venerdì 2 marzo 2012

"Farsa Europea"


L'Unione Europea inscena una grande farsa
Accordo a Bruxelles su un Patto fiscale che molti Paesi europei non saranno mai in grado di rispettare

Il vertice tenutosi lunedì scorso a Bruxelles pone grandi interrogativi: perché i Capi di Stato e di Governo europei (ad eccezione di quello britannico e di quello ceco) hanno sottoscritto il Patto fiscale voluto dalla Germania, pur sapendo che molti Paesi non potranno mai rispettarlo? E perché la Germania ha voluto questa intesa, pur sapendo che molti Paesi la trasgrediranno? Il vertice europeo può essere considerato una grande farsa. Ma procediamo con ordine.

L’intesa sul Patto fiscale è stata sottoscitta dal Primo Ministro greco, Luca Papademos, sebbene il Governo di Atene non solo non è in grado di riportare i conti pubblici in pareggio in un futuro prevedibile e ancor meno di ridurre il debito pubblico nel giro di venti anni al 60% del PIL, ma sta ancora negoziando con i rappresentanti delle banche la ristrutturazione del proprio debito e con la troika composta da Unione Europea, Fondo Monetario Internazionale e Banca centrale europea le condizioni indispensabili per il varo del secondo pacchetto di salvataggio della Grecia. In altre parole, il Governo greco si impegna a rispettare i vincoli del Patto fiscale, sebbene non sia stato e non sia in grado di rispettare tempi e obiettivi del primo pacchetto di salvataggio del Paese. A tal punto non è in grado da spingere la Germania a chiedere la nomina di un Commissario europeo che amministri le finanze pubbliche del Paese per garantire il rispetto dei termini dell’eventuale secondo pacchetto di salvataggio del Paese. Giustamente di fronte a questo diktat tedesco, il Governo greco si è inalberato, sostenendo che non accetterà mai un simile affronto alla propria dignità nazionale. Sta di fatto, ed è quanto ci interessa in questa sede, che la Grecia conferma la teoria, secondo cui di troppa austerità si muore. Infatti l’economia greca negli ultimi quattro anni si è contratta del 20% e la cura lacrime e sangue imposta al Paese non ha prodotto i risultati sperati per quanto riguarda il risanamento delle finanze pubbliche. Anzi, il Paese è oramai appeso agli aiuti europei e del FMI per evitare una dichiarazione di insolvenza. Se non vi sarà il fallimento della Grecia, sarà solo perché l’Europa teme l’effetto contagio sugli altri Paesi europei deboli. Quindi, la sottoscrizione del Patto fiscale da parte di Atene appare non avere un reale valore, poiché la Grecia non è in grado di rispettare il Patto fiscale.

Lo stesso vale per il Portogallo. Il governo Di Lisbona ha fatto per bene i compiti a casa, che gli sono stati imposti al momento dell’approvazione del pacchetto di salvataggio di 78 miliardi di euro, ma il timore che diventi una seconda Grecia gli continua ad impedire l’accesso al mercato dei capitali. Il disavanzo pubblico portoghese è ammontato l’anno scorso al 4% del PIL, inferiore al 5,9% pattuito con la troika, ma il debito pubblico portoghese è salito al 112% del PIL, poiché l’economia lusitana è in recessione da tre anno e quest’anno si dovrebbe contrarre (stando al Fondo Monetario Internazionale) del 3%. La recessione dovrebbe continuare anche l’anno prossimo. Quindi, anche il Portogallo resta appeso agli aiuti internazionali. Anzi, un fallimento della Grecia farebbe precipitare la situazione del Portogallo. Non si capisce quindi, viste le condizioni economiche del Paese, come il Governo di Lisbona abbia potuto sottoscrivere un Patto fiscale che ben difficilmente riuscirà a rispettare.

Altrettanto vale sia per l’Italia sia per la Spagna. Questi Paesi hanno anch’essi sottoscritto un Patto fiscale che non riusciranno mai a rispettare. Basti pensare che l’Italia l’anno prossimo dovrebbe centrare l’obiettivo di conti pubblici in pareggio e a partire dal 2014 dovrebbe attuare ogni anno manovre di risparmio di ben 45 miliardi di euro per rispettare l’obiettivo di ridurre il debito pubblico italiano al 60% del PIL nel giro di 20 anni. La Spagna, dal canto suo, ha appena varato un’altra manovra di austerità, poiché il nuovo Governo conservatore di Madrid ha scoperto che il deficit pubblico dell’anno scorso ammonta all’8% del PIL e non al 6%, come concordato con Bruxelles. Madrid ha inoltre cercato di rinegoziare l’obiettivo per quest’anno, che è di un deficit del 4%, sostenendo che altre stangate aggraverebbero la recessione spagnola, ma ha ottenuto un secco Nein da parte della Germania.

