Avvocati, che vitaccia. Spese fisse triplicate per legge: "Costretti a chiudere baracca"
'Squali' disoccupati
Tra assicurazioni obbligatorie, nuovo processo telematico, iscrizione e Cassa forense, la spesa fissa che un avvocato deve sostenere per tenere in vita la sua attività varia da 2500 a 6000 euro all’anno. E se i legali affermati ce la fanno, i giovani da poco presenti sul ’mercato’ sono costretti a rinunciare. Per la prima volta nella storia del foro di Termoli-Larino il numero dei nuovi iscritti cala e aumentano le cancellazioni dall’Ordine. "Un fenomeno doloroso, che toglie la speranza ai giovani" commenta il presidente Antonio De Michele.
“Cosa sono 1000 avvocati incatenati al fondo dell’oceano? Un buon inizio...”. La barzelletta, che da un letto di ospedale Tom Hanks - nel ruolo di Andrew Beckett - racconta all’avvocato che ha appena vinto la causa in sua difesa nel celeberrimo film Philadelfia, continua a far sorridere ma comincia a diventare anche un po’anacronistica.
Già. Squali, cinici, avidi, insensibili: gli aggettivi e le definizioni all’indirizzo dei legali si sprecano, nella letteratura, nel cinema e nella vita reale. Eppure oggi gli avvocati, specie quelli da poco entrati sul ‘mercato’, fanno la fame. E più che a squali assomigliano alle aragoste destinate alla cena del cliente di turno, semi tramortite nell’acquario dal quale lo chef pesca all’occorrenza.
Diego De Silva, apprezzato scrittore partenopeo che ha dato vita al personaggio di Vincenzo Malinconico, “avvocato semidisoccupato e filosofo involontario”, è riuscito a descrivere i pochi splendori e le molte miserie della categoria nei suoi romanzi. Dove si possono leggere frasi come questa: «Il fatto è che qui da noi gli avvocati sono diventati come gli assicuratori, o gli agenti immobiliari. Ce ne sono a bizzeffe, uno più affamato dell’altro. Basta fare due passi in una strada anche periferica e contare le targhette affisse ai portoni. (...) Qui si tratta, ma davvero, di stare sul mercato con un minimo di sensatezza (cioè, pagare le spese e portare qualche soldo a casa) o chiudere baracca».
Oppure quest’altra: «Non troverete mai un avvocato, o un qualsiasi altro professionista disperato che annaspa nella saturazione del mercato contemporaneo, disposto a dirvi: “Guadagno meno di una cameriera, se non fosse per la mia famiglia dovrei chiudere lo studio domani mattina, però vado in giro in giacca e cravatta e faccio finta di niente”. Non c’è verso. Nessuno di noi sputerà mai il rospo».
Il rospo non lo sputano di sicuro, e comprensibilmente: ne va dell’immagine professionale che per un avvocato è comunque fondamentale. Ma accanto al numero degli iscritti, sull’Albo professionale, comincia a comparire una voce parecchio eloquente, che restituisce la misura esatta di come sono cambiate le cose anche in Basso Molise, per quanto attiene alla professione legale. E’ la voce relativa allecancellazioni, alla decisione cioè di uscire dall’Albo professionale rinunciando, di fatto, a esercitare la professione. «Tra il 2013 e i primi mesi del 2014 il numero delle nuove iscrizioni e quello delle cancellazioni è sostanzialmente lo stesso» spiega il presidente dell’Ordine Avvocati di Larino e Termoli Antonio De Michele.
Non è un dato trascurabile. «Tra il 2013 e il 2014 l’Ordine ha avuto circa 20 nuovi iscritti» dicono dal quinto piano del Tribunale di Campobasso, dove ha sede il consiglio e dove ci sono gli uffici. Un numero di fatto neutralizzato dalle rinunce, che sono altrettante. E’ la prima volta che accade, e non senza motivo.
