DOSSIER HAMER
Veronesi
In una lettera pubblicata il 18 dicembre 2006, Hamer racconta:
«Pensate: oggi una paziente ha riferito che lei sarebbe andata con il libro d'oro (il Testamento) in italiano da questo professor Veronesi e avrebbe chiesto: "Signor Professore, Lei conosce questo "Libro d'oro" e la Nuova Medicina Germanica del Dr. Hamer?" e lui avrebbe risposto: "Si, molto bene! La Nuova Medicina Germanica è la miglior cosa che esista. Se Lei conosce la Nuova Medicina Germanica, non ha bisogno di fare la chemio". Come abbiamo scoperto dopo alcune indagini, l'ha già detto a numerosi pazienti. Perché non a tutti, anche senza richiesta?»
In questa lettera Hamer afferma dunque che il professor Umberto Veronesi sia un ebreo. Veronesi ha risposto alla nostra domanda se tale affermazione fosse vera con un fax datato 29 dicembre 2006, che smentisce chiaramente Hamer e ne mette in luce alcune incongruenze:
Veronesi, nel suo spazio sul Corriere della Sera, si è interessato più volte delle teorie di Hamer:
«Caro (omissis), non conosco il caso di Hamer ma mi fa piacere confrontarmi con lei sulla natura del cancro, anche se non voglio farlo ideologicamente ma scientificamente. Ho già avuto modo di esprimere su questo forum che io credo che tanto il benessere psichico come il suo opposto, la depressione profonda che porta ad una rinuncia alla vita, possono avere un'influenza sulla cura e sulla risposta del malato alla terapia. Sono anche d'accordo con lei che spesso i farmaci anticancro sono poco efficaci, tant'è vero che con il mio team ci stiamo impegnando nella ricerca di nuovi farmaci molecolari meno tossici per l'organismo e nella messa a punto di combinazioni di farmaci tradizionali che permettano l’utilizzo a basse dosi. Tuttavia nella cura del cancro anche il "poco" è importante. Sull'origine psicosomatica del cancro però non abbiamo alcuna evidenza scientifica e dunque, anche se la psicanalisi può sicuramente in alcuni casi far molto bene psicologicamente al paziente, io non mi sentirei mai come medico e come scienziato di considerarla un'alternativa alle cure che, pur con i loro limiti, oggi hanno dimostrato una qualche azione antitumorale. Ciò detto, io sono un gran sostenitore dell'importanza del lato psicologico e soggettivo della malattia, anche e soprattutto quelle più gravi e non mi stanco di ripetere che oggi vale al guarigione ma anche la qualità della guarigione e che la scienza medica non deve mai dimenticare l'attenzione "amorosa" alla persona».
Il 30 gennaio 2007 ancora Veronesi aggiunge nello stesso forum "L'oggi e il domani della ricerca", a proposito dell'argomento "arrabbiarsi fa male?"
«Cara Vera, come ho già avuto più volte occasione di scrivere su questo forum, non esistono prove scientifiche di un legame causa-effetto fra psiche e tumori e quindi non possiamo certamente affermare che il tumore sia una malattia psicosomatica. La scienza ha dimostrato che il rischio di ammalarsi di tumore dipende da fattori ambientali (stili di vita, esposizione a sostanze cancerogene etc.) e genetici. Non ci sono prove di legame fra atteggiamento psicologico (rabbia, dolore, depressione) e sviluppo di malattia. Questo non significa che non vi sia alcuna associazione fra mente e fisico, anche in campo oncologico, come per tutte le altre patologie, ma questo vale soprattutto quando la malattia è conclamata. Credo che tanto il benessere psichico come il suo opposto, la depressione profonda che porta ad una rinuncia alla vita, possono avere un’influenza sulla cura e sulla risposta del malato alla terapia».
Su una pagina di discussione del Corriere della sera, il 26 aprile Umberto Veronesi si esprime a proposito della Nuova Medicina Germanica: «Cara Daniela, continui ad aderire alla cura con la lucidità e coscienza che dimostra, senza confondere vivere e sopravvivere. Lei sta vivendo e con grande energia. Quanto ad Hamer, deve pensare che il mondo della scienza biomedica, peraltro impegnatissimo ad aggiornarsi ad un ritmo sempre più serrato, è teso a sviluppare il dibattito scientifico sulle ricerche che seguono e i suoi principi e i suoi metodi. C'è una metodologia mondiale e universale, che è quella delle pubblicazioni scientifiche, attraverso cui la scienza dialoga, con l'obiettivo di arrivare a risultati concreti. Dunque se non ha trovato commenti è perché presumibilmente Hamer non ha pubblicato risultati di lavori di ricerca su riviste internazionali. Nulla di strano».
