Speciale a cura di Wu Ming e Mariano Tomatis
Cos’è la tua più grande paura?
Il fascismo.
E cosa fai, concretamente, per eliminarlo?
Poco, troppo poco.
(Kolosimo intervistato da Playboy, novembre 1974)
Chi ha dai quarant’anni in su ricorda senz’altro Peter Kolosimo, «fantarcheologo», ufologo, sessuologo (!), esploratore del meraviglioso e divulgatore scientifico che negli anni ’60 e ’70, coi suoi libri visionari, fece sognare le moltitudini. Morì il 23 marzo 1984, a sessantadue anni, ma a noi piace pensare che abbia solo lasciato il pianeta, e sia tuttora in viaggio per l’universo.
Ecco una cosa che molti hanno dimenticato: Peter Kolosimo era un comunista di quelli duri. E chissà che l’anno scelto per abbandonare la Terra – il simbolico, fatidico 1984, quello di Orwell e della Thatcher che reprimeva lo sciopero dei minatori – non sia già una dichiarazione, un messaggio da decifrare: il movimento operaio ha perso, riprende il dominio incontrastato dei padroni, si impone il totalitarismo del mercato e io vado, vado in avanscoperta, vado in cerca di altri mondi.
Lo diciamo da anni: Kolosimo è una figura da riscoprire, su cui interrogarsi, che può ancora dire e dare molto. Lo abbiamo scritto, lo abbiamo addirittura cantato.
Kolosimo fa parte di un mondo tipicamente Seventies, vivente nell’intersezione tra marxismo e scienze “altre”, tra UFO e rivoluzione.
Pur nelle diversità d’approccio, il suo percorso è parallelo a quello del leggendario trotskista italo-argentino Juan Posadas (1912 – 1981). Kolosimo indagava il passato, le origini extraterrestri delle civiltà umane; Posadas vaticinava l’avvenire, gli UFO ci parlavano di una società futura comunista. Entrambi dicevano, ciascuno a suo modo: gli alieni vivono in noi, siamo noi quegli «spaziali» di cui tutti parlano.
Terra senza tempo, Non è terrestre, Astronavi sulla preistoria,Odissea stellare, Italia mistero cosmico… Titoli che non smettono di accendere fantasie. E quegli elenchi in copertina, a metà tra sottotitolo e “catenaccio” di giornale? «Ulisse vagabondo del tempo. Gli dei e lo spazio. Ciclopi in America? Mitologia d’altri mondi. Atomiche e robot nell’epopea omerica». Oppure: «Veicoli spaziali graffiti nella roccia. Marziani in Vietnam, elefanti in America. Razze sconosciute nelle giungle amazzoniche. Atomiche e laser prima del diluvio. Gilgamesh vive ancora?». Per non dire di “strilli” come: «La prima completa documentazione fotografica di archeologia spaziale – 300 illustrazioni». Copertine geniali, che ti spingevano a prendere subito posizione: rigetto veemente o febbrile voglia di acquisto, non c’era via di mezzo.
Pur nelle diversità d’approccio, il suo percorso è parallelo a quello del leggendario trotskista italo-argentino Juan Posadas (1912 – 1981). Kolosimo indagava il passato, le origini extraterrestri delle civiltà umane; Posadas vaticinava l’avvenire, gli UFO ci parlavano di una società futura comunista. Entrambi dicevano, ciascuno a suo modo: gli alieni vivono in noi, siamo noi quegli «spaziali» di cui tutti parlano.
Terra senza tempo, Non è terrestre, Astronavi sulla preistoria,Odissea stellare, Italia mistero cosmico… Titoli che non smettono di accendere fantasie. E quegli elenchi in copertina, a metà tra sottotitolo e “catenaccio” di giornale? «Ulisse vagabondo del tempo. Gli dei e lo spazio. Ciclopi in America? Mitologia d’altri mondi. Atomiche e robot nell’epopea omerica». Oppure: «Veicoli spaziali graffiti nella roccia. Marziani in Vietnam, elefanti in America. Razze sconosciute nelle giungle amazzoniche. Atomiche e laser prima del diluvio. Gilgamesh vive ancora?». Per non dire di “strilli” come: «La prima completa documentazione fotografica di archeologia spaziale – 300 illustrazioni». Copertine geniali, che ti spingevano a prendere subito posizione: rigetto veemente o febbrile voglia di acquisto, non c’era via di mezzo.