Il governo italiano presieduto da Mario Monti si è dichiarato soddisfatto dell’intesa, poiché spera che la sottoscrizione del Patto fiscale induca la Germania ad accettare l’emissione di Eurobonds, ossia di obbligazioni garantite da tutti i Paesi europei, che dovrebbero ridurre i tassi di interesse che oggi l’Italia è costretta a pagare per rifinanziarsi sui mercati. Si tratta solo di una speranza, poiché il Governo della Signora Merkel non ha mai promesso di essere disposto a dare il via libera all’emissione degli Eurobond in cambio del Patto fiscale.

Il tutto appare come una grande farsa, in cui, da una parte, i Paesi deboli si impegnano a rispettare vincoli che sanno che non rispetteranno mai e, dall’altra, la Germania fa finta di credere che essi rispetteranno questo Patto. In realtà, si tratta di un vero e proprio braccio di ferro: da una parte, vi è una Germania che non vuole pagare più di quanto ha già fatto e che attende con ansia che qualche Paese debole getti la spugna per uscire dall’euro; dall’altra, vi sono i Paesi deboli che volenti o nolenti devono stare al gioco, poiché non hanno alternative. Di questa partita le vere vittime sono le economie e le popolazione dei Paesi deboli, che devono subire gli effetti di politiche di austerità inutili, poiché non rimetteranno in ordine i loro bilanci. In questo modo l’euro diventa sempre più una camicia di forza che conduce l’economia europea verso una depressione. E’ quindi auspicabile che questo gioco al massacro finisca al più presto con l’uscita della Germania dall’euro e con la formazione di un euro di Serie A con Germania, Olanda, Finlandia, Austria e Lussemburgo e di uno di Serie B con gli altri Paesi appartenenti all’Unione Monetaria Europea.


La BCE salva le banche, mentre l'economia affonda


L'iniezione di 500 miliardi di euro permette solo di guadagnar tempo, ma non risolve la crisi dell'euro

La Banca centrale europea salva le banche, mentre l’economia di molti Paesi del Vecchio Continente sprofonda in una recessione sempre più grave. In questo modo si deve leggere il prestito di poco meno di 500 miliardi di euro accordato in dicembre dalla Banca centrale europea agli istituti di credito europei. Il prossimo 28 febbraio la Bce si appresta a ripetere l’operazione: accorderà quindi un ammontare illimitato di euro per tre annui al tasso dell’1% a tutte le banche europee che ne faranno richiesta. Secondo alcune notizie di stampa, la richiesta del sistema bancario europeo raggiungerà l’astronomica cifra di 1'000 miliardi di euro. Ciò dimostra che le banche europee sono con l’acqua alla gola e che hanno una disperata fame di liquidità. Ma come vengono usati questi soldi, che devono essere considerati veri e propri regali, poiché vengono concessi a tassi di poco superiori allo zero? E inoltre queste enormi iniezioni di liquidità serviranno a rilanciare la crescita nei Paesi europei in difficoltà?

Questi enormi capitali vengono usati dalle banche per sopravvivere. Infatti gli istituti di credito europei (soprattutto di quelli dei Paesi in difficoltà) non riescono più a finanziarsi sul mercato emettendo obbligazioni. Con questo prestito riescono dunque ad approvvigionarsi di liquidità a basso costo senza dover fare ricorso al sempre più ostile mercato interbancario. Non sorprende quindi che la stessa Bce abbia comunicato che un quinto di questi capitali è stato richiesto dalle banche italiane e parecchi miliardi dalle banche spagnole. Queste banche hanno usato una parte di questi soldi per acquistare o titoli statali dei loro Paesi che consegneranno, come pegno, il prossimo 28 febbraio alla Bce per ottenere nuovi prestiti. In pratica, si tratta di una specie di “carry trade”, in cui le banche si indebitano presso la Bce all’1% per acquistare titoli che hanno rendimenti superiori e che permettono quindi di ottenere un consistente utile senza fare nulla e soprattutto senza allentare la stretta creditizia che strozza l’economia. Così risulta che nello scorso mese di dicembre le banche spagnole hanno acquistato ben 27 miliardi di euro di titoli pubblici del Governo di Madrid. Non sorprende quindi che i rendimenti dei titoli statali spagnoli siano diminuiti, così come è accaduto per quelli italiani. In realtà, si tratta di una specie di gioco delle tre tavolette oppure, se si vuole, di uno specchietto per le allodole. Infatti la situazione dello Stato italiano oppure di quello spagnolo non è affatto migliorata. A dimostrazione di ciò, vi è il fatto che continua il processo di balcanizzazione del sistema bancario europeo, poiché ogni banca compra solo i titoli del proprio Paese e le banche dei Paesi forti continuano a vendere i titoli stati dei Paesi europei deboli. Queste operazioni comunque sono destinate a migliorare artificialmente i conti delle banche: l’inglese Barclays stima che la diminuzione dei costi di raccolta dei capitali farà aumentare gli utili delle banche europee del 4%.