Gli avvocati iscritti al foro di Termoli-Larino sono tanti. Poco meno di 450 per un territorio di 100mila abitanti. Praticamente un avvocato ogni 200 cittadini (0,45 per cento a fronte di una media nazionale di 0,41 per cento). Ma oltre ai problemi legati alla durissima concorrenza interna e alla mancanza di liquidità fra i clienti che quando va bene pagano con ritardi enormi, la categoria deve fare i conti con una serie di oneri economici introdotti dalla riforma professionale che «rende davvero insostenibile, per chi è giovane e non ha una famiglia solida alle spalle, continuare a fare questo lavoro».
Si parte dall’iscrizione annuale all’Albo, passata da 100 a 150 euro. Si arriva poi alla Cassa Forense, che da quest’anno è obbligatoria. «Sono 850 euro ogni 12 mesi per i primi tre anni e per redditi inferiori ai 10mila euro» confermano sconsolati gli iscritti, molti dei quali increduli davanti all’onere da sborsare. Che quadruplica decorsi i tre anni dall’iscrizione, arrivando a 3500 euro almeno ogni anno per sostenere la previdenza e sperare di avere una pensione.
E non è finita, perché la riforma ha introdotto anche l’assicurazione professionale obbligatoria. Di cosa si tratta? «Una convenzione con le grandi compagnie assicurative che coprono eventuali danni causati da errori umani della categoria» sintetizza il presidente De Michele. Un avvocato del foro di Larino fa qualche esempio: «Se io sbaglio a impostare la causa, se mi dimentico di presentare Appello e faccio decorrere i termini, se mi scordo di citare un teste e perdo la causa, il cliente può chiedere a me i danni. L’assicurazione copre questo rischio, e io sono obbligato per legge a versare annualmente una polizza di circa 300 euro».
Facendo due conti, siamo già a quota 1300 euro. Che diventano 5mila per chi ha superato i 3 anni di iscrizione. E non è finita qua, perché da giugno sarà obbligatoria anche l’assicurazione per responsabilità civile, ovvero una sorta di indennizzo preventivo – sempre nell’ordine di 300 euro all’anno - contro il rischio di farsi male in ufficio per il cliente. «E’ ovvio che tanti giovani avvocati, che faticano a guadagnare anche il minimo, siano scoraggiati da un simile castelletto di oneri – continua il presidente dell’Ordine – Ed è doloroso assistere a questo fenomeno di cancellazioni e iscrizioni in forte calo, perché si toglie la speranza a un giovane, che magari ha studiato tanto e a costo di gradi sacrifici e non può contare su una famiglia in grado di mantenerlo a trenta o quaranta anni».
Già. Squali, cinici, avidi, insensibili: gli aggettivi e le definizioni all’indirizzo dei legali si sprecano, nella letteratura, nel cinema e nella vita reale. Eppure oggi gli avvocati, specie quelli da poco entrati sul ‘mercato’, fanno la fame. E più che a squali assomigliano alle aragoste destinate alla cena del cliente di turno, semi tramortite nell’acquario dal quale lo chef pesca all’occorrenza.
Diego De Silva, apprezzato scrittore partenopeo che ha dato vita al personaggio di Vincenzo Malinconico, “avvocato semidisoccupato e filosofo involontario”, è riuscito a descrivere i pochi splendori e le molte miserie della categoria nei suoi romanzi. Dove si possono leggere frasi come questa: «Il fatto è che qui da noi gli avvocati sono diventati come gli assicuratori, o gli agenti immobiliari. Ce ne sono a bizzeffe, uno più affamato dell’altro. Basta fare due passi in una strada anche periferica e contare le targhette affisse ai portoni. (...) Qui si tratta, ma davvero, di stare sul mercato con un minimo di sensatezza (cioè, pagare le spese e portare qualche soldo a casa) o chiudere baracca».