Quei libri, editi da SugarCo, erano grande narrativa popolare travestita da saggistica, li vedevi in tutte le case, vendevano centinaia di migliaia di copie. Peter Kolosimo è uno degli autori italiani più tradotti nel mondo, pubblicato in 60 paesi.
Attenzione, però, a non confonderlo coi vari Voyager e Kazzengerodierni, coi pataccari che ce la smenazzano a colpi di piramidi magiche e Priorati di Sion, con le vagonate di ricostruzioni paranoidi e complottiste disponibili in rete. Kolosimo odiava Dan Brown ante litteram (anzi, ante nominem). E odiava anche Giacobbo. Preventivamente, senza averne mai sentito parlare. Lo avrebbe mandato in Siberia, lui e il suo chupacabra. Kolosimo era un marxista-leninista visionario, un comunista duro e impuro. Credeva nella rivoluzione, e pensava che le scoperte sulle origini extraterrestri delle civiltà umane avrebbero contribuito alla nostra consapevolezza. Voleva collegare passato remoto e futuro utopico, e così liberare il mondo. Il suo interesse per i dischi volanti – solo uno dei tanti argomenti di cui si occupò – era nutrito da questa passione politica. Senza di essa, cosa sarebbe rimasto? Una messe di poveri, sconnessi aneddoti raccolti da cialtroni e dementi. Persone che già all’epoca Kolosimo teneva a distanza:
«Quando avvistano dei dischi volanti, alla radio qualche volta mi hanno chiamato, mi son trovato ad aver a che fare con dei pazzoidi, che credono in queste cose ciecamente, vedono i venusiani belli biondi e alti, vedono i marziani preoccupati delle esplosioni atomiche e vedono i saturniani che si avventano sulla terra per conquistarla, insomma tutte queste panzane, mi sono trovato un paio di volte ad aver a che fare con questi tipi, completamente pazzi, come quel siciliano che sulle pendici dell’Etna aveva una villa e raccoglieva attorno a sé i suoi fedeli…» (1974, cit.)
In Odissea stellare (1978), Kolosimo riporta le credenze di alcuni occultisti, secondo i quali il regime di Hitler cadde perché aveva attirato su di sé la sventura, orientando la svastica a destra anziché a sinistra come nelle antiche tradizioni orientali. Il commento è una staffilata: «Noi siamo assai lontani da tali concetti ed attribuiamo a ben altre ragioni la caduta dell’impero dei criminali tedeschi.» Poteva ben dirlo, lui che il nazifascismo lo aveva combattuto mitra alla mano.
Nulla dell’approccio politico che correva “sottopelle” nei suoi libri, nulla di quella radicalità sopravvive nei suoi epigoni odierni, quelli che vedi intervistati su Focus TV: von Däniken, Hancock… Ogni spigolo è stato smussato, l’eresia si è fatta telegenica, ma si sa chethe revolution will not be televised.
«L’educazione politica me la son fatta in gran parte in Jugoslavia, quando la Jugoslavia era ancora comunista, ho fatto scuola di partito per due anni [...] Sono simpatizzante di Lotta continua, perché penso che anche la sinistra debba avere le sue punte avanzate, voto ovviamente PCI, ma non sono militante perché non me la sento né di partecipare alla vita politica del PCI, almeno com’è adesso, non me la sento assolutamente, e purtroppo d’altra parte non ho neanche il tempo di seguire la vita politica di Lotta continua perché esige lavoro. Io ho fatto un po’ di lavoro politico a Torino, con Soccorso rosso, ero nella commissione delle case, e nell’ambulatorio, però per finire in niente, perché per queste cose bisogna avere molto tempo.» (1974, cit.)
