giovedì 3 ottobre 2013

Messico: sfruttamento e resistenze

In tutto il mondo aumentano le forme di resistenza dei movimenti territoriali all’intensificazione dei progetti di sfruttamento e mercantilizzazione dei beni comuni naturali. Quello che si cerca di nascondere, però, è che sempre più spesso quelle ribellioni sono in grado di ostacolare lo sfruttamento, attraverso il ritardo o il blocco delle «grandi opere». In uno dei paesi più devastati, il Messico (qui analizzato in modo splendido), fino al 2011 si sono registrati un centinaio di conflitti socio-ambientali: i casi più imporanti in cui la resistenza ha raggiunto i suoi obiettivi sono quello decennale contro la megacentrale idroelettrica Presa La Parota (Guerrero) e quello a Paso de la Reina (Oaxaca), ma anche l’opposizione che ha fermato la costruzione dell’aeroporto a Texoco. Chi ha detto che No Tav e No Muos sono insignificanti?
di Mina Lorena Navarro*
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Negli ultimi anni si è verificato un considerevole aumento esponenziale dei conflitti socio ambientali in tutto il territorio messicano a causa della continuità, della maggior profondità, intensificazione ed espansione di progetti mirati al controllo, estrazione, sfruttamento e mercantilizzazione di beni comuni naturali. Quella che segue è un’analisi approfondita di tale progetto e delle resistenze ad esso.
Ciò che si sta verificando è un’enfasi sulle attività primarie dell’economia che va di pari passo con lo sviluppo di numerosi progetti di infrastrutture stradali, portuali e oasi turistiche. A questo dobbiamo aggiungere la spinta di un nuovo sistema agroalimentare in mano alle grandi multinazionali, a prezzo dell’esclusione massiccia dei piccoli produttori rurali. A conti fatti, si tratta di strategie attualizzate e rinnovate di sfruttamento dei beni comuni naturali.
Il carattere delle politiche di estrazione di nuovo conio è legato allo storico progetto coloniale che ha segnato l’America Latina da più di cinquecento anni. Non di meno, ora parliamo di una riconfigurazione nelle forme di accumulazione del capitale e di sfruttamento della natura che possiamo identificare come segue: 1) l’avvicinamento vertiginoso al limite di esaurimento dei beni naturali non rinnovabili, come il petrolio, il gas e i minerali tradizionali; 2) il salto qualitativo nello sviluppo delle tecniche di esplorazione e sfruttamento – più aggressive e pericolose per l’ambiente – che sta permettendo la scoperta e líestrazione di idrocarburi non convenzionali e di minerali rari, contesi a livello mondiale per il loro formidabile valore strategico sul piano economico e geopolitico;3) la progressiva trasformazione dei beni naturali rinnovabili di base – l’acqua dolce, la fertilità del terreno, i boschi e le foreste, etc. – in beni naturali potenzialmente non rinnovabili, e ogni volta più scarsi, dato che sono diventati i nuovi oggetti privilegiati del (neo)estrattivismo o dei suoi principi fondamentali (Acosta, 2001); e, per ultimo, 4) la conversione dei beni naturali – sia rinnovabili, sia non rinnovabili – in commoditidies. Si tratta di un tipo di asset finanziario che costituisce una sfera di investimento e speculazione straordinaria per il livello di profitto rapido ed elevato che movimenta il mercato dei futures, responsabili diretti dell’aumento fittizio dei prezzi degli alimenti e delle materie prime registrato nel mercato internazionale.
Tale riconfigurazione è stata promossa dalle politiche del capitale privato, e con la partecipazione dei governi nei loro differenti ambiti e livelli, attraverso strategie giuridiche, di cooptazione, disciplina e divisione delle comunità, repressione, criminalizzazione, militarizzazione e perfino controrivoluzione, per garantire a qualsiasi costo l’apertura di nuovi spazi di sfruttamento e mercantilizzazione.
Va’ fatto rilevare l’aumento di omicidi di attivisti legati alla difesa della terra e del territorio negli ultimi cinque anni, come il triste caso di Noè V·zquez del Colectivo Defensa Verde Naturaleza para Siempre, contro la diga el Naranjal a Veracruz, che è stato brutalmente assassinato pochi giorni fa – il 2 agosto, per essere precisi -, nell’ambito del X Incontro del Movimento Afectados por las Presas y en Defensa de los RÌos (Mapder) a Amatl·n de los Reyes a Veracruz.