Oppure quest’altra: «Non troverete mai un avvocato, o un qualsiasi altro professionista disperato che annaspa nella saturazione del mercato contemporaneo, disposto a dirvi: “Guadagno meno di una cameriera, se non fosse per la mia famiglia dovrei chiudere lo studio domani mattina, però vado in giro in giacca e cravatta e faccio finta di niente”. Non c’è verso. Nessuno di noi sputerà mai il rospo».
Il rospo non lo sputano di sicuro, e comprensibilmente: ne va dell’immagine professionale che per un avvocato è comunque fondamentale. Ma accanto al numero degli iscritti, sull’Albo professionale, comincia a comparire una voce parecchio eloquente, che restituisce la misura esatta di come sono cambiate le cose anche in Basso Molise, per quanto attiene alla professione legale. E’ la voce relativa allecancellazioni, alla decisione cioè di uscire dall’Albo professionale rinunciando, di fatto, a esercitare la professione. «Tra il 2013 e i primi mesi del 2014 il numero delle nuove iscrizioni e quello delle cancellazioni è sostanzialmente lo stesso» spiega il presidente dell’Ordine Avvocati di Larino e Termoli Antonio De Michele.
Non è un dato trascurabile. «Tra il 2013 e il 2014 l’Ordine ha avuto circa 20 nuovi iscritti» dicono dal quinto piano del Tribunale di Campobasso, dove ha sede il consiglio e dove ci sono gli uffici. Un numero di fatto neutralizzato dalle rinunce, che sono altrettante. E’ la prima volta che accade, e non senza motivo.
Gli avvocati iscritti al foro di Termoli-Larino sono tanti. Poco meno di 450 per un territorio di 100mila abitanti. Praticamente un avvocato ogni 200 cittadini (0,45 per cento a fronte di una media nazionale di 0,41 per cento). Ma oltre ai problemi legati alla durissima concorrenza interna e alla mancanza di liquidità fra i clienti che quando va bene pagano con ritardi enormi, la categoria deve fare i conti con una serie di oneri economici introdotti dalla riforma professionale che «rende davvero insostenibile, per chi è giovane e non ha una famiglia solida alle spalle, continuare a fare questo lavoro».
Si parte dall’iscrizione annuale all’Albo, passata da 100 a 150 euro. Si arriva poi alla Cassa Forense, che da quest’anno è obbligatoria. «Sono 850 euro ogni 12 mesi per i primi tre anni e per redditi inferiori ai 10mila euro» confermano sconsolati gli iscritti, molti dei quali increduli davanti all’onere da sborsare. Che quadruplica decorsi i tre anni dall’iscrizione, arrivando a 3500 euro almeno ogni anno per sostenere la previdenza e sperare di avere una pensione.
E non è finita, perché la riforma ha introdotto anche l’assicurazione professionale obbligatoria. Di cosa si tratta? «Una convenzione con le grandi compagnie assicurative che coprono eventuali danni causati da errori umani della categoria» sintetizza il presidente De Michele. Un avvocato del foro di Larino fa qualche esempio: «Se io sbaglio a impostare la causa, se mi dimentico di presentare Appello e faccio decorrere i termini, se mi scordo di citare un teste e perdo la causa, il cliente può chiedere a me i danni. L’assicurazione copre questo rischio, e io sono obbligato per legge a versare annualmente una polizza di circa 300 euro».
Facendo due conti, siamo già a quota 1300 euro. Che diventano 5mila per chi ha superato i 3 anni di iscrizione. E non è finita qua, perché da giugno sarà obbligatoria anche l’assicurazione per responsabilità civile, ovvero una sorta di indennizzo preventivo – sempre nell’ordine di 300 euro all’anno - contro il rischio di farsi male in ufficio per il cliente. «E’ ovvio che tanti giovani avvocati, che faticano a guadagnare anche il minimo, siano scoraggiati da un simile castelletto di oneri – continua il presidente dell’Ordine – Ed è doloroso assistere a questo fenomeno di cancellazioni e iscrizioni in forte calo, perché si toglie la speranza a un giovane, che magari ha studiato tanto e a costo di gradi sacrifici e non può contare su una famiglia in grado di mantenerlo a trenta o quaranta anni».
