sabato 1 febbraio 2014

Saviano, confuso e disinformato

Scrive Marco Trotta (collaboratore di Comune-info, si occupa da anni di giornalismo digitale e movimenti) su facebook: “Ecco un articolo di Arianna Ciccone che smonta pezzo per pezzo l’editoriale di Roberto Saviano a proposito di informazione e web. Consiglio di leggerlo. E consiglio alle/ai molt* fans di Saviano di fare una riflessione: ma perché uno che ha costruito la sua carriera sulla denuncia delle infiltrazioni mafiose deve essere ugualmente autorevole quando si avventura su temi come i movimenti di protesta in piazza, la guerra in Afghanistan, conflitto arabo-israeliano, informazione e rete?”. Di seguito, l’articolo di Arianna Ciccone pubblicato da Valigiablu.it (che ringraziamo). Sul caso Snowden suggeriamo di leggere anche quanto scritto da Giuliano Santoro:La solitaria rivincita del nerd.
Caro Saviano, ma che c’entra invocare le regole per il web?
L’articolo, pubblicato su La Repubblica, sul caso Snowden e il programma di sorveglianza di massa dell’NSA è un’analisi superficiale e confusa delle dinamiche della Rete e del giornalismo ai tempi di Internet.
di Arianna Ciccone
2Ho trovato l’articolo di Roberto Saviano sul caso Snowden (che preferirei chiamare caso NSA, perché la vicenda, che investe più questioni, ha come fulcro la sorveglianza di massa da parte dell’Agenzia Nazionale per la Sicurezza degli USA) confuso, fragile e a tratti disinformato su alcune dinamiche del web, dei media tradizionali nel loro rapporto con il web, e della stessa storia di Wikileaks.
Vado per ordine e provo a spiegare passo per passo cosa non mi convince o su cosa non mi trovo d’accordo. Scrive Saviano:
Oggi c’è il web, innanzitutto, che tende a diffondere rapidamente notizia o pseudo-notizia: il web è un mare magnum dove si può trovare chiunque e qualsiasi cosa. È difficilissimo, talvolta praticamente impossibile, discernere il vero dal falso: teorici del complotto che si esercitano su ogni episodio, video che sembrano autentici si rivelano fake, blogger dediti all’arte della denigrazione. Nemmeno il metro della quantità è un criterio utile: migliaia di «mi piace» su Facebook o centinaia di retweet non sono garanzia né di veridicità né prova di un reale interesse. Si concede un apprezzamento massificato a idiozie, si diffondono notizie prive di sostanza o, peggio, false.
Anche la tv, per fare un esempio, diffonde rapidamente notizie o pseudo-notizie. Su questo credo che possiamo essere tutti d’accordo. Non si tratta di certo di una caratteristica specifica del web. Potrei fare un elenco molto dettagliato e quotidiano di pseudo-notizie diffuse in tv o sulla carta stampata. Quindi?
«Blogger dediti all’arte della denigrazione». Sì, come diversi giornalisti fanno spesso anche tra di loro. Qui non si tratta di categorie, si tratta di persone che a prescindere dal mezzo che utilizzano denigrano.
«Migliaia di “mi piace” non sono garanzia di veridicità». Certo, come migliaia di copie vendute di un giornale non sono garanzia di autorevolezza e credibilità… Ancora: quindi?
«Si concede un apprezzamento massificato a idiozie». Sì, avviene anche fuori dal web. In rete si diffondono notizie false e con la stessa velocità succede che vengano smantellate. Un TG del servizio pubblico può permettersi di diffondere notizie false: ricordo la battaglia Prescrizione non è assoluzione, 200mila firme raccolte dai cittadini – attraverso Facebook – che chiedevano una rettifica, mai concessa. Quindi?