Alla fine, le strategie di dominazione di Stato e capitale operano sulla base di quattro aspetti che cercano di occultare e mascherare il reale carattere dello sfruttamento:
1. I progetti di sfruttamento si presentano come mezzi per lo sviluppo, il progresso e il bene comune. Senza dubbio questo sviluppo non è uguale per tutti; al contrario, ci sono popolazioni e territori sacrificati con una vita trasformata radicalmente. Qui lo Stato appare come un arbitro neutrale e autonomo della logica economica. Nella sua apparente ricerca di garanzie dell’uguaglianza dei diritti di tutti i cittadini, dispiega una legalità che in nome dellíuguaglianza giuridica favorisce i potenti, consacrando lo sfruttamento e mantenendo la disuguaglianza di proprietà.
2. Sebbene sappiamo che i profitti dello sviluppo di alcuni sono a costo del sacrificio di altri, per evitare l’opposizione delle comunità ribelli si promette loro sviluppo locale, crescita economica e prosperità sociale. Indubbiamente, questa narrazione dello sviluppo è anchíessa un’apparenza, poiché i progetti, funzionando con una logica da enclave – cioè senza una proposta che integri le attività primarie-esportatrici al resto dellíeconomia e della società -, non promuovono i mercati interni, nè generano i posti di lavoro promessi. Di sicuro accentuano le condizioni di disuguaglianza e miseria, indeboliscono o smantellano la coesione, l’attecchimento e l’attaccamento comunitario, e generano un processo di espropriazione ed espulsione che porta alla migrazione e alla ricerca di opportunità, principalmente nelle città.
3. Tutti coloro che si oppongono all’interesse generale delle maggioranze vengono presentati come intransigenti, istigatori al disordine e oppositori del progresso. In questo modo si cerca di giustificare l’uso della violenza per mantenere il controllo sociale e non mettere a rischio i succosi investimenti di capitale.
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I progetti di sfruttamento hanno aumentato i livelli di pressione sull’estrazione di risorse naturali, intensificando la deforestazione, la perdita della biodiversità, il degrado del suolo e, in generale, hanno aggravato in maniera allarmante i livelli di deterioramento ambientale.
4. C’è una guerra contro le forme comunitarie – che nella maggior parte dei casi sono indigene e contadine – considerate come trascurabili, poco importanti e in alcuni casi inesistenti. La narrazione dello sviluppo si impone come un unico modo di pensare e di vivere, le altre forme sono pre-moderne o primitive. Si prova con ciò a disconoscere e dissimulare l’apporto vitale delle economie di sostentamento nella produzione di alimenti, così come nella conservazione dei beni naturali, per il resto della popolazione. Al riguardo, un chiaro esempio è quello segnalato da Silvia Ribeiro a proposito dell’alimentazione mondiale:
«Mentre l’agricoltura industriale (con agrotossici, ibridi, transgenici) occupa nel mondo l’80 per cento della terra coltivabile, ciò che produce arriva solo al 30 per cento della popolazione mondiale, con un volume di sprechi quasi uguale, usando il 70 per cento dell’acqua e dei combustibili ad uso agricolo. All’altro estremo, le contadine e i contadini e produttori su piccola scala occupano quasi il 20 per cento della terra e, insieme alla pesca artigianale, gli orti urbani e la raccolta nei boschi, alimentano il 70 per cento della popolazione mondiale» (Ribeiro, 2013).
Così, i progetti di sfruttamento hanno aumentato i livelli di pressione sull’estrazione delle risorse naturali, la perdita di biodiversità, il degrado del suolo e, in generale, hanno aggravato in maniera allarmante i livelli di deterioramento ambientale. Eppure, nonostante le condizioni così impari che affrontano le comunità, esse sono riuscite ad accorpare decine di resistenze in tutto il territorio messicano. Secondo la ricerca di Maria Fernanda Paz (2012), fino al 2011 si sono registrati 95 conflitti connessi allo sfruttamento dei beni comuni naturali, distribuiti in 21 stati del paese. Sebbene non tutti i processi di resistenza registrati abbiano raggiunto la piena difesa dei loro territori, è certo che molti sono stati in grado di ostacolare temporaneamente lo sfruttamento, attraverso il ritardo o il blocco diretto della implementazione dei megaprogetti.
