sabato 1 febbraio 2014

Due firme contro “clandestinità”

“Sappiamo bene che la volontà popolare che si esprime attraverso referendum e leggi d’iniziativa popolare può essere ignorata o tradita da governi e parlamenti. E tuttavia – scrive Annamaria Rivera – sollecitare l’iniziativa dal basso su temi cruciali è già uscire dalla gabbia in cui pretende di rinchiuderci il governo delle larghe intese”. Ecco le ragioni per firmare subito la richiesta di due quesiti referendari riguardanti l’immigrazione (per poter presentarli servono 500.000 firme in tre mesi…).
di Annamaria Rivera

migDal traballante governo delle larghe intese quasi null’altro c’è da aspettarsi se non iniziative antipopolari spacciate per risposta alla recessione, qualche modesto provvedimento enfatizzato come misura contro la disoccupazione, il tentativo di stravolgere principi e meccanismi della Costituzione e di dare una torsione presidenzialista all’assetto istituzionale.
Ben poco possiamo sperare quanto al piano dell’ampliamento della sfera delle libertà e dei diritti civili, del contrasto dell’omofobia e del razzismo, di misure che riducano la discriminazione ai danni dei migranti, dei rom, dei rifugiati. E ciò a dispetto della ministra Cécile Kyengé il cui mandato, temiamo, potrebbe essere – malgrado la sua buona volontà e le pur apprezzabili iniziative simboliche – poco più che un’esperienza umana e politica utile a misurare il tasso di arretratezza provinciale e d’impudente razzismo che caratterizza settori della politica e della società. In nessun altro paese civile si dileggia e s’insulta pubblicamente un ministro per il colore della pelle e le origini; così come in nessun altro paese civile il Capo dello Stato riceve con tutti gli onori un politico pluricondannato per reati gravi e infamanti.
E’ in base a queste e altre considerazioni sull’importanza e l’urgenza di azioni politiche dal basso che ho aderito all’iniziativa – proposta dai Radicali italiani e lanciata dal comitato Cambiamo Noi – di due quesiti referendari riguardanti l’immigrazione (facenti parte di un “pacchetto” che comprende il divorzio breve, una nuova politica sulle droghe, la questione del finanziamenti ai partiti e alle religioni). Il primo quesito è volto ad abrogare la norma aberrante che ha reso un reato l’ingresso e il soggiorno irregolari nel territorio italiano, istituendolo, in più, come aggravante di altri reati. Il secondo riguarda gli articoli 4bis e 5bis del Testo unico sull’immigrazione, che legano indissolubilmente la possibilità di restare in Italia al requisito di un contratto di lavoro regolare.
Non sono l’unica non radicale ad aver sostenuto questi due quesiti referendari. V’è un buon numero di sindacalisti, politici, intellettuali, attivisti antirazzisti, amministratori (per es., Giusi Nicolini, sindaca di Lampedusa). E con essi alcuni soggetti politici o associativi: SEL, il Partito socialista italiano, LasciateCIEntrare, Antigone, il Forum Droghe, Prendiamo la parola, Senzaconfine, A buon diritto, il Coordinamento donne contro il razzismo e il sessismo (Casa internazionale delle donne). Alcune di queste associazioni fanno parte anche del cartello che ha lanciato la campagna per tre proposte di legge di iniziativa popolare, una delle quali, “Per la legalità e il rispetto della Costituzione nelle carceri”, prevede ugualmente l’abrogazione del reato di “clandestinità” (gli altri temi sono l’introduzione del reato di tortura nel codice penale e la modifica della legge sulle droghe).
