L'infenzione ossea e il rischio di amputazione
Qui la diagnosi è di osteomielite post-traumatica, una grave infezione ossea che coinvolgeva gran parte della tibia e della caviglia della gamba destra, contratta a seguito di quel trauma iniziale apparentemente banale. Nella foto si riesce a vedere chiaramente la gravità delle condizioni della gamba di Onya.
A causare l’infezione, come riveleranno i tamponi colturali profondi, sono una serie di batteri ‘mangia-carne’ (flesh-eating), dallo Stafilococco Aureus all’Escherichia Coli, passando per tanti altri che, nel corso di alcuni mesi avevano devastato la cute e i muscoli, fino ad arrivare all’osso. Giunta a questo stadio l’infezione non è più controllabile con i soli antibiotici, è necessario ricorrere al bisturi, per rimuovere le parti infette, ma in un caso del genere, può essere necessario anche ricorrere all’amputazione.
"L'impresa" alternativa durata un anno
Ma Onya non ne vuole proprio sapere. I medici cercano di convincerlo, ma lui è irremovibile. E allora un ortopedico, il dottor Carlo Perisano, ricercatore in Ortopedia e Traumatologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore e dirigente medico presso la UOC di Ortopedia e Traumatologia della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, e la dottoressa Elisabetta Pataia, docente di Chirurgia ortoplastica all’Università Cattolica del Sacro Cuore e chirurgo plastico presso la UOC di Ortopedia e Traumatologia della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, propongono a Onya una soluzione alternativa. Proveranno a rimuovere tutta l’infezione, che significa asportare la parte inferiore della gamba e parte della caviglia, per poi ricostruire il tutto.
Una vera e propria impresa durata circa 1 anno e vari interventi, mai descritta prima in letteratura, che ha restituito a Onya la sua gamba: «In una prima fase – spiega il dottor Perisano – abbiamo resecato quasi tutta la tibia del paziente sotto il ginocchio e l’astragalo, per rimuovere tutti i focolai di infezione; successivamente abbiamo messo un sostituto temporaneo dell’osso, cioè uno spaziatore cementato e antibiotato, al fine di far guarire i tessuti e ridurre il rischio di re-infezione. Dopo 4 mesi di terapia antibiotica, abbiamo iniziato un percorso di ricostruzione ossea».
La ricostruzione ossea
Inizialmente è stato fatto un tentativo di allungamento dell’arto con un fissatore esterno. «Si tratta di un intervento particolare – spiega il dottor Perisano – consistente nell’osteotomia della parte di tibia rimanente e nella distrazione dei due monconi ossei (il gap osseo era di circa 20 cm), per permettere all’osso neoformato di crescere tra le porzioni di osso residue. In questo modo abbiamo recuperato 10 centimetri di osso; tanti ma non sufficienti a ricostruire la parte mancante di tibia». È stato quindi necessario modificare la strategia chirurgica. Per dare un’adeguata copertura cutanea e poter permettere dunque all’osso sottostante di rigenerarsi e guarire, l’équipe multidisciplinare di ortopedici e chirurghi plastici ha effettuato un delicato intervento, del tutto inedito. «Abbiamo effettuato una ricostruzione complessa – spiega la dottoressa Pataia – prelevando tre lembi, uno muscolo-cutaneo dalla coscia e due ossei da entrambi i peroni del paziente. Successivamente, questa sorta di patchwork osseo-muscolo-cutaneo è stato collegato con tecnica micro-chirurgica. Si tratta di un sistema detto ‘lembo-chimera’ che consiste nel collegare un lembo muscolo-cutaneo al vaso arterioso della gamba ricevente, per poi collegare tra di loro i restanti lembi. In pratica il primo lembo alimenta l’altro, attraverso una serie di connessioni vascolari realizzate al microscopio, che partendo da un solo vaso ha consentito di alimentare tre lembi diversi».
Utilizzando inoltre il perone della gamba sana e quello della gamba malata il dottor Perisano ha ricostruito la parte mancante della tibia e l’astragalo del paziente, fissando il tutto con delle viti ortopediche e mettendo a protezione, un fissatore esterno circolare, per permettere la guarigione dei tessuti e far consolidare le parti ossee. «Si tratta di un intervento eccezionale – commenta il professor Giulio Maccauro, Ordinario di Ortopedia all’Università Cattolica e Direttore della UOC di Ortopedia e Traumatologia di Fondazione Policlinico Gemelli IRCCS - che conferma la validità della nostra intuizione di creare un servizio di chirurgia ortoplastica, interdisciplinare con ortopedici e chirurghi plastici, all’interno della nostra struttura di Ortopedia e Traumatologia. Si tratta di una disciplina nuova, che ha pochi altri centri in Italia».
https://www.leggo.it/schede/virus_mangia_carne_operazione_gemelli_oggi_10_4_25-la_ricostruzione_ossea-4-8769069.html
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