Kolosimo era poliglotta e cittadino del mondo. Madre statunitense, padre italiano e ufficiale di carriera nei Carabinieri, entrambi detestati:
«Mia madre [era] come un generale delle SS [...] Un iceberg [...] Io non ho mai avuto un padre. No, non l’ho mai avuto. L’ho conosciuto così, dicevano che era mio padre» (Ivi).
Cresciuto a Bolzano, si laurea a Lipsia in filologia moderna (ma più tardi approfondirà gli studi di psicologia e sessuologia e praticherà l’ipnosi medica). Con lo scoppio della seconda guerra mondiale, lo ritroviamo carrista nella Wermacht, ma diserta e si unisce alla resistenza in Boemia. E’ «uno dei primi partigiani che, fra Pilsen e Pisek, incontrò l’Armata Rossa» (dalla scheda biografica di Civiltà del silenzio).
In quella temperie diventa comunista e, com’è normale, dopo la guerra il suo sguardo si sposta verso est. E’ l’unico giornalista italiano presente alla cerimonia di proclamazione della DDR. Per un po’ dirige Radio Capodistria, ma dopo la rottura con l’URSS è licenziato perché «cominformista», ovvero filosovietico. E’ corrispondente estero per L’Unità, annuncia il lancio del primo Sputnik «un mese prima di quella memorabile impresa» e dà per primo la notizia del volo spaziale di Valentina Tereskova. I suoi articoli escono senza firma, precauzione da fase glaciale della guerra fredda. Intanto scrive romanzi di fantascienza con lo pseudonimo di Omega Jim, finché, negli anni ’60, non passa armi e bagagli alla divulgazione scientifica, con quella torsione fantastica che lo renderà celebre.
I libri di Kolosimo sono pieni di pezze d’appoggio di scienziati russi, bulgari, tedesco-orientali: «Il professor Alexei Kasanzev» [probabilmente si tratta dello scrittore e ufologo Alexander Kasantsev], «Kardasevscrive…», «Il biologo sovietico A. Oparin», «Il sovietico Nikolai Brunov scrisse già nel 1937», «Viaceslav Saitsev, il noto filologo dell’Accademia delle Scienze bielorussa» e via così. Oggi possono suonare grottesche, muovere al riso o a ipotesi estreme: Kolosimo agente del blocco orientale, incaricato di diffondere in occidente strane teorie, per loschi fini di guerra psicologica? Mah. Forse la questione è più semplice: leggeva quelle lingue, aveva accesso a quel materiale, e ai suoi lettori la cosa piaceva. Durante la guerra fredda, vista da qui, la scienza sovietica aveva un che di bizzarro, una vibrazione di esotica eterodossia, anche agli occhi di chi si batteva per l’altro modello, quello capitalista-americano. La curiosità per l’est fu un fenomeno trasversale, come lo sono oggi l’ostalgia e il modernariato del socialismo che fu.
A noi piace reputare Kolosimo un guerriero, uno che ha combattuto perché l’immaginario non si restringesse e, al contempo, la fantasia (anche quella più sbrigliata) tenesse le radici nella realtà, nel conflitto che senza pause muove la società. In fondo, nonostante il suo stalinismo, Kolosimo non era tanto distante da Radio Alice e dai giovani “mao-dadaisti” del ’77.
Kolosimo colmò un buco, una lacuna, una gigantesca nicchia di immaginario e mercato editoriale. In quell’epoca, gli intellettuali avevano decretato la “morte del romanzo”. Non per questo si era estinto il bisogno di romanzesco: in edicola, Urania, Segretissimo e Il Giallo Mondadori vendevano un numero di copie oggi impensabile. Tuttavia, erano pubblicazioni settoriali, rivolte a target di lettori specifici. C’era bisogno di un’operazione azzardata, che scavalcasse i recinti e andasse incontro ai bisogni di più lettori.
Kolosimo intercettò la voglia di viaggio e di mistero che pervadeva tutto l’occidente (gli UFO, il triangolo delle Bermude, Uri Geller che piegava i cucchiaini con la forza del pensiero) e la “dirottò” in una direzione inattesa. Camuffando da saggi divulgativi le sue narrazioni fantascientifiche, il vecchio Omega Jim creò un grande fenomeno di costume.
