Tomoe Gozen emerge dalle fonti giapponesi del tardo periodo Heian come una figura insieme storica e letteraria, collocata in un’epoca di guerre civili, fedeltà spezzate e trasformazioni profonde dell’aristocrazia militare. Il suo nome è legato soprattutto alla guerra Genpei, il conflitto che tra il 1180 e il 1185 vide contrapposti i clan Taira e Minamoto e che portò alla nascita del primo shogunato. Le informazioni su di lei provengono in gran parte dall’Heike monogatari, un’opera epica trasmessa oralmente e poi fissata per iscritto, in cui la cronaca storica si intreccia alla costruzione simbolica degli eroi. In questo contesto Tomoe appare come una donna guerriera al servizio di Minamoto no Yoshinaka, cugino di Minamoto no Yoritomo, destinato a diventare il primo shōgun.
Secondo il racconto, Tomoe era straordinariamente bella, ma questa caratteristica non viene mai separata dalle sue capacità marziali. Viene descritta come un’arciera eccezionale, una cavallerizza esperta e una combattente in grado di affrontare uomini armati senza esitazione. Non è presentata come una mascotte o un’eccezione curiosa, ma come una vera e propria comandante di uomini, incaricata di guidare truppe e affrontare i nemici più temibili. Questo dettaglio è importante perché suggerisce che, almeno in alcune circostanze, le donne potevano assumere ruoli militari attivi e riconosciuti, soprattutto in un’epoca in cui la linea di demarcazione tra aristocrazia civile e militare era meno rigida rispetto ai secoli successivi.
Il rapporto tra Tomoe e Yoshinaka è uno dei nodi più discussi. Le fonti la definiscono sua concubina o sua compagna, ma la sua presenza costante sul campo di battaglia la rende diversa dalle figure femminili tradizionalmente associate ai leader militari. Durante le campagne di Yoshinaka contro i Taira, Tomoe combatte al suo fianco, partecipa agli scontri e viene lodata per il coraggio dimostrato in situazioni disperate. La sua figura si staglia in particolare nella battaglia di Awazu del 1184, lo scontro finale in cui Yoshinaka viene sconfitto dalle forze del cugino Yoritomo, guidate dai fratelli Yoshitsune e Noriyori.
È proprio ad Awazu che la storia di Tomoe si fa più ambigua. Secondo una versione del racconto, Yoshinaka, ormai circondato e consapevole della sconfitta imminente, ordina a Tomoe di fuggire, affermando che sarebbe indegno per lui morire in compagnia di una donna. Questo passaggio è spesso citato perché rivela la tensione tra l’ammirazione per le sue capacità e le convenzioni di genere dell’epoca. Tomoe inizialmente esita, poi accetta l’ordine, ma non prima di affrontare un ultimo nemico, Onda no Hachirō Moroshige, che sconfigge in combattimento singolare, decapitandolo e portando via la sua testa come trofeo.
Dopo questo episodio, il destino di Tomoe Gozen si dissolve nell’incertezza. Alcune versioni narrano che sia riuscita a fuggire e che in seguito sia diventata monaca buddhista, ritirandosi dalla vita mondana dopo la morte di Yoshinaka. Altre suggeriscono che sia stata catturata e costretta a diventare la moglie o concubina di un guerriero nemico. Questa molteplicità di finali riflette il carattere leggendario della sua figura e il modo in cui la tradizione giapponese ha spesso trattato i personaggi femminili eccezionali, lasciando il loro epilogo sospeso tra redenzione spirituale e reintegrazione forzata in ruoli più convenzionali.
Al di là dei dettagli biografici, Tomoe Gozen è significativa perché testimonia l’esistenza delle onna-bugeisha, donne appartenenti alla classe dei guerrieri che ricevevano un addestramento marziale. Sebbene la guerra fosse prevalentemente dominio maschile, le donne samurai avevano il compito di difendere le proprietà familiari in assenza degli uomini e potevano essere addestrate all’uso di armi come la naginata, particolarmente adatta alla difesa contro avversari armati di spada. Tomoe rappresenta un’estremizzazione di questo ruolo, una donna che non si limita alla difesa, ma partecipa attivamente alle campagne militari.
