L’accordo
sulla legge elettorale? Ancora non c’è, ma per il 29 agosto, quando
tornerà a riunirsi la commissione competente in Senato dovrebbe esserci
un testo base. In realtà le questioni sul tavolo non sono di piccolo
conto, visto che mai come in questo genere di cose il diavolo è nei
dettagli: in sostanza, la brutta legge che si profila potrebbe fare del
tutto schifo. Il trio delle meraviglie che gestisce la partita – Denis
Verdini per il Pdl, Maurizio Migliavacca per il Pd e Lorenza Cesa per
l’Udc – tornerà a riunirsi lunedì o martedì e quello dovrebbe essere
l’incontro in cui i tre alchimisti produrranno la pietra filosofale in
grado di tenere in vita i loro committenti, i partiti della maggioranza
montiana. Per alcuni l’esito di questa accelerazione è il voto a
novembre, altri – come il costituzionalista Stefano Ceccanti – segnalano
che è impossibile andare al voto così presto avendo da ridisegnare i
collegi . Eccovi dunque, sempre che non salti il tavolo, una breve
rassegna di quanto deciso finora.
COME LA GRECIA.
Il
premio di maggioranza andrà al partito e non alla coalizione. Era una
delle richieste del Pdl e anche il Pd alla fine ha capito che gli
conviene. Sarà del 15% visto che questa soglia è stata considerata
inprescindibile da Pierluigi Bersani: “Non un punto di meno”, ha
avvertito. Curiosamente l’unico altro paese europeo che ha un sistema
del genere è la vituperata Grecia: ad Atene il partito che vince si
becca un premio di 50 seggi alla Camera, pari al 16,6% dei posti
disponibili. Similitudine che non pare imbarazzare i proponenti.
L’AMMUCCHIATA.
Il
sistema che si profila è largamente proporzionale: se non fosse per il
premio di maggioranza saremmo ai bei tempi di Mariano Rumor. Col bonus
al partito anziché alla coalizione non c’è alcuno spazio per le alleanze
preelettorali, i governi si decideranno dopo il voto. Scenario perfetto
per quanti – come il presidente della Repubblica – sostengono l’ipotesi
di un nuovo governo Monti (o para-Monti) anche dopo le prossime
elezioni. Simile, ma diversa la partita che su questo punto giocano
Bersani e Casini: l’accordo per allearsi dopo il voto (col democratico a
palazzo Chigi) c’è già – magari tirando dentro anche Vendola e Sel, ma
non Di Pietro – solo che non si può dire prima, pena la perdita di pezzi
consistenti di elettorato che giudicano questo accordo contro natura
(questo è valido in particolare per l’Udc che, dicono i sondaggi,
lascerebbe per strada circa la metà dei suoi voti).
LISTE BLOCCATE.
Croce
e delizia dei partiti, resteranno anche nella legge elettorale prossima
ventura per circa un terzo degli eletti: così i caporioni dei partiti
potranno ancora nominare circa 200 deputati e 100 senatori. Peraltro,
faranno finta di non farlo più: restringendo le circoscrizioni, che ad
oggi sembra l’orientamento prevalente, nel listino deciso a Roma ci
saranno al massimo quattro nomi, potrebbero finire persino sulla scheda
dando l’illusione di una vicinanza fittizia tra eletto ed elettore.
SALVA-LEGA.
Siccome
il Carroccio se la passa male e non è certo di raggiungere la soglia
nazionale del 5% alla Camera (al Senato potrebbe essere all’8%), i tre
saggi hanno pensato bene di introdurre una sorta di clausola di
salvaguardia per gli amici padani. In Parlamento potranno entrare anche i
partiti che non superano il minimo, ma che portano a casa comunque l’8%
in almeno tre regioni (in un’altra versione si parla di cinque
circoscrizioni elettorali ma il principio è lo stesso). I leghisti,
dunque, potranno allietare la vita anche del prossimo Parlamento, mentre
rischiano movimenti della stessa consistenza, al momento, come Sel o
Italia dei Valori: avendo più o meno le stesse percentuali in tutta
Italia gli sarebbe difficile raggiungere l’8% in tre regioni.
IL KAMASUTRA ELETTORALE
È
quello dei collegi uninomali proporzionali, che eleggeranno la maggior
parte del prossimo Parlamento. Attenzione all’ultima parola. Si dice:
c’è il collegio, la gente vota il candidato. Non è vero: i voti di ogni
collegio vengono poi raggruppati per circoscrizione (quando grande,
ancora non si sa) e i seggi assegnati proporzionalmente ai candidati che
hanno preso la percentuale più alta nei singoli collegi. Insomma, non è
affatto detto che chi prende più voti in un collegio venga eletto, né
che chi ne prende meno sia escluso. È quello che potremmo definire “il
paradosso di Firenze centro”: il Pd non riuscirà mai ad eleggere nessuno
in quel collegio perché le sue percentuali nel contado sono ancora più
alte, anche se i voti assoluti inferiori. Per di più, questo sistema –
già in uso per le province – lascia ampi margini di accordi sottobanco
ai leader dei partiti, soprattutto al Sud, dove ancora esistono i
pacchetti di voti: mettimi un candidato scarso in quel collegio così
eleggo il tizio che mi piace e io farò lo stesso con uno tuo. Per
evitarlo, qualcuno propone il recupero dei “migliori non eletti”
QUEL CHE MANCA.
È
tantissimo. Finché non si sa quali saranno le circoscrizioni per i
collegi e quelle per i listini bloccati non è chiaro quali saranno gli
esiti: più sono piccoli, più l’effetto maggioritario è più intenso e
viceversa. La partita è tutta lì: tra il ritorno completo al
proporzionale (rappresentanza) e una distorsione che privilegi i partiti
più grandi (governabilità) è solo questione di misure.
Marco Palombi
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