Particolare non secondario, scriveva in modo magnifico:
Particolare non secondario, scriveva in modo magnifico:
«Io sono essenzialmente un tecnico, posso dire di aver rivestito di filologia la mia tecnica, e così i grossi argomenti riesco a prospettarli in modo accessibile al pubblico. E se non facciamo della divulgazione, per chi scriviamo i libri? Scriviamo i libri per Peter Kolosimo? Eh, no, un momento, troppo poco. Io i libri li scrivo per il mio pubblico, non voglio scrivere per me stesso.» (1974, cit.)
Nel 1969, Non è terrestre vinse il Premio Bancarella. Nel giro di pochi anni, lo avrebbero vinto Andreotti (1985), Sgarbi (1990), Zecchi (1996), Pansa (1997) e persino Bruno Vespa (2004). Compagno Kolosimo, ci manchi tanto. Torna dal pianeta su cui ti trovi ora, e scatena contro l’Italia un uragano di raggi cosmici.
⁂
RICORDANDO PETER KOLOSIMO
di Mariano Tomatis-
Il luogo migliore per incontrare Kolosimo a Torino è un vasto seminterrato in periferia. Un locale nascosto agli occhi dei passanti. Puoi abitarci sopra per vent’anni e non accorgerti di nulla. Superato un portone anonimo, ti trovi di fronte a una serie interminabile di scaffali. Qui, uno accanto all’altro, migliaia di dossier raccolgono segnalazioni di dischi volanti, luci insolite, entità misteriose e fenomeni paranormali. È la sede del Centro Italiano Studi Ufologici (CISU).
Su una scrivania, un ritaglio di giornale del 1978. Il titolo è curioso: «Un “umanoide” a spasso nelle strade di Collegno.» Paolo previene la mia domanda. «Il caso della mummia. Ha chiamato da poco un ragazzo. Sta facendo una tesi sulla psicologia della testimonianza e gli serve come documentazione.» Scorro velocemente l’articolo: una ragazza perde i sensi per lo choc, e per affrontare il mostro si scomoda l’arma dei Carabinieri. Paolo mi mostra i disegni dell’epoca: «Mi recai sul posto e stilai un rapporto dettagliato. Eccolo.» Ci sono identikit, foto del luogo. Perfino il dispaccio dattiloscritto dell’Ansa.
Ma io sono qui per Kolosimo. È Edoardo ad accompagnarmi agli scaffali giusti. Il tavolo per la lettura si riempie di materiale, mentre lui mi racconta dello scrittore modenese. «Sono almeno sei le edizioni del suo primo libro, Il pianeta sconosciuto. E vuoi sapere una cosa curiosa? Ognuna è diversa dalla precedente.» Ex-presidente e memoria storica del Centro, Edoardo ricorda bene la stagione torinese di Kolosimo, i suoi rapporti con il vecchio Centro Studi Clipeologici e i saltuari scazzi con i colleghi. «Per chi ha frequentato la combriccola di ufologi dell’epoca, il confronto filologico tra le edizioni porta alla luce dinamiche affascinanti: tic personali, scontri tra caratteri, piccoli screzi.» Scorci intimistici tra omini verdi e piramidi maya.
Inutilmente si cercherebbero reperti alieni o pezzi di astronavi negli archivi del CISU: presso il centro sono ben consapevoli – con Allan Hendry – che «si analizzano soltanto i rapporti UFO e non gli UFO.»1Solo un modo diverso di esprimere quello che Muriel Rukeyser affidava alla poesia: «Il mondo è fatto di storie, non di atomi.»2 Ecco perché, tra queste pareti, la filologia è più importante dell’analisi chimica, la psicologia più preziosa della fisica quantistica. Ed ecco perché, quando varco la soglia di questo seminterrato, mi coglie un senso di vertigine: non basterebbe una vita per raccontare tutte le storie che traboccano da dossier, schedari, questionari, fotografie, filmati e ritagli di giornale qui raccolti. Ognuna è il resoconto di un incontro con l’ignoto, e testimonia esperienze che hanno provocato curiosità, sgomento, stupore o incredulità.