Ma le banche europee non avevano solo un problema di liquidità, ossia non avevano solo difficoltà nel raccogliere capitali, ma anche di solvibilità, a tal punto che l’autorità di sorveglianza europea (EBA) ha prescritto una ricapitalizzazione di alcuni istituti che complessivamente raggiunge i 110 miliardi di euro. Le banche stanno restringendo i prestiti a famiglie e imprese, vendendo attività, ecc. per soddisfare i requisiti dell’EBA senza dover andare a chiedere nuovi capitali sul mercato. Tra queste operazioni spicca anche l’uso dei capitali ottenuti in prestito dalla Banca centrale europea per riacquistare sul mercato le proprie obbligazioni che naturalmente sono a prezzi scontati rispetto a quelli di emissione.

Il risultato finale è che la Banca centrale europea si sta sostituendo sempre più ai normali canali di mercato attraverso i quali si finanzia il sistema bancario e, inoltre, in via indiretta (tramite una specie di carry trade) sta acquistando i titoli statali dei Paesi periferici permettendo una riduzione dei tassi di interesse. L’operazione sta funzionando per la maggior parte dei Paesi, ad eccezione di Grecia e Portogallo che sono in una situazione fallimentare. L’inondazione di liquidità, che verrà incrementata ulteriormente il prossimo 28 febbraio, ha pure allentato la pressione sui mercati finanziari, permettendo alle borse di usufruire del migliore mese di gennaio dal 1998.

Ma questi interventi risolvono la crisi dell’euro e aiutano il rilancio delle economie europee periferiche? La risposta è un chiaro no. In Spagna ed in Italia la stretta creditizia operata dalle banche non viene minimamente allentata da queste misure. Inoltre le politiche di austerità continuano a mordere e ad aggravare la recessione. Per questo motivo gli interventi della Banca centrale europea hanno il fiato corto: l’uscita dalla crisi dei Paesi periferici avverrà unicamente quando le loro economie riprenderanno a crescere e quando ridurranno il loro svantaggio competitivo rispetto alla Germania. Nulla di tutto ciò è all’orizzonte. Quindi nulla di sostanziale è cambiato e le operazioni di Mario Draghi servono solo a salvare le banche e a guadagnare un po’ di tempo.

Ci si deve però interrogare su politiche monetarie che aiutano a suon di miliardi i responsabili della crisi mentre trascurano le sofferenze di milioni di persone che stanno soffrendo a causa della crisi, poiché sono disoccupate o perché non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese.

E soprattutto c’è da interrogarsi sulla fine che faranno i nostri soldi. Questa domanda tormenta molti risparmiatori che temono, da una parte, un azzeramento del valore dei loro investimenti finanziari a causa di un’improvvisa recrudescenza della crisi finanziaria e che, dall’altra, temono che le continue iniezioni di liquidità operate dalle banche centrali risveglino l’inflazione. E in effetti queste paure hanno fondamento, poiché stiamo vivendo un vero e proprio nuovo esperimento economico, che consiste nello stampare un’enorme quantità di soldi per cercare di superare la più grave crisi di questo dopoguerra del sistema finanziario. Ma questo tema, ossia la decisione delle principali banche centrali (quelle di Stati Uniti, Giappone, Gran Bretagna, Eurolandia e anche della Svizzera) di stampare grandi quantità di moneta, lo affronteremo in un prossimo blog Nel frattempo attendiamo di capire l’esito dei negoziati tra la troika (FMI, Bce ed Unione Europea) ed il Governo di Atene. Un fallimento di queste trattative renderebbe vani gli sforzi di Mario Draghi e renderebbe nuovamente incandescente la crisi dell’euro.

Fonte (2 articoli) > Ticino News

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