I casi più eclatanti sono quello del Consejo de Ejidos y Comunidades Opositores a la Presa la Parota en Guerrero, che dopo più di dieci anni di resistenza, ha ottenuto la cancellazione definitiva dell’impresa; il Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra de Atenco che è riuscito a fermare la costruzione dell’aeroporto a Texoco; o il Consejo de Pueblos Unidos en Defensa del Rio Verde che è riuscito con successo a frenare la costruzione di una centrale idroelettrica a Paso de la Reina, Oaxaca: o gli abitanti di Cheran che, attraverso un ferreo processo di organizzazione, sono riusciti a fermare la distruzione dei loro boschi e a difendersi dai deforestatori; o le decine di comunità indigene e contadine che si rifiutano di seminare mais transgenico e di usare i pacchetti tecnologici promossi dal governo, e continuano a produrre milpa e a scambiare semi autoctoni, cosa che rafforza l’autonomia e la sovranità alimentare delle comunità; o la comunità di Cabo Pulmo e le organizzazioni affini che sono riuscite a fermare il devastante megaprogetto turistico. E che dire delle esperienze che hanno sviluppato progetti produttivi per l’autogestione, e altre ancora, come il caso di Capul·lpam de Mendez a Oaxaca, che ha ottenuto l’espulsione delle industrie cartiere dai suoi territori e il controllo dei suoi beni forestali, di pari passo con una serie di alternative avviate dalla comunità, tra le quali emergono le loro industrie, basate sull’ecoturismo e sullo sfruttamento sostenibile dei loro beni naturali.
Certo è che ciò che più conta di queste esperienze è che siano riuscite a mettere in luce aspetti cruciali della critica dello sviluppo capitalista e delle alternative possibili per affrontare la crisi ambientale. A tal proposito, esiste una molteplicità di voci ed esperienze che da diverse latitudini puntano a rafforzare le reti collettive e gli sforzi di ricomposizione comunitaria in spazi urbani e rurali per la produzione, gestione e ricreazione del comune. In ultima analisi, la sopravvivenza e protezione dei beni comuni costituisce una condizione fondamentale per la continuità della vita, che può continuare, e potenzialmente essere a carico di soggetti comunitari, a partire da forme di autoregolamentazione sociale che incorporino tra i loro principii freni e controlli al cattivo uso delle risorse. Si provano a sperimentare modalità comunitarie che, mediante la fiducia, la reciprocità, la cooperazione e la comunicazione rendano possibile la gestione del comune sulla base di una relazione sostenibile con la natura. Una questione centrale per la sopravvivenza umana di fronte alla crisi di civiltà che il mondo ha davanti.
Nelle successive collaborazioni di questa rubrica tratteremo più dettagliatamente alcuni dei temi che qui abbiamo menzionato. Si tratta di un contributo quindicinale per la comprensione delle strategie multiple dello sfruttamento e delle possibilità che si coltivano dal basso per la resistenza, lìorganizzazione e la costruzione di alternative.
Fonti consultate: 
ACOSTA, Alberto: ìExtractivismo y neoextractivimo: dos caras de la misma maldiciÛnî, in La lÌnea de Fuego, 23/12/2011. Disponibile in: http://lalineadefuego.info/2011/12/23/extractivismo-y-neoextractivismo-dos-caras-de-la-misma-maldicion-por-alberto-acosta/
PAZ, MarÌa Fernanda, ìDeterioro y resistencias. Conflictos socioambientales en MÈxicoî, in: Conflictos socioambientales y alternativas de la sociedad civil, ITESO, Guadalajara, 2012.
http://www.publicaciones.iteso.mx/libro.php?id=221
RIBEIRO, Silvia: «Contra el robo de la palabra», in La Jornada, 10/08/2013. Disponibile en: http://www.jornada.unam.mx/2013/08/10/opinion/022a1eco
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* Sociologa e docente della facoltà di Scienze politiche e sociali dell’Unam (Universidad Nacional Autonoma de Mèxico). Partecipa al Laboratorio Multimedia per la Ricerca Sociale. Membro di Jùvenes en Resistencia Alternativa. mina.navarro.t@gmail.com
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Fonte: http://otramerica.com

Traduzione per Comune-info di Elisabetta Mincato.

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