Ma allo stesso tempo verità importanti che un tempo restavano segrete, o confinate in nicchie che nessuno scopriva, con la rete giungono immediatamente a tutti. Ad esempio: un filmato ripreso con un telefonino sulle violenze della polizia non potrà mai più essere nascosto. In una situazione del genere, i giornali, i media classici, si trovano davanti al compito difficilissimo di fungere da setacci volti a filtrare solo le notizie a prova di verifiche. I siti dei quotidiani oggi hanno questo ruolo cruciale: costruire autorevolezza. Eppure tale ruolo è minato nella sua credibilità dagli evidenti condizionamenti politici e ancor più economici che gravano sugli assetti e bilanci di molti dei media tradizionali: fragilità economica innescata proprio dalla trasmigrazione in rete della fruizione di notizie.
I giornali, i media classici, da sempre hanno il compito di verificare la fondatezza o meno di una notizia. Con il flusso continuo di notizie sul web questo compito è diventato più importante, più impegnativo, richiede altri tipi di competenze, capacità; anche talento. Ma il compito è quello di sempre. Non ho capito perché tale ruolo sarebbe minato dai condizionamenti politici ed economici: un media classico non riesce a svolgere bene questo compito – sul web – per condizionamenti politici? Quali? Per questioni di bilancio? Tipo: c’è la crisi economica e non possiamo garantire la qualità? È un’analisi che mi lascia molto perplessa, come la convinzione che la fragilità economica sia innescata proprio dalla trasmigrazione in rete della fruizione di notizie. Per capire: stiamo dicendo che la fragilità economica dei media classici è dovuta al fatto che le notizie si fruiscono anche in rete? Penso che la questione – crisi del giornalismo e di un sistema di business intorno alle notizie così come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi – sia molto più complessa, molto più profonda. E non merita di certo una simile semplificazione.
In questo smottamento generale del sistema dell’informazione, si giunge allo snodo Edward Snowden. La sua vicenda richiama quella di Julian Assange, anche se i metodi per far saltare i dispositivi di segretezza sono molto diversi. Ma Assange prima e Snowden poi, da soli, riescono a mettere in crisi sistemi complessi per un motivo semplice: si fanno network.
Ecco io questo passaggio logico – «in questo smottamento generale del sistema dell’informazione, si giunge allo snodo  Snowden» – proprio non lo comprendo. Che c’entra lo smottamento del sistema con lo snodo Snowden?
Invece Assange prima e ora Snowden hanno fatto in modo che quelle informazioni raggiungessero il web senza filtro, mediazione, spiegazioni. Wikileaks non fa altro che creare una piattaforma digitale dove possono essere riversate informazioni: Assange garantisce che siano autentiche ma non può esser certo che non siano state manipolate o diffuse con fini manipolatori. Sarà la rete a decodificarlo.
1Qui c’è un aspetto cruciale. Soprattutto con il caso NSA, come si fa a «dire senza filtro, mediazione, spiegazioni»? A suo tempo anche Wikileaks si affidò alla cura, alla selezione e al lavoro giornalistico ed editoriale di grandi testate. Ora Snowden si è affidato a un giornalista (sì anche blogger, attivista… spesso si usano in alternativa a «giornalista» per sminuire la professionalità di Glenn Greenwald) del Guardian, ha affidato le sue rivelazioni al Washington Post, non le ha affatto «gettate nel mare magnum del web». E anzi, le slide a disposizione dei giornalisti sono molte di più di quelle pubblicate, e si è deciso di non renderle pubbliche per motivi e giornalistici e di sicurezza.
È evidente che questo offre il fianco a molte contraddizioni. La rete è aperta a tutti, anche a chi fa circolare menzogne.
Sì, c’è una differenza fondamentale: i media mainstream non sono aperti a tutti eppure possono (e lo abbiamo visto) far circolare menzogne.
