giovedì 27 febbraio 2014

Paco de Lucia tutto fuoco, fiamme e «duende»

A Paco de Lucia si deve la rivo­lu­zione tec­nica ed este­tica che ha sbal­zato la musica gitana anda­lusa dalla penom­bra esclu­siva del tablao alle luci stro­bo­sco­pi­che delle grandi ribalte inter­na­zio­nali. È il chi­tar­ri­sta tutto fuoco, fiamme e duende, ver­ti­gine e con­trollo, pre­ciso come un com­passo nell’imprevedibilità di ogni pas­sag­gio, che ha spo­stato i con­fini natu­rali del fla­menco con la forza bruta delle dita, il fra­seg­gio fre­mente che strappa il clas­sicovale a ogni respiro, una casca­tella di inven­zioni armo­ni­che in perenne, avvin­cente duello con il ritmo. Tal­mente nuovo e spe­ri­co­lato, il suo fla­menco, che non c’è mai stato biso­gno di sot­to­li­nearlo aggiun­gendo il clas­sico «neo».
Per entrare nella sto­ria gli sarebbe bastata quella raf­fica di dischi regi­strati negli anni ’70 e ’80 con Cama­rón de la Isla, che divenne il più grande di tutti i can­ta­do­res anche gra­zie a quella fiam­meg­giante cor­nice, al bat­tente inter­play a cui lo costrin­geva quella chi­tarra. Ma Paco de Lucia è andato oltre e nes­suno ha mai avuto niente da obiet­tare. Il quo­ti­diano El Pais ricorda giu­sta­mente come sia un caso quasi unico di arti­sta che ha attra­ver­sato i decenni senza mai subire una mala cri­tica, una stron­ca­tura. E allora sarà stato anche que­sto applauso scro­sciante e costante che a un certo punto lo ha por­tato a com­pia­cersi di ogni trillo e acciac­ca­tura, di ogni col­la­bo­ra­zione. Ad abi­tuarsi al ruolo del gui­tar hero, a com­prare il suo posto tra leleyen­das de la gui­tarra, con genu­fles­sione ai suoi piedi di Steva Vai, come accadde una notte a Sivi­glia, inclusa nel prezzo.
Il niño pro­di­gio di Cadice diven­terà anche l’adulto sedotto dalle scor­cia­toie della fusion, il funam­bolo che divide il palco con John McLau­ghlin e Larry Coryell (sosti­tuito poi da Al di Meola), il pio­niere della world music intesa come tra­stullo espres­sio­ni­sta, il mer­ce­na­rio che appog­gia la sua chi­tarra dove lo pagano meglio. Però disse no a Julio Igle­sias mal­grado la mon­ta­gna d’oro stan­ziata, causa pre­giu­di­zio che poi non ebbe pro­blemi ad ammet­tere. In Ita­lia ha detto sì ad Albano, Baglioni e Pava­rotti, con sim­pa­tia. Ma non per que­sto ha inter­rotto la sua ricerca, né rinun­ciato alle otto ore di stu­dio quo­ti­diano. Una estrema forma di rispetto, forse, per quei chi­tar­ri­sti alle orec­chie dei quali era diven­tato una divi­nità, che con­ti­nua­vano a inflig­gersi ore e ore di scale con le dita mor­ti­fi­cate da un ela­stico, per pro­vare a diven­tare veloci come lui.
Gli è restato in canna il sogno dei sogni, quello di regi­strare un intero disco a par­tire dai rita­gli di nastro, scar­tati a suo tempo, con la voce esplo­siva di Cama­rón, scom­parso nel 1992. Non un solo brano come nel 26mo e ultimo lavoro a suo nome, Cosi­tas Boni­tas. «Cose buone», che per restare tali devono essere prese a pic­cole dosi. In un’intervista per farsi capire aveva azzar­dato un para­gone con i luo­ghi, le per­sone e per­sino con i canu­tos (spi­nelli). Non certo con la sua chitarra.

http://ilmanifesto.it/paco-de-lucia-tutto-fuoco-fiamme-e-duende/

Nessun commento:

Posta un commento