giovedì 1 novembre 2012

Grecia: crisi senza fine, rischia già di saltare il nuovo governo di coalizione


di  SALVATORE ANTONACI
Governare, nella Grecia degli ultimi mesi, si rivela un’impresa quasi titanica per qualsiasi compagine  si avventuri in questo gioco rischioso ed a somma zero. Molto si spiega con il livello piuttosto basso, per non dire infimo, del personale politico capace qui di ogni nefandezza. Ma una facile obiezione riporterebbe l’esempio alla normale prassi della democrazia rappresentativa in giro per il mondo : non è forse vero che, attraversato  l’Adriatico, la cronaca ci ha abituati ad uno scempio, se possibile, ancora maggiore?
Verissimo. Il degrado e la corruzione della repubblichetta italiana ha convertito l’espressione geografica metternichiana in materia di studio che appassiona, ahinoi, legioni di studiosi e politologi.
Tuttavia, qualcosa distingue ancora la patria degli antichi elleni dal resto della derelitta provincia dell’impero europeo. Non pare esistere quasi ombra di società civile capace di proporsi come nuova classe dirigente del paese e lo scontro tra i vecchi notabili, principali artefici del disastro, e la collettività nazionale responsabile di aver accettato e sottoscritto il patto infernale che garantiva alcuni decenni di bengodi economicamente insostenibile  promette di inasprirsi con le terribili implicazioni di ordine pubblico del caso.
Prendiamo a mo’ di esempio le ultime vicende che occupano le convulse cronache di Atene. Entrato in carica da appena pochi mesi sull’onda di una doppia consultazione elettorale, il nuovo Esecutivo guidato dal conservatore Samaras ed appoggiato dai due partiti della sinistra moderata, il vecchio PASOK(Partito Socialista) e  la socialdemocratica DIMAR, rischia di sfaldarsi sul duro scoglio delle misure anti-crisi o, per meglio dire, dei provvedimenti in grado solo di rallentare lo sfacelo continuando a tenere attaccata la bombola dell’ossigeno all’agonizzante prossimo al trapasso. I due soci di governo perdono pezzi e la maggioranza potrebbe saltare già la prossima settimana allorquando sarà messo ai voti alla Boulé il pacchetto di tagli e tasse che prevede economie ed inasprimenti fiscali per complessivi 13,5 miliardi di euro. Il tutto finalizzato all’ottenimento dell’ulteriore tranche di aiuti necessaria a tirare avanti fino a fine anno, al più primavera 2013.
La rivolta, infatti, è esplosa fragorosamente nel campo socialista e quasi mezzo partito si è messo in rotta di collisione con la linea del leader Evangelos Venizelos, non rassegnato al ruolo di curatore fallimentare del movimento fino a pochi anni addietro egemone nello scacchiere politico greco. Ma i tempi di Papandreu(Andreas) sono irrimediabilmente trascorsi ed un sondaggio che indicava al 6% il consenso dello stesso PASOK ha dato fuoco alle polveri. I resoconti di stampa raccontano di una riunione straordinaria del direttivo a dir poco burrascosa con urla che erano udibili al di fuori della stanza in cui si svolgeva il conciliabolo. Fatto sta che sul tavolo sono rimaste le dimissioni di alcuni nomi eccellenti, tra cui l’ex segretaria ed almeno un parlamentare e che il malessere  è pronto a trasformarsi in ammutinamento, il che starebbe a significare la fine del gabinetto Samaras ed uno scenario di anarchia e violenza diffusa nelle strade.
Di fronte a questa duplice pressione , quella delle élites tecnocratiche inflessibili nel loro ossequio alle politiche suicide ed omicide del gotha di Bruxelles e quella complementare di una piazza narcotizzata dalla tossina letale della spesa pubblica, non è dato ravvisare nessuna resistenza di spirito liberale capace di richiamare i governanti come l’uomo della strada all’esercizio delle proprie libertà nel rispetto dell’indispensabile senso di responsabilità senza il quale il trionfo della demagogia è assicurato. Ripetiamolo: la Grecia attuale è solo lo specchio radicalizzato di ciò che potrebbe  verificarsi nel resto del continente e perfino nell’apparentemente lontana America. La culla della civiltà antica è il laboratorio nel quale possiamo osservare la crisi finale del mondo di ieri, ma non l’avvento del nuovo.

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