giovedì 3 ottobre 2013

A 1700 anni dall’Editto di Milano serve un nuovo patto per la tolleranza religiosa

La parola tolleranza non a tutti piace, è vero, ma mai come oggi il solo tollerante riconoscimento della libertà di culto sarebbe un primo importante passo verso diritti che vanno affermati e difesi. 

Solo nel 2013, infatti, sono migliaia i credenti di ogni religione vittime di crescenti discriminazioni e persecuzioni su base religiosa che colpiscono ormai indifferentemente Cristiani, Musulmani sciiti o sunniti, Ahmadiyyah, Buddisti, Hindu, Bahai'i, Mandei, Ebrei, membri del Falun Gong e molte altre comunità religiose sparse in tutti i cinque i continenti.
Anche per questo il 21 settembre scorso la città serba di Niš ha festeggiato il 1700esimo anniversario dell’Editto di Milano. La città che diede i natali all’imperatore Costantino ha voluto così ricordare l’importante accordo siglato nel 313 d.C. tra gli imperatori dell’Impero Romano d’Occidente (Costantino) e d’Oriente (Licinio) per garantire la libertà di culto su tutto il territorio dell’Impero. Prendendo come esempio l’antico editto, l’Associazione per i Popoli Minacciati(Apm) propone oggi un nuovo accordo internazionale che, come allora, garantisca ai popoli del mondo il libero esercizio della propria fede. Un auspicio importante perché “La discriminazione e le persecuzioni nei confronti di intere comunità religiose non riguardano più solo i governi e le autorità di alcuni regimi, come ad esempio in Cina, Vietnam o Iran, ma sempre più anche attori non governativi che con le loro aggressioni fisiche e verbali, la pesante discriminazione, i soprusi e il terrore costituiscono oggi il maggiore pericolo per i credenti di tutte le fedi” ha spiegato l’Apm.
Come spesso accade, però, l’aggressione compiuta in nome di una presunta difesa della propria religione è frequentemente una semplice strumentalizzazione utile a guadagnare consensi e assicurarsi il potere politico. Sono di questi giorni le drammatiche e ancora confuse notizie che arrivano dalKenya dove l’odio religioso che accompagna una delicata situazione geopolitica ha seminato morte e paura in un attentato rivendicato dagli Shabaab della vicina Somalia o quelle che arrivano dalla Nigeria dove dal maggio 2013 a oggi le persone uccise dagli attentati compiuti dagli estremisti della setta Boko-Haram sarebbero almeno 777. Qui la situazione è particolarmente delicata. In maggio le autorità degli stati federali settentrionali di Borno, Yobe e Adamawa hanno dichiarato lo stato d’emergenza a causa del terrorismo di stampo islamico e secondo le autorità di Borno, almeno altre 87 persone sono state uccise a partire dal 17 settembre da miliziani di Boko-Haram.

 “A pagare il prezzo più alto della lotta al terrore della setta è la popolazione del nord della Nigeria - ha spiegato l’Apm - Molte delle vittime degli ultimi mesi sono adolescenti e giovanissimi che, per sostenere la lotta di esercito e polizia contro Boko Haram, si erano arruolati in ronde di sicurezza civiche”.

 Ma il reale numero delle vittime in Nigeria è decisamente più alto delle cifre ufficiali che non contano le vittime tra i miliziani di Boko Haram. Secondo i dati forniti dall’esercito nigeriano solamente nelle ultime due settimane sarebbero stati uccisi in conflitti a fuoco circa 150 miliziani. I dati sono però difficilmente verificabili poiché l’esercito nega l’accesso ai luoghi degli attacchi a testimoni indipendenti e tende ad esaltare le proprie imprese, gonfiando le cifre dei nemici uccisi.