Le norme che ho citato non sono le sole che andrebbero abrogate, nondimeno sono architravi del sistema giuridico che regola l’immigrazione, reso particolarmente perverso dalla Bossi-Fini e dal cosiddetto pacchetto-sicurezza (legge n. 94 del 2009), partorito dal ventre razzista della Lega Nord. Ricordiamo che il mostro giuridico – fortemente voluto da Maroni – che, tra gli altri misfatti, ha criminalizzato la “clandestinità”, ebbe infine l’approvazione del Presidente della Repubblica. Malgrado la valanga di firme di associazioni e di cittadini/e, anche assai illustri, che gli domandavano non promulgare le “nuove leggi razziali”, il Capo dello Stato firmò, pur ammettendo ufficialmente che si trattava di norme “di dubbia coerenza con i principi generali dell’ordinamento e del sistema penale vigente”. Ho parlato a bella posta di mostro giuridico: che altro è una norma che sanziona non una condotta bensì una condizione e uno status creati dalle stesse norme?
Come è noto, il Testo unico sull’immigrazione – modificato in peggio da leggi e decreti della destra – condiziona l’ingresso e il soggiorno regolari al requisito di un regolare contratto di lavoro subordinato e alla garanzia del datore di lavoro circa la disponibilità di un alloggio e il pagamento delle spese di rientro nel paese di origine. Nonché a un “accordo di integrazione” a punti, macchinoso e punitivo: anch’esso contenuto nella legge del 2009, entrato in vigore sul finire del 2011, giusto alla vigilia delle dimissioni del quarto governo Berlusconi, e reso operativo da una direttiva congiunta di due ministri del governo Monti, Cancellieri e Riccardi.
E’ esattamente questo meccanismo a produrre e riprodurre “clandestinità”. La colpa d’autore che è divenuto, col pacchetto-sicurezza, il soggiorno irregolare serve in definitiva a marchiare a fuoco i “clandestini”, ad additarli come nemici pubblici e a giustificare ancor più l’esistenza dei lager per migranti. Queste strutture extra ordinem, istituite nel 1998 dalla legge Turco-Napolitano, sono state via via peggiorate dall’accanimento razzista del trio Bossi-Fini-Maroni. Basta dire che il limite massimo di “trattenimento” (in realtà, una detenzione peggiore di quella carceraria) è passato dai 30 giorni fissati dalla Turco-Napolitano ai 18 mesi di oggi. Per inciso va detto che divengono lager anche quando si chiamano Cara: i centri per richiedenti asilo ove sono ammassate in analoghe condizioni disumane molte centinaia di persone, sottoposte a stress insostenibile. Così può accadere, come nel Cara di Bari la notte fra il 2 e il 3 luglio scorsi, che vi scoppino risse perfino mortali.
La criminalizzazione della “clandestinità” e i due articoli di cui ho detto non fanno che abbassare ulteriormente il costo della forza-lavoro immigrata, rendendola sempre più debole e ricattabile e alimentando caporalato e forme di sfruttamento di tipo servile o schiavile. Non servono affatto, invece, a ridurre l’area dell’irregolarità. Secondo il Dossier Caritas-Migrantes del 2012, i permessi di soggiorno non rinnovati sono stati 263mila, più numerosi dei permessi rilasciati, il che significa per lo Stato italiano anche una perdita in termini d’introito fiscale.
In conclusione. Sappiamo bene che anche la volontà popolare che si esprime attraverso referendum e leggi d’iniziativa popolare può essere ignorata o tradita da governi e parlamenti. E tuttavia sollecitare l’iniziativa dal basso su temi cruciali è già uscire dalla gabbia in cui pretende di rinchiuderci il governo delle larghe intese.

Fonte: micromega (titolo originario: Migranti, due firme contro le norme che producono la “clandestinità”).
Annamaria Rivera è antropologa, saggista, scrittrice e docente di etnologia e di antropologia sociale presso l’Università di Bari. Vegetarina è editorialista per il manifesto e lo è stata per Carta eLiberazione, soprattutto sui temi dell’antirazzismoOggi, tra le altre cose, collabora con le case editrici Dedalo e Ediesse. Tra i suoi saggi segnaliamo La Bella, la Bestia e l’Umano. Sessismo e razzismo senza escludere lo specismo (Ediesse, Roma 2010),  L’imbroglio etnico, in quattordici parole-chiave (Dedalo, Bari 2001).
http://comune-info.net/2013/07/due-firme-contro-clandestinita/

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