sabato 1 febbraio 2014

Il progresso

La crescita continua, oltre a essere fisicamente impossibile in un pianeta limitato, è nefasta. Il problema sono gli occhiali che si utilizzano per vedere il mondo, suggerisce lo scrittore spagnolo Gustavo Duch. Costruire nuovi centri commerciali, ad esempio, significa illudersi di creare nuovi posti di lavoro e far finta di non sapere cosa accade nelle fabbriche del sud del mondo, significa favorire il monopolio delle multinazionali, e significa ridurre terre da destinare all’agricoltura, perdere biodiversità e paesaggi. Il cemento non ha mai generato vita
di Gustavo Duch
826578-shopping-boxing-dayPotrebbe essere una normale conversazione durante un aperitivo in una domenica mattina a Vilamoura, Sant Boi o El Prat. «Carles, ogni cosa che succede tu sei sempre contro il progresso. Ricordo perfettamente quando qualche anno fa si parlava dell’allargamento dell’aeroporto El Prat di Barcellona. Tutto l’anno lo hai trascorso in campagne e azioni contro l’arrivo di Eurovegas (un mega-casinò,ndt) nell’area del Parco Agricolo. E ora che noi parliamo di un grande complesso commerciale di abbigliamento, un outlet, sei così critico. Come pensi che usciremo da questa crisi? Tu sei un pignolo e testardo. Come pensi che cresca la nostra economia?».
Non è che Carles sia testardo, il vero mantra insopportabile è ripetere e ripetere questo tipo di domanda trasformata in un dogma di fede. Cosa mantiene fermo Carles nelle sue convinzioni, e molte persone come lui, è sfidare la domanda stessa.
La crescita è impossibile e nefasta
Di certo, penso, che sbagliamo quando dedichiamo tanta fatica per discutere quale sia il modo migliore, o il meno peggio, perché i dati economici risalgano. La nuova proposta di un grande outlet a Vilamoura, è un buon esempio per capire che l’errore sta alla base, perché un’economia di crescita continua, oltre a essere fisicamente impossibile in un Pianeta limitato, è nefasta.
Immaginiamo che apra il nuovo centro commerciale. Noi cittadini di Barcellona compreremo più vestiti? Sicuramente compreremo lo stesso, solo che la novità è che si farà molta pubblicità perché la spesa si sposti dai negozi tradizionali al nuovo paradiso tessile. Nasceranno più posti di lavoro? Di sicuro quelli che si creano con l’apertura dell’outlet saranno gli stessi che vengono distrutti con la chiusura delle piccole imprese o dei negozi familiari. Promuoveremo nuove industrie in relazioni con quelle tessili? Naturalmente non della nostra economia locale, dal momento che una delle caratteristiche di questo modello di business, di queste multinazionali low cost, è di importare abbigliamento da paesi terzi.
Cioè, la tesi di crescere per crescere produrrà numeri positivi nel bilancio complessivo, ma portarà anche quello che viene chiamata eufemisticamente esternalità. In primo luogo, provocherà la distruzione di parte del tessuto commerciale indipidente, delle piccole famigle, che sarà sostituito da un modello con poche corporazioni. In secondo luogo, quel modello favorisce il monopolio (ovunque troviamo gli stessi negozi e le stesse marche), i nuovi posti di lavoro ottenuti saranno in condizioni peggiori dei posti di lavoro distrutti. E, in terzo luogo, alcune aziende saranno vittoriose – abbiamo appena visto e denunciato il crollo della fabbrica tessile in Bangladesh e le sue più di mille vittime (un dossier sulla strage di Dhaka lo trovate QUI) -, aziende che nella loro ricerca per ridurre al minimo i costi di produzione chiudono gli occhi di fronte ai diritti minimi di lavoro di coloro che fanno e cuciono i pezzi «globalizzati».
Ventidue specie di orchidee
La speculazione urbanistica associata a questo progetto o simili, anche questa entrerà nel bilancio positivo generale, crescerà e questo viene considerato un bene. Ma ancora una volta ci manca una visione globale, perché in realtà, la valutazione di ciò che va aggiunto e sottratto non può valorizzare – perché è intangibile – quanto hanno sofferto coloro che venti anni fa furono espropriati delle loro masserie e quanto hanno sofferto venti anni fa coloro che stati espropriati delle loro aziende, non saprà calcolare, perché è incalcolabile, la perdita di biodiversità e di natura che questi progetti implicano e quanto quelle perdite siano importanti per mantenere in vita la fotosintesi delle piante e per il ruolo delle api; e non prenderà in considerazione – per mancanza di lungimiranza – tutto ciò che nei prossimi anni (con un calo di estrazione del petrolio, con il clima alterato e sempre più severo e con meno terra e acqua disponibili per l’agricoltura) può rappresentare avere più aree agricole vicino a Barcellona, offrendo posti di lavoro necessari per fornire cibi sani per la popolazione, e allo stesso tempo conservando un paesaggio dove, ad esempio, possiamo ancora trovare ventidue specie di orchidee.
Carles non chiede di tornare alle caverne, Carles dice che è una questione di sapere quali occhiali si utilizzano per vedere il mondo. Quando alcuni, attraverso la lente della crescita economica come ossessione, osservano che il 60 per cento delle terre fertili del Delta del Llobregat sono coperte con calcestruzzo e cemento, credono che non accadrà nulla se si distruggono altri sei ettari di terreno agricolo. Con gli occhiali dell’equità e della sostenibilità, Carles fa i conti e dice che abbiamo superato i limiti. Che il cemento non genera la vita, e che sotto l’asfalto c’è un giardino.

*Scrittore spagnolo, laureato in veterinaria, si occupa di alimentazione globale ed ecologia (questo è il blog da cui è tratto l’articolo http://gustavoduch.wordpress.com/, traduzione di Comune-info).

http://comune-info.net/2013/05/il-progresso/

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