lunedì 25 dicembre 2023

Bello come un Adone…

 

 


Cinira, re di Cipro e sacerdote di Afrodite, sposò la bella Cencreide e da lei ebbe una figlia alla quale venne dato il nome di Smirna (o Mirra). Crescendo la piccola diventò sempre più graziosa, tanto che, quando ormai era una giovane donna, la madre si vantò incautamente di avere una figlia più bella della stessa Afrodite. La cosa non poteva certo passare inosservata, né si poteva pensare che la dea dell’Amore avrebbe sopportato quell’insulto senza reagire. Poco tempo dopo infatti Afrodite, risentita e irritata, mise in atto la sua vendetta. Non fu difficile per lei penetrare nei sentimenti della giovane Smirna e trasformare il suo affetto filiale in un vero e proprio trasporto di amore sensuale e lussurioso nei confronti di suo padre Cinira. Così in una notte buia, approfittando del fatto che l’uomo era talmente ubriaco da non capire ciò che stava accadendo, la giovane si introdusse lascivamente nel letto di suo padre.

 

Passò del tempo e Smirna s’accorse di essere rimasta incinta. La notizia giunse all’orecchio di Cinira il quale con raccapriccio si rese contro di essere allo stesso tempo padre e nonno del bimbo che sua figlia aveva in grembo. Completamente sconvolto l’uomo prese la sua spada intenzionato ad uccidere Smirna per lavare col sangue la terribile offesa che sua figlia aveva fatto a lui e agli dei. Terrorizzata la povera ragazza si dette alla fuga, ma il padre la seguì fin fuori dal palazzo. La corsa folle di Smirna proseguì a lungo finché, sfinita la giovane si fermò su una collina ormai rassegnata a perdere la vita per mano dell’uomo che l’aveva messa al mondo e che, malgrado tutto, lei amava teneramente. Quando Cinira ebbe finalmente raggiunto sua figlia e la sua mano aveva già sollevato in aria la spada per assestarle il colpo fatale però, la stessa Afrodite, pentita delle conseguenze della sua vendetta, intervenne per porvi in qualche modo rimedio.

 

La dea infatti trasformò Smirna in un albero di mirra così, quando il fendente di Cinira la raggiunse, fu il suo tronco ad essere tagliato in due e da quello squarciò uscì e venne alla vita il piccolo Adone. Il bimbo era di una bellezza straordinaria tanto che la stessa Afrodite, sia per salvarlo dalla rabbia di Cinira, sia perché affascinata dai delicatissimi lineamenti del neonato, lo raccolse e lo rinchiuse in un cofano che poi consegnò a Persefone, chiedendole di custodirlo per qualche tempo. Ma la regina dell’Ade, vinta dalla curiosità, aprì il cofano e vi scoprì la presenza di Adone. Conquistata anch’ella dalla irresistibile bellezza del figlio di Smirna, Persefone lo liberò e lo portò con sé nel suo palazzo. Quando Afrodite, ritenendolo ormai abbastanza cresciuto, scese nel Tartaro per riprendersi Adone scoprì con disappunto che Persefone ne aveva fatto il suo amante e non aveva alcuna intenzione di renderglielo.

 

Molto contrariata la dea dell’Amore si rivolse a Zeus per avere giustizia, ma questi non avendo alcuna intenzione di trovarsi in mezzo alla disputa, delegò il giudizio a Calliope. Il salomonico responso della Musa della poesia fu che entrambe le dee avevano uguali diritti su Adone e sulle sue prestazioni carnali e pertanto veniva deciso che il ragazzo trascorresse quattro mesi dell’anno con Persefone, quattro con Afrodite e gli ultimi quattro in solitudine a riposarsi dalle fatiche dei mesi precedenti. Ma la dea dell’Amore mal sopportava questa soluzione e non rispettò i patti. Indossò infatti la sua cintura d’oro (che le era stata donata da suo marito Efesto e che aveva il potere di rendere irresistibile chiunque la indossasse) e indusse Adone non solo a passare con lei anche i quattro mesi di riposo, ma anche a ridurre a suo vantaggio il tempo che il ragazzo trascorreva con Persefone.

 

La dea degli Inferi, evidentemente più sbrigativa della sua antagonista, non chiese giustizia agli dei dell’Olimpo, ma si recò in Tracia e raccontò ad Ares (amante ufficiale di Afrodite) che ormai la lussuriosa dea gli preferiva il giovane Adone, un semplice mortale. Il dio della guerra, che per ovvi motivi legati alle sue funzioni non aveva un buon carattere, offeso e morso dalla gelosia si tramutò in un enorme cinghiale e raggiunse il monte Libano dove Adone era impegnato in una battuta di caccia. Con estrema soddisfazione il dio cinghiale azzannò il ragazzo fino a farlo morire davanti agli occhi impietriti di Afrodite, dopodiché corse via mentre dal sangue di Adone nascevano anemoni rossi e profumati. Disperata, ma anche indispettita perché consapevole che, in quanto trapassato, Adone avrebbe ormai trascorso tutto il suo tempo nel Tartaro insieme a Persefone, la dea si rivolse ancora una volta a Zeus.

 

Mischiando le suppliche alle lacrime, Afrodite s’inginocchiò davanti al padre degli dei implorandolo di concedere che il suo protetto trascorresse nel Tartaro solo i mesi più cupi e tristi dell’anno, mentre quelli più caldi e luminosi li avrebbe passati con lei in superficie. Zeus, che evidentemente in quel momento era di buon umore, acconsentì decretando così che Adone trascorresse i mesi invernali con Persefone e quelli estivi con Afrodite.


Questa è solo una, forse la più nota, delle varie versioni esistenti sul mito di Adone. La consultazione di vari testi ha fatto emergere altrettante varianti, quasi sempre non compatibili fra loro. La scelta è quindi caduta sulla narrazione di Robert Graves nel suo celebre “I miti greci”.

Secondo la versione di Ovidio, Mirra fu costretta, a causa della maledizione di Afrodite, a trascorrere ogni notte della sua vita a giacere con il padre, perché follemente innamorata, dunque, con l' aiuto della sua balia, lei si recava dal padre e si concedeva a lui, in una camera buia, tutto ciò fino al dodicesimo giorno in cui il padre volle conoscere, a tutti i costi, l' identità dell' amante con la quale aveva condiviso il letto da giorni e, accesa una torcia e scopertone il vero volto, inorridì a tal punto che afferrò la spada per ucciderla, ma lei riuscì a fuggire e poi il resto è pressappoco simile a quello da lei narrato.


Mitologia greca 

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