Questo era il regno di Peter Kolosimo, questo il serbatoio di meraviglia a cui attingeva per scrivere, questo il lascito più prezioso di una carriera letteraria dall’enorme successo popolare. Secondo Piero Bianucci, lo scrittore aveva colto una «inafferrabile sintonia con lo spirito del tempo: quegli anni 60-70 che videro lo sbarco sulla Luna, la ribellione studentesca, la caduta dell’Accademia.»3Nell’agitato contesto di quel periodo, Kolosimo diede vita a «un genere così nuovo che non si trovava una categoria dove collocarlo. Non era saggistica scientifica, non era fantascienza, non era narrativa, non era inchiesta giornalistica, non era pura e semplice divulgazione. Ma di tutti questi generi c’era qualcosa.»4 Più letterato che astronomo (si era laureato in filologia), lo scrittore modenese era un maestro nel confondere i piani, sovvertire gli schemi e giocare con le percezioni del lettore.
Sfoglio le pagine di Non è terrestre (1968). Il libro si apre come una fiaba: «C’era una volta…» Il seguito, però, ha il tono del saggio archeologico. Riferisce di un tumulo indiano ritrovato nelle campagne dell’Illinois. E di uno scheletro del 1565, sepolto insieme a un pugno di monete del 1965. L’anacronismo disorienta, ma Kolosimo getta acqua sul fuoco, attribuendolo a uno scherzo: «Autori di questa e d’altre burle erano bimbi di un’evolutissima razza extraterrestre […] impadronitisi d’un apparecchio capace di viaggiare attraverso lo spazio e il tempo.»5 Qualche pagina dopo, l’autore mi strizza l’occhio: «Questa, naturalmente, è narrativa utopica.» Il ritrovamento? Finzione fantascientifica. Kolosimo sta citando un racconto pubblicato su Urania.6
Chi lo legge con attenzione, impara a non prenderlo alla lettera. Tra le righe, è lui il primo a suggerire un approccio obliquo ai suoi scritti. Dal dossier giallo che Edoardo mi ha affidato emergono ritagli preziosi. A una giornalista di Panorama Kolosimo confessa: «Se un pizzico di fantastico serve come esca, io non ho scrupoli a usarlo»7. Quando la psicologa di Playboy gli chiede se l’archeologia sia per lui una fuga dal presente, l’autore nega recisamente; egli parla del qui e ora, i dischi volanti sono solo un espediente narrativo: «Ci sono delle cose sulla terra che non si possono spiegare se non tirando in ballo gli spaziali, gli extraterrestri.»8
Colgo l’invito a leggerlo in quest’ottica, sparpagliando di fronte a me una pila di riviste da lui curate. Pi Kappa uscì in edicola dal novembre 1972 all’ottobre 1973. Senza falsa modestia, lo scrittore spiegava: «Pi Kappa è la sigla del mio nome. Punto e basta.»9
L’editoriale del primo numero è una lettera d’intenti: «Cercheremo di far pensare, non d’imporre. E se per far pensare c’è bisogno di un sogno, ben venga il sogno. […] Un pizzico di fantascienza invita a riflettere.»10
Cerco di collocarmi nella twilight zonedove un uomo del 1565 può stringere tra le mani una moneta del 1965. Scrivendo nel 1972, cosa rivela Peter Kolosimo del mio presente?