Il Giappone medievale non concepiva il genere in termini identici a quelli moderni. Le norme sociali erano rigide, ma esistevano spazi di flessibilità, soprattutto in periodi di crisi. La guerra Genpei fu un momento di transizione violenta, in cui le strutture politiche e sociali dell’epoca Heian crollarono sotto la pressione dei clan militari. In questo contesto, figure come Tomoe potevano emergere perché la necessità bellica superava temporaneamente le convenzioni. Il fatto che la sua storia sia stata tramandata indica che la sua presenza non era percepita come del tutto scandalosa, anche se veniva narrata con un certo stupore.
Con il consolidarsi dello shogunato Kamakura e, più tardi, con l’epoca Edo, il ruolo delle donne guerriere venne progressivamente ridimensionato. L’ideologia neoconfuciana enfatizzò la separazione dei ruoli di genere e la subordinazione femminile, relegando le donne a funzioni domestiche e simboliche. Le onna-bugeisha non scomparvero del tutto, ma divennero sempre più rare e legate a situazioni di emergenza, come gli assedi. La memoria di Tomoe Gozen sopravvisse però nella letteratura, nel teatro nō e kabuki, e nell’iconografia, trasformandosi in un archetipo di lealtà e valore.
Le rappresentazioni artistiche spesso accentuano il contrasto tra la sua femminilità e la sua ferocia in battaglia, un dualismo che affascinava il pubblico. Kimono eleganti e armature leggere convivono nelle immagini con spade insanguinate e cavalli lanciati al galoppo. Questo tipo di rappresentazione non è neutra: serve a rendere la figura accettabile all’interno di un immaginario che continua a vedere la guerra come un affare maschile, sottolineando che Tomoe è eccezionale proprio perché non rinuncia ai tratti femminili tradizionali.
Riflettere su Tomoe Gozen significa anche interrogarsi su come la storia venga selezionata e narrata. È possibile che altre donne abbiano combattuto in modo simile senza lasciare traccia nelle cronache, perché non legate a personaggi di rilievo o perché le loro gesta non si adattavano alle esigenze narrative dei cantori. Tomoe viene ricordata perché la sua storia si inserisce perfettamente nel dramma della caduta di Yoshinaka, aggiungendo un elemento emotivo e simbolico potente.
Nel Giappone contemporaneo, Tomoe Gozen è spesso reinterpretata come un’icona proto-femminista, anche se questa lettura rischia di proiettare categorie moderne su un contesto molto diverso. Lei non combatteva per rivendicare diritti o per sfidare un sistema patriarcale in senso consapevole, ma per lealtà a un signore e a un clan, valori centrali nell’etica guerriera dell’epoca. Tuttavia, il semplice fatto che una donna potesse incarnare tali valori sul campo di battaglia apre uno spazio di riflessione sulla complessità dei ruoli femminili nella storia giapponese.
Le donne guerriere come Tomoe mostrano che la dicotomia tra uomini combattenti e donne passive non è universale né immutabile. In periodi di instabilità, le società tendono a rivelare possibilità latenti che in tempi di pace vengono represse. La tradizione giapponese, pur diventando sempre più restrittiva, non ha mai cancellato del tutto la memoria di queste figure, segno che esse rispondevano a un bisogno simbolico profondo, quello di riconoscere il coraggio e la lealtà come qualità non esclusivamente maschili.
Tomoe Gozen rimane quindi sospesa tra storia e mito, tra realtà documentabile e costruzione letteraria. La sua figura continua a parlare perché incarna una tensione irrisolta: quella tra le aspettative sociali e le possibilità individuali. Nel racconto della sua vita non ci sono lunghe giustificazioni o morali esplicite, solo azioni, battaglie, ordini eseguiti e scelte difficili. È proprio questa asciuttezza, tipica delle cronache guerriere, che rende la sua storia così potente e aperta a interpretazioni, permettendo a ogni epoca di ritrovare in Tomoe Gozen qualcosa di sé.
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