Acqua, 'Privatizzazione dei servizi illegittima'
La Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 4 della finanziaria-bis 2011
di Tommaso Tetro e Eva Bosco
La norma sulla privatizzazione dei servizi pubblici così com'é non va.
La Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale
dell'articolo 4 della Finanziaria-bis 2011 che disponeva la possibilità
per gli enti locali di liberalizzare i servizi pubblici, dai quali la
stessa manovra escludeva però l'acqua, cavallo di battaglia della
campagna dei referendari contrari alle privatizzazioni. Nel giugno 2011,
infatti, la liberalizzazione dei servizi pubblici fu sottoposta a due
quesiti referendari e vinsero i sì, cioé i favorevoli all'abrogazione
della legge allora in vigore. Il motivo centrale per cui la Consulta ha
stabilito l'illegittimità costituzionale dell'articolo 4 della
Finanziaria-bis 2011 è che viola l'articolo 75 della Costituzione, cioé
quello che vieta il ripristino di una normativa abrogata dalla volontà
popolare attraverso referendum: la Corte, infatti, rileva che
quell'articolo ripropone nella sostanza la vecchia norma che il
referendum voleva cancellare e anzi la restringe e la peggiora. E a dire
il vero per Federutility la sentenza "era abbastanza prevedibile"
soprattutto "guardando alla sequenza delle norme" che sono state
"riproposte quasi uguali"; per il direttore della Federazione delle
utilities, Adolfo Spaziani, è "evidente che la norma si reggeva su basi
non solide".
In ogni caso la bocciatura alla 'privatizzazione' dei servizi pubblici
giunta dalla Corte Costituzionale ridà nuova linfa ai movimenti
dell'acqua che parlano di "una grande vittoria": viene ribadita - "con
forza la volontà popolare espressa il 12 e 13 giugno 2011 e rappresenta
un monito al governo Monti e a tutti i poteri forti che speculano sui
beni comuni: l'acqua e i servizi pubblici devono essere pubblici". Non
mancano le reazioni politiche. Il Pd, con Umberto Marroni, capogruppo Pd
di Roma Capitale e Marco Causi, deputato Pd in commissione Finanze,
parla subito di "bocciatura della delibera del sindaco Alemanno"
sull'Acea. Il leader dell'Idv Antonio Di Pietro dice che "vigilerà,
fuori e dentro il Parlamento, affinché il responso dei cittadini e la
sentenza della Corte costituzionale vengano rispettate". Per Paolo
Ferrero è "una vittoria della democrazia". Il governatore della Puglia
Nichi Vendola ricorda che si tratta di un risultato della Puglia (che ha
presentato il ricorso): "La Puglia ha vinto, ma soprattutto, con la
Puglia, hanno vinto la democrazia e il popolo del referendum. La nostra
perseveranza nella battaglia che abbiamo condotto, giorno dopo giorno,
ci ha dato ragione". Per Legambiente, tra le associazioni che si sono
battute a favore dei referendum, "giustizia è stata fatta".
Giudizi e osservazioni mossi da quello che è l'esito della decisione
della Consulta: bocciare la legge in vigore, tornando di fatto alla
precedente. Ma la sentenza della Corte va letta nelle sue pieghe. Il
testo, infatti, rileva che l'intento referendario era di superare le
limitazioni, rispetto al diritto comunitario, delle ipotesi di
affidamento diretto e, in particolare, quelle di gestione in house di
pressoché tutti i servizi pubblici locali di rilevanza economica
(compreso quello idrico). La nuova normativa, osservano però i giudici
costituzionali, "non solo è contraddistinta dalla medesima ratio di
quella abrogata, ma è anche letteralmente riproduttiva, in buona parte,
di svariate disposizioni" della legge abrogata: da un lato "rende ancor
più remota l'ipotesi dell'affidamento diretto dei servizi", dall'altro
la lega al rispetto di una soglia commisurata al valore dei servizi
stessi, oltre la quale è esclusa la possibilità di affidamenti diretti:
soglia che scende rispetto a quanto previsto nel testo precedente,
passando da 900 mila a 200 mila euro. Con la sentenza della Consulta
vengono bocciate anche le successive modificazioni comprese quelle
apportate dal governo Monti a dicembre; allo stesso modo - rileva
Vendola - sarebbero "a rischio quelle contenute nel decreto sulla
Spending review che mira a fissare gli stessi limiti, oggi abrogate
dalla Consulta, sulle società in house". (ANSA)
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