Giusto per ricordare a Francesco Modugno che ha definito Gonzalo Higuain il miglior centravanti del Napoli come stanno le cose.
I tre uomini in foto, così come li vedete, per chi vi scrive, non sono paragonabili a nessuno.
Per coloro che la domenica si recavano al Tempio con un biglietto faticosamente trovato durante la settimana, o con il sacro abbonamento nella tasca, non si trattava di solo pallone.
C’era una sacralità contagiosa che è difficile descrivere se non la si è vissuta.
File chilometriche, sole che spaccava crani ed anima, pioggia che scorreva ineluttabile sugli immancabili impermeabili gialli e che finiva per infracidare pure le mutande, ma la sensazione comune, predominante, era che qualunque sacrificio fosse equo considerando ciò che ci si stava apprestando a vedere.
Non di calcio trattavasi, almeno non di quello proposto dagli altri eccellenti protagonisti della recente storia 1926, dal sopracitato Higuain passando per chiunque altro, ma la percezione netta che sembrasse essere sport diverso dal gioco del pallone visto fino ad allora.
Spazi creati là dove semplicemente non dovevano essercene, il silenzio della folla che poi si toccava di gomito “ Ma chist’ ‘o ver sta facenn’ ?” sincerandosi se allucinazione singola o collettiva stesse verificandosi.
La magia percepita nell’aria fu pari solo alla sorpresa allorché Antonio fece comparire il pallone alle spalle di Cervone in uno spazio che in realtà non apparteneva a questo mondo.
Il fiato trattenuto quando Diego toccava la palla, che fosse per appoggiarla ad un metro o che la portasse in giro per il prato verde di fuorigrotta reso teatro eterno, palcoscenico ultra terreno.
Bruno che accarezzava il pallone con una dolcezza infinita, un cenno col braccio e lo depositava sul piede di D10s in uno spazio ed in un tempo immaginato ed immaginabile solo nella testa visionaria di due poeti del gioco.
Diego che scomparve e riapparve tra un nugolo di maglie rossonere con il pallone attaccato al sinistro, piede e sfera divenuti un tutt’uno fino a che il 10 decise di separarsene per depositarlo nella porta sotto la Curva B, dedicando capolavoro assoluto alla platea 1926.
In pochi potevano permettersi di parlare lo stesso linguaggio del ragazzo di Villa Fiorito, non avrebbe potuto farlo l’immenso Marco Van Basten, non ci sarebbe riuscito Ruud Gullit.
Parlare la stessa lingua di Diego, interpretarne il genio ed assecondarlo, sostenerlo, condividerlo, usufruirne ed alimentarlo era dono per pochi, pochissimi.
Tra i pochi eletti c’erano un ragazzo di Trastevere ed un brasiliano di Araraquara, e per tutti coloro che hanno avuto la fortuna di vederli, di vederli giocare assieme, di vederli veramente e di comprendere l’unicità di ciò che si stava compiendo, non può e non potrà mai esserci paragone, con nessuno.
Il pallone più bello di sempre,
MaGiCa, così è stato, così sarà.
McBlu76
La Napoli Bene