Mille crepe nelle mura capitaliste
Quello di aprire, espandere e moltiplicare le crepe immaginate da John Holloway è un lavoro di pazienza. Servono gli strumenti e gli operai disponibili, diversi da luogo a luogo, ma un certo “saper fare” sembra finalmente poter cominciare diffondersi anche in Europa. Da Niscemi alla Val di Susa, dall’Amiata al Notre-Dame des Landes e, soprattutto, al Gamonal di Burgos, arrivano segnali incoraggianti sull’apertura di un cammino incerto ma di notevole interesse
di Aldo Zanchetta
John Holloway non è molto noto al grande pubblico italiano. E’ uno studioso irlandese che vive in Messico, dove insegna all’Università di Puebla. Il suo libro più famoso, “Cambiare il mondo senza prendere il potere. Il significato della rivoluzione oggi“, è stato pubblicato in Italia nel 2004 da Carta. Uscita di scena, dopo 12 anni, l’esperienza di Carta, l’ultima fatica di Holloway, “Crack Capitalism“ , è andata in libreria con Derive e Approdi (lasciando anche qualche malumore per complesse vicende tra chi lo aveva curato). Il senso che Holloway assegna al verbo inglese “to crack“ – racconta chi ne ha discusso a lungo con lui prima dell’uscita del libro – è esattamente quello di“aprire delle crepe”, cioè dei momenti di ribellione o degli spazi comuni nei quali affermiamo forme diverse del nostro “fare”. In questi anni, le rotture o, se preferite, le aperture delle crepe si espandono e moltiplicano in modo quasi impossibile da prevedere e assai difficile da organizzare.
Quelle di Holloway sono tesi che hanno provocato grandi discussioni e accese polemiche nelle sinistre rivoluzionarie di tutto il mondo. Sarà bene tornare a parlarne alla luce di quanto di nuovo continua a muoversi dentro, contro e oltre il capitalismo nel mondo. Ad ogni modo, visto che il capitalismo sembra ancora oggi invincibile sul piano dello scontro diretto, la strada possibile potrebbe essere proprio quella di aprire cento, mille crepe nelle sue mura, fino a renderle vulnerabili. Esiste davvero, concretamente, un’altra strada oggi?
Le crepe prodotte dai movimenti sociali (non certo dai partiti, trasformati piuttosto in intonaco a protezione delle mura) sembrano peraltro moltiplicarsi di anno in anno. Potremmo farne un inventario, anzi vorremmo farlo presto, per documentare questa affermazione. Quello di aprire crepe è un lavoro di pazienza, servono gli strumenti e gli operai disponibili, diversi da luogo a luogo, ma questo “saper fare” ora sembra finalmente cominciare a diffondersi. Non è un processo facile: bisogna imparare ad aggirare leggi statali sulla “sicurezza” sempre più stringenti, ad esempio. La criminalizzazione della protesta sociale, a lungo sperimentata in passato da governi di ogni colore in America Latina, ha ripreso da tempo vigore anche in Europa. Verso la fine dell’anno scorso, Spagna e Gran Bretagna hanno varato nuove leggi, mentre l’Italia prova a farlo con un’interpretazione sempre più rigida di quelle esistenti. Lo dimostra anche l’esito dell’ultimo processo ai giovani No Tav arrestati. Una vicenda sulla quale torneremo presto perché è un caso essenziale per tutta la protesta italiana e questo spiega anche la durezza della repressione messa in campo dal “potere”.
Una durezza, dicevamo, che ricorda quella messa in atto in America Latina, continente da dove continuano ad arrivare ancora risonanze importanti non solo per quel che riguarda la repressione. Sarebbe certamente utile conoscere meglio alcune delle lotte in corso oggi tra i movimenti sociali che sembrano più combattivi e creativi. Una recente e significativa vittoria è stata di certo quella ottenuta contro la Monsanto a Córdoba, in Argentina. La lotta sarà ancora lunga ma il fatto che la multinazionale abbia dovuto sospendere la costruzione del suo maggior impianto latinoamericano è davvero importante, d’altra parte, la giornata mondiale contro il colosso multinazionale Ogm del 12 ottobre è stata celebrata in ben 52 paesi. Anche in Europa, naturalmente, e proprio all’Europa vogliamo tornare per concludere questo nostro spunto di riflessione. Non a quella di Bruxelles, è ovvio, quella non è casa nostra, è cosa loro. Parliamo dell’Europa di una crescente resistenza popolare, che abbiamo potuto vedere da Niscemi alla Val di Susa, e poi su su fino a Notre-Dame des Landes in Francia o a Burgos in Spagna.
Prima di soffermarci sulla risposta alla speculazione immobiliare che ha investito la “tranquilla” città di provincia iberica, vogliamo però ricordare ancora una piccola-grande vittoria italiana di questi giorni. È quella ottenuta sul Monte Amiata, con la sospensione dei lavori della costruenda centrale Enel di Bagnore IV, per la quale il TAR ha parzialmente accolto il ricorso presentato da Sos Geotermia, Forum Ambientalista di Grosseto, WWF e Italia Nostra, riconoscendo l’inadeguatezza dell’analisi di impatto ambientale presentata dall’Enel. Un successo significativo per la difesa del territorio, della salute dei cittadini e della democrazia.
