Carla Di Veroli sull'omicidio della sorella il 10 aprile 1994. Smentisce la pista passionale, ricorda i dettagli del ritrovamento e lancia un appello:«Chi sa parli»
Ripubblichiamo questo articolo di Ilaria Sacchettoni, uno dei più apprezzati dai lettori appassionati di cold case, pubblicato nel febbraio 2024.
L’enigma della ragazza del Vaticano. L’omicidio di via Poma. E poi, tra i crimini che hanno segnato un’epoca (e una città), c’è il suo, quello di Antonella Di Veroli. «Generosa e riservata. Caparbia e scrupolosa. Mia sorella era soprattutto una donna perbene», spiega Carla Di Veroli, 73 anni, dalla sua casa tra la Cassia e la Trionfale, luminosa, accogliente e scaldata dalla tumultuosa presenza di Pedro, un grosso cane di colore fulvo che vede sé stesso come un cucciolino. Buffo fraintendimento. Se è vero, come vogliono i giallisti, che il delitto irrisolto ci interroga in profondità - l’assenza di un colpevole, sostengono, produce un senso di colpa latente e diffuso — qui siamo in presenza di un grumo trentennale. Il 12 aprile 1994, al quartiere Talenti, dietro un armadio sigillato da mastice, c’era il corpo di Antonella, single, commercialista, zia.
«Era rannicchiata nell'armadio»
«Era rannicchiata con il viso rivolto al muro, vidi solo il tallone. Nulla fu più lo stesso per me, il prima e il dopo sono scanditi dalla scoperta di mia sorella ridotta in quel modo», confida Carla, seduta senza particolare abbandono sul divano di casa. Un’istanza di riapertura delle indagini, presentata dal suo avvocato Giulio Vasaturo, invita a impiegare nuovi strumenti di comparazione scientifica alle tracce (due) di Dna trovato. É trascorso tempo, Carla: «Più di vent’anni ci separano dal delitto Mollicone, eppure si sta celebrando un processo — risponde lei — e recentemente è stato riaperto il caso di Erba, anche quello datato...».
Il sacchetto di plastica mai ritrovato
L’inchiesta dell’epoca fu un’antologia di errori e superficialità, equivoci e ingenuità. L’autopsia su Antonella rivelò due ferite di arma da fuoco alla testa. Ma non furono quelle le cause della morte, bensì l’asfissia: la testa era chiusa in un sacchetto di plastica. Durante il ritrovamento un’ogiva scivolò giù dai capelli ma nessuno ne analizzò le impronte che certamente avrebbero potuto svelare di più. Carla Di Veroli elenca allora una serie di lacune negli approfondimenti investigativi: «Una sola cosa tra le molte: la sparizione del sacchetto di plastica nel quale era avvolta la testa di Antonella. Mai ritrovato».
Nella casa, l'11 aprile
Il delitto di un’epoca è sopravvissuto alle negligenze della magistratura. Carla ripesca dai propri ricordi: «Il 10 aprile mia sorella non si fece viva come sempre faceva per il mio anniversario di matrimonio. Era un segnale, ma ci dicemmo che aveva avuto un impegno. Poi l’11 aprile quella visita nel suo appartamento. C’era una sorta di disordine diffuso. Piccole cose fuori posto come il tappeto del bagno arrotolato, i piatti sporchi in cucina. Ricordo l’armadio... Ma non la trovammo. Spegnemmo la luce che chissà perché era accesa e venimmo via». La sorella di Antonella accetta di parlare anche di Umberto Nardinocchi il ragioniere che sarà archiviato dalla Procura dell’epoca, che l’accompagnò nel ritrovamento e che oggi è deceduto: «Sentimmo parlare di una storia sentimentale dai giornali di allora, ma mia sorella non ci aveva confidato nulla. Ho sempre avuto i miei dubbi».
«Uccisa per motivi professionali»
Diverso il caso del fotografo Vittorio Biffani (anche lui scomparso) e prosciolto dal reato di omicidio: «Antonella ce lo presentò con orgoglio — dice —. Era affezionata e protettiva. Il prestito (43 milioni dell’epoca, ndr) era solo un esempio». Due convinzioni guidano oggi Carla Di Veroli: «Mia sorella non è stata uccisa per motivi passionali, ma professionali». Che intende? «Qualcuno le sottopose un bilancio aggiustato, della contabilità opaca che lei rifiutò di sottoscrivere. Minacciò lo scandalo. Fu uccisa. Un omicidio d’impeto non vuol dire passionale». Qualcuno entrò nuovamente per nascondere il corpo nell’armadio, è d’accordo? «Sì. E penso che ci sia un’altra persona sulla scena del delitto che non è mai stata rintracciata». Quindi, parla di «speranza»: «Voglio pensare che un assassino non sia così fortunato da scamparla per tutta la vita. Mi appello a quelli che sanno qualcosa: parlate», dice accarezzando il canone fulvo che, per l’occasione, strapazza un peluche. A giorni la Procura valuterà la sua istanza di riapertura. Antonella Di Veroli è ancora qui, da qualche parte, tra le foto, i ricordi, i dettagli di un tempo.
https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/24_dicembre_30/roma-sul-delitto-di-veroli-parla-la-sorella-antonella-uccisa-per-motivi-professionali-non-firmo-un-bilancio-e5d282d3-433a-4b12-b1bb-60cb582eaxlk.shtml
Nessun commento:
Posta un commento