domenica 17 marzo 2013

L'IRLANDA SI SMARCA DALL'EURO...


17/MAR/2013


Che l’eurozona sia nel caos ormai è un dato di fatto. La mancanza di un governo centrale capace di prendere decisioni univoche, chiare razionali e comprensibili si sta facendo sentire proprio adesso che bisogna fare delle scelte e nessuno sa bene chi sia autorizzato a farle. In mezzo a questo marasma l’Irlanda nel silenzio più assoluto dei media, ha fatto una mossa che potrebbe spiazzare tutti e mettere in crisi il colosso europeo dai piedi d'argilla. 

Ma cosa ha fatto l'Irlanda, o più nello specifico il suo premier kenny? Ad inizio gennaio del 2013, il premier intraprende i suoi primi viaggi della speranza verso Bruxelles e Francoforte per trovare nella Commissione Europea o nella BCE degli interlocutori validi per ritrattare l’intero programma di rientro dal debito. 

La situazione già precaria dell’economia irlandese che mostrava qualche timido cenno di ripresa non poteva essere appesantita con i previsti prelievi annuali e secondo Kenny era più che mai necessaria una ristrutturazione del debito per consentire un atterraggio più morbido e allungare il piano generale di rimborso. Tuttavia il classico balletto dello scaricabarile inscenato dagli inconcludenti tecnocrati europei unito all’avvicinarsi della data del 31 marzo in cui l’Irlanda avrebbe dovuto rimborsare la sua quota annuale, hanno convinto Kenny a prendere una decisione perentoria.

Il governo irlandese scambierà le cambiali in scadenza possedute dalla Banca Centrale d’Irlanda con titoli del debito pubblico con tempi di maturazione media superiori a 34 anni, in cui le maggiori quote di rimborso sono previste per il 2038 e il 2053. Per la prima volta, uno stato non più sovrano dell’eurozona se ne è infischiato di attendere le decisioni degli sfaccendati e stralunati tecnocrati di Bruxelles e ha fatto una scelta a tutti gli effetti “sovrana”, che contrasta vistosamente con i trattati europei e in particolare con il famigerato articolo 123 che impedisce alle banche centrali dell’eurozona di finanziare direttamente i rispettivi governi. Il precedente prestito si è trasformato insomma in una forma più o meno camuffata di monetizzazione del deficit pubblico: soldi freschi della banca centrale in cambio di titoli di stato, anche se poi questi soldi non servono per alimentare la spesa del governo ma sono stati già convogliati nelle casse delle banche fallite. In ogni caso, questo legame diretto fra governo e banca centrale rappresenta un vero abominio e un affronto per la tecnocrazia europea, che proprio su questa inconsueta e ancora incomprensibile cesura aveva fondato le basi del suo primato oligarchico e antidemocratico.

Interrogato sullo smacco irlandese dai giornalisti nell’ultima conferenza stampa di inizio marzo, il governatore della BCE Mario Draghi non senza qualche imbarazzo ha riferito di avere preso nota di ciò che sta accadendo in Irlanda, riservandosi di rivedere con calma l’intera faccenda insieme agli altri membri del Consiglio Direttivo della banca centrale di Francoforte. Ad ogni modo, Draghi ha fatto capire che la questione riguarda ormai i rapporti interni fra il governo irlandese e la Banca Centrale d’Irlanda, mentre le presunte irregolarità inerenti il rispetto dell’articolo 123 verranno analizzate con la dovuta scrupolosità entro la fine dell’anno. Nulla però Draghi ha detto riguardo la questione di fondo che soggiace all’intera vicenda e lo stesso Kenny ha spesso accennato in modo velato, con tutte le cautele del caso in pubblico: ma se i soldi prestati dalla BCE al governo irlandese vengono creati dal nulla, perché i cittadini dovrebbero svenarsi e privarsi dei loro risparmi per rimborsare del denaro che una volta rientrato alla base verrebbe distrutto o bruciato? Che senso ha mettere in ginocchio un’intera nazione per dei semplici bit elettronici o delle voci contabili all’interno del bilancio di una banca centrale? Non sarebbe più giusto che la parte di debito dovuto alla BCE venisse in qualche abbonata o decurtata, lasciando intatta solo la quota prestata dal FMI?

Ovviamente di fronte a questi scottanti interrogativi i funzionari della banca centrale tedesca Bundesbank sono sobbalzati all'unisono e hanno fatto una corale levata di scudi, ricordando che il compito principale della banca centrale deve essere il controllo dell’inflazione e pur di mantenere bassa l’inflazione, la gente può essere tranquillamente dissanguata e lasciata morire. Ricordiamo che i tedeschi sono ormai gli unici al mondo, insieme ai loro servili lacchè europeisti disseminati in tutto il continente, a credere che l’aumento della massa monetaria crei automaticamente inflazione e soprattutto che una banca centrale possa davvero influenzare e modificare il livello della massa monetaria circolante. Due scemenze belle e buone che servono per coprire la verità profonda dell'intransigenza teutonica in tema di politica monetaria: per chi ancora non lo avesse capito, l’euro non è una moneta comune ma una veste un po’ più sofisticata del marco tedesco e i marchi, da che mondo è mondo, non si regalano a nessuno, ma bisogna guadagnarseli con il sangue. Fine della storia. O almeno così sembra, dato che nel caos attuale imperante nell’eurozona la decisione “sovrana” dell’Irlanda potrebbe creare un precedente politico a cui potranno in futuro appellarsi gli altri governi degli stati più in difficoltà. In particolare pensiamo a Grecia e Portogallo, i cui governi invece stanno continuando a pagare a caro prezzo i loro durissimi piani di rientro con rivolte popolari, sofferenze e vessazioni non più tollerabili della cittadinanza. Ma anche l’Italia potrebbe essere presto coinvolta in questa faccenda e non a caso qualche tempo fa il direttore del collocamento dei titoli pubblici del MEF Maria Cannata aveva timidamente accennato alla possibilità di rifinanziare l’enorme debito pubblico italiano con titoli a più lunga scadenza, dai 30 fino ai 50 anni. Non è sicuramente una soluzione definitiva al problema del debito pubblico e della perdita della sovranità monetaria, ma indubbiamente un’operazione del genere potrebbe alleviare non poco la pesantezza degli impegni immediati di consolidamento del debito e partecipazione ai fondi di salvataggio presi in sede europea dall’Italia (vedi Fiscal Compact e Mes).    

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