Il colpo di grazia l’ha inferto poi il cosiddetto processo civile telematico.Ora c’è l’obbligo da parte dei legali iscritti all’Albo di confezionare atti giuridici non su carta ma su file elettronici. Peccato che per poterlo fare, dunque adeguarsi alla legge, sia obbligatorio l’acquisto di un software collegato con le cancellerie e in contatto con tutte le giurisdizioni d’Italia. «L’obbligo – spiega un legale esasperato – prevede che noi avvocati ci dotiamo di una consolle, venduta da due o tre società in Italia, o in alternativa di programmi specifici installati tramite pen-drive. Per semplificare: o acquistiamo un hardware o un software, che nella migliore delle ipotesi ci costa, nella versione base, 700 euro l’anno. Somma alla quale bisogna aggiungere il costo della firma digitale, altri 100 euro».
E se alcuni avvocati più in là con gli anni e poco avvezzi alle tecnologie hanno rinunciato a esercitare perché il processo telematico «complica troppo le cose, diventa una vera rogna per chi non ha grande dimestichezza col web», i più giovani, che tecnologici invece lo sono, rinunciano a causa dei costi altissimi. E protestano: «Questa operazione porterà nella casse delle società convenzionate con lo Stato 250 milioni di euro. Siamo 250mila in Italia, il conto è presto fatto: mille euro all’anno fanno 250 milioni di euro. Puzza di truffa, di ricatto».
La sensazione diffusa tra gli iscritti è che la riforma abbia come fine ultimo fare quella drastica selezione interna che non si può fare bloccando l’accesso alla professione col numero chiuso, perché violerebbe la libertà e l’etica. «Così le stanno pensando tutte per renderci impossibile la vita. Di questo passo il lavoro di avvocato lo possono fare solo i ricchi o comunque chi opera da tempo e ha una clientela fidelizzata che lo mette in condizione di poter sostenere i costi fissi. E gli altri? E noi?».
Insomma, una vitaccia. «Tanto più che oggi non ti paga nessuno, ma se vuoi costruirti una clientela devi lavorare a credito, altrimenti da te non ci viene nessuno». Avvocati poveri, al limite della disoccupazione e della disperazione. E quelli che arrangiano facendo i difensori d’ufficio non stanno messi meglio, visto che, precisa ancora De Michele, «vengono pagati poco e con un ritardo enorme, anche di 3 o 5 anni».
E se alcuni avvocati più in là con gli anni e poco avvezzi alle tecnologie hanno rinunciato a esercitare perché il processo telematico «complica troppo le cose, diventa una vera rogna per chi non ha grande dimestichezza col web», i più giovani, che tecnologici invece lo sono, rinunciano a causa dei costi altissimi. E protestano: «Questa operazione porterà nella casse delle società convenzionate con lo Stato 250 milioni di euro. Siamo 250mila in Italia, il conto è presto fatto: mille euro all’anno fanno 250 milioni di euro. Puzza di truffa, di ricatto».
La sensazione diffusa tra gli iscritti è che la riforma abbia come fine ultimo fare quella drastica selezione interna che non si può fare bloccando l’accesso alla professione col numero chiuso, perché violerebbe la libertà e l’etica. «Così le stanno pensando tutte per renderci impossibile la vita. Di questo passo il lavoro di avvocato lo possono fare solo i ricchi o comunque chi opera da tempo e ha una clientela fidelizzata che lo mette in condizione di poter sostenere i costi fissi. E gli altri? E noi?».
Insomma, una vitaccia. «Tanto più che oggi non ti paga nessuno, ma se vuoi costruirti una clientela devi lavorare a credito, altrimenti da te non ci viene nessuno». Avvocati poveri, al limite della disoccupazione e della disperazione. E quelli che arrangiano facendo i difensori d’ufficio non stanno messi meglio, visto che, precisa ancora De Michele, «vengono pagati poco e con un ritardo enorme, anche di 3 o 5 anni».
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