarexresistere.fr/2014/04/12/lappello-degli-infami/

(*)Uscire dall’euro, 
una tentazione pericolosa

Caro direttore, più le elezioni europee si avvicinano e più la campagna elettorale viene dirottata sul tema dell’uscita dell’Italia dall’euro. È giusto chiedere che la politica condotta nell’area dell’euro produca soluzioni più efficienti per l’Italia e per gli altri Stati membri di quelle degli anni passati. Ciò non toglie che uscire dall’euro aggraverebbe i problemi italiani, metterebbe a rischio l’integrità della costruzione europea e impedirebbe di proporre politiche alternative rispetto a quelle attuali. 
L’entrata dell’Italia nell’euro non era stata il frutto di sogni astratti di alcuni idealisti o dei complotti di speculatori finanziari. Fu la scelta consapevole del Parlamento italiano per porre fine a due decenni di turbolenze monetarie e di disordine delle finanze pubbliche; la scelta di un Paese fondatore che non voleva essere escluso dal processo di integrazione. Prima dell’unione monetaria, le periodiche svalutazioni del cambio avevano portato l’inflazione in Italia oltre il 20 per cento, senza migliorare durevolmente la competitività. Deficit di bilancio elevati e crescenti (fino a due cifre) avevano solo fatto aumentare a dismisura il debito pubblico, di cui tuttora paghiamo gli oneri gravosi, senza promuovere una crescita stabile. I tassi d’interesse erano arrivati a livelli proibitivi per i mutui delle famiglie e il credito alle imprese. Chi propone l’uscita dall’euro vuole in realtà tornare a quel modo di governare l’economia che la storia ha già condannato come fallimentare. 
I vantaggi dell’autonomia monetaria si rivelerebbero illusori. Al fine di contenere brusche fluttuazioni del cambio e di evitare fughe precipitose dei capitali, i responsabili delle politiche economiche italiane sarebbero infatti costretti a inseguire le politiche scelte dalle aree dell’euro e del dollaro.

Reintrodurre la lira significherebbe imporre ai cittadini italiani la conversione dei loro risparmi nella nuova moneta, destinata a perdere di valore nei confronti dell’euro. Gli italiani subirebbero dunque una svalutazione dei risparmi. Inoltre, la conversione dall’euro alla lira non potrebbe modificare le condizioni dei prestiti contratti dai residenti italiani nei confronti del resto del mondo. La svalutazione della lira determinerebbe quindi un aumento del valore dei debiti verso l’estero degli italiani, ponendo imprese e famiglie di fronte al rischio di insolvenza, con effetti a catena sul resto del sistema economico. 
Il passaggio dall’euro alla lira non risolverebbe i problemi strutturali che da anni attanagliano l’economia italiana: dalla rigidità dei mercati dei beni all’inefficiente utilizzo delle risorse umane; dal basso livello di scolarizzazione e di investimenti in ricerca alla produttività stagnante; dall’eccesso di regolamentazione burocratica che scoraggia gli investimenti produttivi all’arretratezza infrastrutturale; dalla lentezza della giustizia alla mancanza di concorrenza nei servizi locali, fino alla corruzione dilagante. Sono questi i veri nodi che occorre affrontare per ritornare alla crescita, combattere la disoccupazione, dare un futuro ai giovani. L’euro non ne ha colpa. 
Al contrario: l’uscita dall’euro rafforzerebbe la parte meno competitiva del Paese, quella meno aperta all’innovazione e maggiormente arroccata a difesa di privilegi che non hanno più ragione di essere. Sarebbe una fuga all’indietro verso una società più chiusa e introversa che danneggerebbe soprattutto i più giovani e le fasce più deboli della società.

Ritenere che si possa uscire dall’euro e al contempo rimanere a far parte a pieno titolo dell’Unione è una pura illusione. Da un lato l’Italia verrebbe emarginata e isolata. Dall’altro, l’uscita dell’Italia indebolirebbe gravemente l’Europa in una fase storica cruciale in cui ha semmai bisogno di compattezza per far fronte alla nuova instabilità politica che sorge alle sue frontiere. 
In conclusione, la proposta di uscire dall’euro, come se questa fosse una ricetta magica, non solo è basata su premesse sbagliate, ma distoglie l’attenzione dai reali problemi del Paese e toglie alla politica la responsabilità di fare proposte concrete per risolverli. Impedisce all’Italia di contribuire ai necessari cambiamenti della politica europea per contrastare la deflazione, la disoccupazione di massa e la stagnazione. 
L’Europa, e l’euro, non sono certo costruzioni perfette. Ma si possono migliorare solo partecipandovi a pieno titolo. 

Lorenzo Bini Smaghi, Franco Bruni, Marcello De Cecco, Jean-Paul Fitoussi, Marcello Messori, Stefano Micossi, 
Antonio Padoa Schioppa, 
Fabrizio Saccomanni, Gianni Toniolo

I firmatari collaborano, a vario titolo, alla Luiss School of European Political Economy (SEP). Quanti intendono aderire alle posizioni qui espresse, possono sottoscrivere inviando un e-mail a SEP@Luiss.it. Il documento con le adesioni sarà pubblicato nel sito sep.it 

http://www.corriere.it/economia/14_aprile_09/uscire-dall-euro-tentazione-pericolosa-5c295598-bfab-11e3-a6b2-109f6a781e55.shtml

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