 Tuttavia, contando le sole vittime di attentati, i dati forniti dal Governo del paese africano, dal 2009 ad oggi, raccontano di circa 3.600 persone uccise da Boko Haram, mentre secondo la Commissione statunitense per la libertà di culto in Nigeria le persone decedute in scontri inter-etnici e in attacchi ad opera di estremisti religiosi dal 1999 ad oggi sarebbero addirittura 14.000.
Ma se è vero che il caso Boko Haram in Nigeria è particolarmente allarmante, l’Apm è altrettanto preoccupata dalla crescente intolleranza religiosa in Asia. “Ogni volta che inBangladesh qualche gruppo estremista dà fuoco a uno scrigno buddista - ha ricordato l’associazione - vi è una reazione altrettanto violenta in Myanmar” dove, dopo più di due anni di violenza reciproca tra le comunità Rohingya musulmana e quella Rakhinebuddista, sono circa 140mila le persone sfollate, centinaia i morti e non si intravede ancora la fine della discriminazione su base etnica e religiosa sulla minoranza Rohingya. In Sri Lanka la situazione è meno grave, ma egualmente nel giro di pochi giorni nei mesi scorsi alcuni gruppi estremisti buddisti hanno dato fuoco a una moschea e a negozi e abitazioni di Musulmani. Analogamente i Cristiani e i Musulmani in India sono sempre più spesso vittime della violenza di Hindu estremisti, mentre in Pakistan le minorane cristiane, musulmane sciite e ahmadiyyah sono vittime di un numero sempre crescente di aggressioni, accuse di blasfemia e attentati. Il più grave proprio domenica scorsanella chiesa protestante di Ognissanti a Peshawar, la capitale della provincia pachistana di Khyber Pakhtunkhwa, dove agli ottanta morti potrebbero aggiungersene di nuovi visto che tra gli oltre 130 feriti molti restano in situazioni critiche.
Delicata è anche la situazione in Medio Oriente, una vera e propria polveriera capace di nascondere dietro alle contrapposizioni del credo problematiche sociali e politiche che ormai sono sempre più difficili da scindere dalla religione. Come è ormai sempre più evidente nella guerra in Siria, raccontata in queste settimane da Gabriele Del Grande, anche l’Iraq, colpito di recente da una nuova ondata di attentati, soffre di una guerra religiosa più volte denunciata. Fra il 20 e il 21 settembre, due violenti attentati hanno causato nella sola Baghdad quasi 80 morti. Il primo ha colpito una moschea sunnita a Samarra, a pochi chilometri dalla capitale. Il secondo si verificato a Sadr City (nord di Baghdad) durante un funerale della locale comunità sciita. Un attentato contro un politico cristiano è avvenuto invece a Rafidayn, nella provincia di Kirkuk (Kurdistan), dove terroristi hanno fatto esplodere l’appartamento di Emad Youhanna, parlamentare cristiano membro dell’Assyrian Democratic Party. Secondo le autorità i responsabili potrebbero essere legati ai partiti di opposizione islamici che si oppongono alle politiche di Mas'ud Barzani, presidente della regione e leader del Partito Democratico Kurdo, grande sostenitore delle recenti elezioni regionali, che hanno permesso a molti cristiani di lanciarsi in modo attivo nella politica locale. “L’Iraq è ancora in balia di terroristi stranieri, e non vi è alcuna sicurezza. Gli estremisti al soldo di Paesi stranieri sfruttano l’instabilità per impedire alla popolazione impegnata nella politica di ricostruire il Paese”, ha spiegato mons. Rabban al-Qas, arcivescovo caldeo della diocesi di Amadiyah-Zakho. Per il prelato, in tutto il Paese, soprattutto nella capitale, la situazione è drammatica: “Il clima di terrore colpisce tutta la popolazione cristiana e musulmana, sunniti e sciiti. Chi tenta di portare avanti un dialogo viene colpito” e nonostante le intimidazioni “molti esponenti dei partiti di governo e opposizione organizzano da mesi incontri per cercare una soluzione alla decennale crisi irachena”. Anche la Chiesa, su iniziativa del patriarca caldeo Mar Raphael I Sako ha dato il via a una serie di incontri con i politici cristiani per cercare un’agenda comune e unita per difendere i diritti di tutte le minoranze religiose e lavorare per il bene del Paese. Ma a far rumore, si sa, sono sempre e solo le bombe.
L’elenco delle discriminazioni su base religiosa non è certamente esaustivo ed è bene ricordare come anche in Europa, seppur con modalità di norma meno cruente e più mediatiche, la costruzione del consenso di molte realtà (politiche e non) è ancora ampiamente basato sull’attacco indiscriminato a chi professa fedi diverse dalla propria.

 Per questo oggi più che mai il “passato sta davanti a noi” e da un editto vecchio di 1700 anni potremmo aver ancora molto da imparare sul libero esercizio della propria e altrui fede.

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