Mi è sufficiente girare pagina. «Spaziali in Italia» è un lungo articolo dedicato ai misteri archeologici del Musiné, il monte che sorge all’imbocco della Val di Susa, in Piemonte. Secondo una leggenda locale, un dragone protegge la montagna dagli intrusi. Intorno alla vetta, re Erode volteggia senza sosta su un carro infuocato; sta espiando i suoi crimini. Il cuore del massiccio custodisce «incomparabili tesori»11 ma anche un mago. Costui si occupa di mettere in pratica il principio primo della magia: “come in alto, cosi in basso”. Eccolo, dunque, scavare piccoli buchi sulle rocce, riempirli di combustibile vegetale e accenderli di notte. Dall’alto dei cieli, le costellazioni hanno l’impressione di specchiarsi sulla terra. L’archeologo Mario Salomone cita «resine e grassi animali nelle coppelle (incisioni appunto a forma di piccole coppe) che abbondano sul monte, fra i 400 e i 900 metri di quota.»12 «Perché – si chiede Kolosimo – genti primitive, assillate da problemi pratici da cui dipendeva la loro sopravvivenza, si sarebbero prese la briga di accendere fuocherelli in buche scavate faticosamente nella roccia? Per imitare le stelle.»13 Confrontando lo schema delle coppelle con le carte astronomiche, il Musiné rivela «qualcosa di unico al mondo: un’intera mappa celeste incisa nella roccia!»14
Nella zona del crepuscolo in cui mi trovo, le immagini che emergono dalla pagina diventano stranamente familiari. A quale folle intrusione nella montagna si riferisce Kolosimo? Quella di chi – nella Val di Susa – vede un tesoro da depredare? Chi è il potente dragone che ne difende l’integrità, a ogni costo, consapevole di quanto düra sarà la resistenza? Chi è il feroce governante, colpevole di nefandezze e costretto a sorvolare la zona – perché attraverso la montagna non si passa?
Poi penso a quei maghi che, in valle, ancora oggi si ispirano al “come in alto, cosi in basso”. Avendo abbandonato l’astrologia per ideali più concreti. Sulle pendici del Musiné, l’Orsa Maggiore ha lasciato spazio a iscrizioni visibili dall’alto dei cieli (o più comodamente dall’autostrada).
Chiudo la rivista, ma l’epica dell’immagine ha forti riverberi. Me ne accorgo avviandomi verso l’uscita, quando torno con lo sguardo all’umanoide di Collegno. Per un istante, in quegli occhi dietro le bende scorgo quelli di Marco Bruno – il militante No TAV che i giornalidipinsero come un mostro nella primavera del 2012.
Paolo sorride, ignorando l’immagine che mi passa per la testa.
«Era un bambino di 14 anni» mi spiega. «Reduce dalla visione del film La mummia, si era coperto di carta igienica rosa ed era uscito in strada. Si beccò una bella ramanzina, poi di corsa a casa.»
Kolosimo diceva di credere «in tutte le battaglie fatte in nome della libertà»15. Esco col sorriso sulle labbra e un pensiero. Archivi del genere bisogna farli cantare.
L’autore ringrazia Edoardo Russo, Paolo Fiorino, Gian Paolo Grassino e Roberto Labanti.
NOTE
1 Allan Hendry, Guida all’ufologia, Armenia, Milano 1980, p. 21.
2 Muriel Rukeyser, The Speed of Darkness, Random House, New York 1968, p. 111.
3 Piero Bianucci, «Kolosimo, esploratore tra scienza e mistero», Il nostro tempo, 26.4.1992.
4 Ibidem.
5 Peter Kolosimo, Non è terrestre, Sugar, Milano 1968.
6 Wilson Tucker, «Z come zebra», Urania, N. 452, Mondadori, Milano 1967.
7 Myriam De Cesco, «Un colpo da Pi Kappa», Panorama, 1972.
8 Erika Kaufmann, «P.K. chiama terra. Terra in ascolto di Peter Kolosimo», Playboy, N. 11, novembre 1974 (anno III).
9 De Cesco 1972.
10 Peter Kolosimo, «Presentazione», Pi Kappa, Anno I, N. 1, novembre 1972, p. 3.
11 Peter Kolosimo, «Spaziali in Italia», Pi Kappa, Anno I, N. 1, novembre 1972, p. 4.
12 Peter Kolosimo, «Spaziali in Italia», Pi Kappa, Anno I, N. 1, novembre 1972, p. 6.
13 Ibidem.
14 Ibidem.
15 De Cesco 1972.
LINK
Juan Posadas, I dischi volanti… e il futuro socialista dell’umanità(pamphlet del 1968, traduzione inglese)
Massimo Pietroselli, PK: Peter Kolosimo, sognatore patafisico
http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=16648
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