E veniamo finalmente agli avvenimenti del quartiere Gamonal, nella città di Burgos, regione spagnola di Castilla y León. Avvenimenti significativi perché esemplificano un fenomeno ormai comune a centinaia di città del mondo: la ristrutturazione di interi quartieri per privilegiare attività commerciali e abitazioni di lusso porta di fatto ad espellere gli abitanti che non possono sopportare l’aumento degli affitti e dei vari costi in generale. Questo tipo di ri-qualificazione, che in gergo viene chiamata “gentrificazione”, è uno delle tante forme in voga che consentono di proseguire l’accumulazione capitalista, ora che l’economia finanziaria ha preso il posto della languente economia produttiva. Gentrificazione è una parola nuova per molti, che Wikipedia definisce così: “con il termine gentrificazione (in inglese, gentrification, che deriva da gentry, la piccola
nobiltà inglese), si indicano i cambiamenti socio-culturali in un’area, risultanti dall’acquisto di beni immobili da parte di una fascia di popolazione benestante in una comunità meno ricca“.
Si tratta dunque dello stesso tipo di operazione che, come certo i lettori di Comune-inforicorderanno, è stata all’origine dell’insurrezione di piazza Taksim a Istanbul nella scorsa estate. Quello di Gezi Park è stato un movimento che ha avuto echi in tutta la Turchia ma anche nel mondo intero, come ad esempio nelle manifestazioni a Rio de Janeiro di giugno. A Buenos Aires e in diverse zone dell’America Latina questo tipo di operazioni vengono invece definite “estrattivismo urbano”, in analogia con l’estrattivismo minerario o quello dalla terra, con l’ iper-sfruttamento delle capacità produttive di suoli stressati da monoculture che si susseguono negli anni.
A Burgos, Gamonal rappresenta ancora un quartiere con una fisionomia precisa e un forte spirito indipendente, lo spirito degli abitanti di un piccolo comune periferico, autonomo fino alla metà degli anni Cinquanta, e poi, a poco a poco, fagocitato dall’espansione della grande città di Burgos. Una delle strade principali del Gamonal, La Vitoria, doveva essere “ri-qualificata”, con un investimento previsto in 8,5 milioni di euro. Sarebbe servito a far posto a negozi di lusso e a un parcheggio pubblico di 250 posti che sarebbero stati ceduti a privati al costo di 20mila euro cadauno. Naturalmente, in superficie sparivano intanto i 350 parcheggio pubblici. Il progetto era stato contestato da tempo dagli abitanti del Gamonal, che mai erano stati ricevuti dalle autorità cittadine. Così, il giorno previsto per l’inizio dei lavori, centinaia di persone sono scese in strada per impedire l’entrata delle ruspe. La reazione delle cosiddette “forze dell’ordine” è stata così violenta da indignare l’intera città e spingere nuovi gruppi di cittadini al sostegno di quelli del Gamonal. Uno dei manifestanti ha detto a un giornalista: “In questi anni ci hanno tolto talmente tanto che ci hanno tolto anche la paura”. Dopo tre giorni e tre notti di duri scontri, il progetto è stato sospeso.
Ci sono molte buone ragioni per considerare quella del Gamonal una vicenda esemplare. Per concludere il nostro ragionamento, proviamo qui ad elencarne soltanto tre.
La prima: Gamonal è una comunità di quartiere, in precedenza un piccolo paese, che non vuole perdere le proprie radici e il senso stesso della sua esistenza. Di fronte alla dirompente “modernizzazione”, sta progressivamente riacquistando una sua dimensione politica. Una recente indagine demoscopica ha rilevato infatti un crescente interesse degli abitanti alla politica attiva: il 28,5 per cento delle persone interrogate ha affermato di aver partecipato nel 2013 a manifestazioni autorizzate; è il 7 per cento in più di un anno fa, mentre il numero di manifestazioni nel 2012 è aumentato del 365 per cento (sì avete letto bene) rispetto all’anno precedente.
La seconda: la violenza dell’intervento della polizia anziché disperdere i manifestanti ne ha richiamati altri da diverse zone della città e ha subito originato manifestazioni di solidarietà in oltre 40 città spagnole. Questa reazione alla brutalità della repressione si accompagna al malessere per il dilagare degli scandali, le frodi e le spese ritenute inutili.
La terza: sullo sfondo dell’investimento immobiliare è apparso evidente l’intreccio perverso fra politica e malaffare, un fenomeno ormai largamente generalizzato. L’esecuzione dei lavori era stata assegnata alla società M.B.G. di proprietà di tal Méndez Pozo, un imprenditore già noto a causa di una condanna a due anni di carcere per falsificazione di documenti in un’altra opera pubblica a Burgos. L’assessore all’urbanistica Javier Lacalle era stato al centro di uno scandalo per una vacanza in Costa Azzurra a spese di un gruppo di costruttori locali coordinati dal figlio di Pozo. Questi imprenditori, due mesi dopo la vacanza, avevano ottenuto l’incarico di costruire un tunnel in una zona della città.
Foto: la protesta del Gamonal, wikipedia. Rodrigo Mena Ruiz
http://comune-info.net/2014/02/cento-mille-crepe-nelle-mura-capitaliste/
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