Nella parte conclusiva del ragionamento di Saviano mi perdo definitivamente:
Ma c’è un’altra faccia della medaglia: se la segretezza sta diventando impossibile anche la privacy, elemento sacro per mantenere la propria dignità, rischia di essere per sempre violata. Si può calpestare la privacy dei cattivi affari? Si deve far saltare la segretezza degli affari criminali, per esempio. Ma non quella personale, il dettaglio privato, qualunque dettaglio riferito a qualsiasi persona ne mini la reputazione o la renda anche solo ridicola. I grandi media iniziano a porsi dei limiti e a decidere cosa pubblicare e cosa no: verificano e decidono non solo cosa è vero e cosa è falso ma anche cosa è importante e cosa no per l’opinione pubblica. Il resto è affidato all’autarchia e all’anarchia della rete: cioè alla responsabilità dei singoli che premono il tasto invia e stabiliscono cosa va on line. Quale mondo sta venendo fuori? Un mondo in cui è impossibile difendersi. Ma soprattutto un mondo dove sta diventando sempre più difficile difendere l’informazione e valutarne l’attendibilità.
Forse è presto, ma prima o poi, bisognerà porre il problema delle regole nel vasto mare del web.
La segretezza e la privacy. Certo, la sorveglianza e la privacy sono due questioni fondamentali che emergono anche dalla vicenda NSA. Non capisco perciò il riferimento – per differenza con i singoli – ai grandi media che starebbero iniziando a porsi dei limiti e a decidere cosa pubblicare e cosa no. Mentre la rete sarebbe anarchia, perché ognuno di noi può pubblicare quello che vuole indipendentemente da verifiche e controlli. E perciò secondo Saviano prima o poi bisognerà porre delle regole al web.
La Nsa è in grado di intercettare tutte le comunicazioni del mondo, registrando i contenuti di ogni telefonata, email, chat, video, e il problema è il singolo che può pubblicare quello che vuole?
Ecco qua ci risiamo. Nel web non ci si può difendere: ma non è così che stanno le cose: un reato è un reato – quante volte lo abbiamo detto? –  nel web o fuori dal web. E la diffamazione, tanto per fare sempre il solito esempio, è un reato, e se diffamo online pago prezzi e rispondo delle mie azioni esattamente come fuori dal web.
I media tradizionali sarebbero garanzia di attendibilità, credibilità, verifica e discernimento del vero dal falso? Voglio fare solo un esempio recente per far capire quanto sia fragile un simile assioma: qualche giorno fa i giornali online di testate importanti hanno diffuso – con grandi aperture – l’appello di Snowden che da Twitter chiedeva sostegno al popolo dell’Ecuador per ottenere l’asilo politico. Solo che Snowden non ha nessun account su Twitter, i media hanno preso una brutta cantonata prendendo per vero un account fake. In Rete e soprattutto su Twitter, in molti tra utenti comuni e cupi blogger hanno verificato e segnalato alle grandi testate l’errore, che poi sono state costrette a rettificare (non sempre come ci saremmo aspettati: c’è chi ha cancellato la notizia senza spiegazioni, chi ha parlato di giallo e solo una testata ha ammesso l’errore scusandosi con i lettori). Chi ha diffuso la notizia falsa? Chi ha contribuito al fact checking e a ristabilire fatti e verità?
Che c’entra il caso Snowden con la richiesta di regole per il web? E una volta per tutte: la vogliamo smettere con questa richiesta generica? Ci volete far capire che cosa intendete esattamente quando invocate regole per il web? Per una volta mi piacerebbe entrare nel merito della proposta.
Non esistono media buoni e web cattivo (o viceversa). C’è un’informazione che non è più sotto il controllo di pochi, la notizia appartiene a tutti e tutti possono discuterne. In questa che, sì, è l’era dell’overload informativo, dove chi consuma sempre più spesso produce e partecipa al processo di produzione, dobbiamo sviluppare capacità che prima non erano richieste ai lettori tradizionali: anche chi non è giornalista deve attrezzarsi e non dare per buono tutto quello che scorre nel flusso del web. Ma questo non significa che servono regole per decidere chi può pubblicare e chi no.
Io ho imparato a verificare a non fidarmi ciecamente, a essere cauta nel diffondere una notizia anche se a darla è una grande testata, non ho il RT facile, diciamo. È una pratica quotidiana: cautela e verifica – per quanto mi è possibile – a partire dalle notizie che leggo sulla carta stampata, però.

http://comune-info.net/2013/07/saviano-confuso-e-disinformato/

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