Sabato 4 ottobre, poco dopo le 20.00, arrivo alla stazione Termini con un Freccia, di ritorno da una conferenza stampa in Toscana, e mi trovo inghiottito in un battibaleno in un caos indescrivibile. La gente vagava da un punto all'altro della stazione senza sapere dove andare, e nessuno che almeno dicesse da uno straccio d'altoparlante cosa stesse accadendo.
Mi dirigo verso via Giolitti, ma di lì non si esce. I cancelli sono chiusi onde impedire a chi è fuori di entrare. Vado allora verso l'uscita di piazza dei Cinquecento per prendere un taxi. Mi viene impedito da un tutore dell'ordine: anche di lì non di esce. Provo con gli accessi alle metropolitane A e B. Sbarrati anche questi. Non resta che l'uscita su via Marsala. Da qui si può uscire: varco il cancelletto aperto, protetto dalle forze dell'ordine, e quando sono finalmente fuori scopro l'inferno, una guerriglia urbana di proporzioni mai viste, e sento intanto il rumore dei rotori degli elicotteri in volo sulla mia testa. Avrei poi letto tutto sui giornali, compresi lo sfregio al monumento a papa Wojtyla e la chiusura di Termini (avvenuta dunque ben prima delle 21.00 indicate da una parte della stampa).
Ho avvertito un'aria di saturazione della pazienza o di sorda rivolta fra chi era alla stazione, e insieme un senso di impotenza e di rassegnazione. Anche chi presidiava e impediva il passaggio delle centinaia di persone che, scese dai treni, si dirigevano a ondate verso le uscite della stazione, era manifestamente provato dalle richieste, dalle proteste, dalle pressioni dei tanti che volevano solo uscire di lì. Fra quelle persone, quelle, perlomeno, che ho intercettato all'interno di Termini, c'era anche chi aveva partecipato pacificamente alla manifestazione per la Palestina ed era probabilmente riuscito a entrare prima della chiusura dei cancelli della stazione. Nessun violento o facinoroso, ma solo giovani, adulti, anziani, con le bandiere diligentemente arrotolate, che si muovevano a loro volta disorientati o intimoriti da una situazione che avvertivano essere più grande di loro. Erano lì per dire no al genocidio, e mi trasmettevano sentimenti, atteggiamenti e comportamenti di pace, e per tutto il tempo che sono stato in stazione non ho sentito né un urlo, né uno slogan, né un insulto. L'inferno era fuori, ed era davvero tale. Ne ho viste tante nella mia vita, ma in quel momento ho pensato al peggio: ai primi segnali di una guerra civile.
La prima responsabile degli scontri sulla Palestina che stanno dilaniando questo paese, lo dico forte e chiaro, è una presidente del Consiglio, arrivata a criminalizzare la missione umanitaria della Flotilla giudicandola irresponsabile, che sta surriscaldando gli animi di tanti con dichiarazioni, queste sì, irresponsabili, fra cui anche quella, sprezzante, di rifiutarsi di pagare il biglietto per il volo di rientro in Italia in charter degli attivisti italiani che hanno partecipato alla missione umanitaria. Puoi anche non pagarlo quel biglietto, ma se rappresenti un intero paese non lo dici, non lo sbandieri ai quattro venti con un tono livoroso da desiderio di vendetta. Il sarcasmo e il disprezzo di Giorgia Meloni per gli italiani che hanno deciso di imbarcarsi per Gaza sono una vergogna, e ancora più vergognoso è il comportamento di un Governo in cui un Ministro della Repubblica si fa intervistare gongolante da una tv israeliana dichiarando di essere un amico di Israele come niente fosse. Ed è lo stesso, badate, perché il mio mestiere è quello del ricercatore che annota tutto e non dimentica nulla, che il 13 giugno 2009 intonò, insieme ad alcuni compagni di partito, con un bicchiere di birra in mano, al raduno leghista di Pontida, questi edificanti versi: "Senti che puzza, scappano anche i cani, / stanno arrivando i napoletani. / Son colerosi e terremotati..., / con il sapone non si sono mai lavati". Sempre lui, il 20 settembre 2010, intervistato da Angelo Alfonso Centrone per il "Corriere del Mezzogiorno", avrebbe poi detto che i napoletani sono "troppo distanti dalla nostra impostazione culturale, dallo stile di vita e della mentalità del Nord. Non abbiamo nessuna cosa in comune. Siamo lontani anni luce". È l'Italia che dovrebbe tenersi lontana anni luce da politici così sprezzanti e divisivi nei confronti di italiani e italiane come loro, perché ieri erano i napoletani e oggi sono i propal, e alle urne bisognerà ricordarselo. Se ci arriviamo indenni, perché se questo Governo continuerà ad alzare i toni allora corriamo davvero il rischio di una guerra civile o di un ritorno al terrorismo che ci farà rimpiangere quello degli "anni di piombo".
Vorrei anche che fosse chiaro a tutti che gli attivisti della Flotilla, italiani compresi, tutti quelli bloccati dai militari israeliani, hanno denunciato di essere stati lasciati quasi senza cibo, e di essere stati svegliati ogni due ore perché fosse impedito loro di dormire. Obbligati a firmare un foglio in cui ammettere di aver tentato di entrare illegalmente in Israele, per poter essere espulsi ed evitare in questo modo un processo, sono stati perfino costretti, nel caso di Greta Thunberg, a baciare la bandiera israeliana dopo essere stati fatti prigionieri, umiliati in questo modo nei loro principi e nei loro valori da uno Stato criminale governato da un neonazista.
Intanto un presidente guerrafondaio spaccia per un piano di pace un diktat neocoloniale irricevibile, con l'intento di mettere le mani sulla Palestina, autoproclamandoso capo del futuro "Consiglio di pace" che la governerà. Che su quel piano, giudicato irricevibile anche dall'ONU perché incompatibile col diritto internazionale, le nostre opposizioni si siano astenute, anziché rispedirlo al mittente o uscire dall'aula al momento del voto, non dà solo seriamente da pensare ma fa capire un'ultima cosa: il solco profondo che corre fra chi manifesta, s'indigna o protesta contro uno Stato criminale, sostenuto e spalleggiato da un pregiudicato alla guida dell'America, e un Parlamento dal quale non si sente rappresentato neanche per quanto attiene alle forze politiche dalle quali si sarebbe aspettato comportamenti in linea con i principi e i valori più volte dichiarati.

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