I tedeschi avevano rastrellato ventidue innocenti perché due dei loro soldati erano morti in un attentato: dieci italiani per ogni tedesco era la regola. Ma quella volta ne avevano buttati in mezzo due in più.
A tutti loro fecero scavare, anche a mani nude, le fosse dove li avrebbero gettati dopo l’esecuzione. La disperazione aveva colto tutti i prigionieri, perché la morte sembrava ormai inevitabile.
Ma d’un tratto, incredibilmente, vennero tutti rilasciati. Tutti tranne uno: il vicebrigadiere Salvo D’Acquisto.
Salvo aveva parlato con l’ufficiale tedesco in comando e si era preso la colpa dell’attentato, anche se non c’entrava niente. Sapeva che se i tedeschi avessero trovato il colpevole, non avrebbero potuto uccidere degli innocenti. E così fece: si prese lui la colpa.
I prigionieri rilasciati corsero subito via da quell’orrore. Ma uno di loro, il più giovane, Armando, indugiò per vedere cosa accadeva. Vide il plotone schierarsi di fronte a Salvo, in divisa. Sentì le sue ultime parole: “Viva l’Italia”. Poi la scarica di mitra.
Salvo d'Acquisto lo voglio ricordare anche oggi, raccontando la sua storia, perché ieri Papa Francesco ha deciso di avviare il processo di beatificazione di questo grande italiano.
Oggi più che mai, la sua memoria è da preservare. In tempi barbari come questi, di odio e di rancori, la sua memoria è importante.
Leonardo Cecchi
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