Veronesi aggiunge il 18 maggio 2007 un altro commento sulla Nuova Medicina Germanica:
«Caro Marco, su questo forum ho già risposto a molti messaggi che mi interpellavano sullo stesso argomento. Riprendo dunque quanto ho già avuto occasione di scrivere: in base alla teoria che lei cita, ogni tumore è provocato solo ed esclusivamente da un trauma psicologico e quindi si può curare solo curando la psiche del malato. Tuttavia non esistono prove scientifiche di un legame causa-effetto fra psiche e tumori e quindi non possiamo certamente affermare che il cancro sia una malattia psicosomatica. Si tratta ancora una volta di una delle cosiddette medicine "alternative": per pronunciarsi sulla loro validità occorre che vengano sottoposte a criteri di verifica scientifici che, in questo caso specifico, non hanno fornito alcun esito positivo»
Vedi anche il suo ricordo di Laura Dubini(*) e l'intervento su "La Repubblica" del 17 maggio 2008.
Va ricordato che il teologo Geerd Ryke Hamer non considera ebreo soltanto Veronesi, ma anche il defunto papa Wojtila, a capo della Chiesa cattolica.
Sul sito internet www.nuovamedicina.com si trova una traduzione di questa lettera di Hamer, ma sono state tagliate via le ultime frasi che iniziano con "Ein Silberstreifen am Horizont". Una versione integrale è invece visibile sul sito ufficiale di Hamer, su questa pagina.
Altri siti internet pro-Nmg in passato hanno pubblicato solo una parte delle lettere, o hanno addiritura tagliato via una parte del contenuto.
© 2007-2010 Ilario D'Amato
http://www.dossierhamer.it/veronesi.html
(*)Il ricordo dello scienziato
Laura Dubini un simbolo della lotta al cancro
«Ci chiedeva di sperimentare su di lei ogni nuova terapia»
Ho incontrato Laura sulla soglia sottile che separa gli spiriti che condividono il dolore della malattia. E' il luogo per eccellenza dell'empatia fra medico e malato. E della com-passione fra anime, dove si mette a nudo senza pietà e senza menzogna l'essenza di due esseri umani. E' proprio lì che ho «sentito» per la prima volta il coraggio di Laura. Prima di tutto il coraggio di accettare la realtà di una malattia che l'aveva in un certo senso illusa, perché sembrava quasi essere scomparsa, per poi ripresentarsi dopo anni in forma grave. Non è facile ripiombare nel buio quando si è visto uno spiraglio di luce, ma Laura non si è persa d'animo. Non si è mai ribellata di fronte alle nostre diagnosi: né contro il fato né contro il caso, né contro i limiti della nostra scienza; ha invece sempre voluto capire che cosa stava accadendo al suo corpo, sapendo che non poteva chiederci il perché.
E poi ci ha sempre chiesto lucidamente di provare su di lei ogni terapia innovativa, perché così lei avrebbe sperimentato con noi e la sua lotta avrebbe avuto un senso e un obiettivo. Per quasi 10 anni abbiamo lottato insieme, non solo contro la malattia ma soprattutto contro l'incurabilità: Laura, i medici Ieo e le tante persone che l'hanno assistita e amata. In questi anni Laura ha sfoderato una seconda forma di coraggio: quella di parlare pubblicamente della sua malattia. Non è facile per una giornalista di arte e spettacolo, una bella donna in un mondo feroce che lascia indietro chi inciampa e che rimuove le tragedie, fare della sua tragedia quasi una bandiera. Invece sulle pagine del suo giornale, alla televisione, agli incontro pubblici, Laura era sempre pronta a testimoniare; addirittura ci chiedeva di spostare le terapie il più lontano possibile dai suoi impegni come testimonial, in modo da apparire al meglio.
Il suo contributo è stato importante: grazie a lei abbiamo potuto comunicare su studi nuovi di cui probabilmente tanti malati beneficeranno in futuro e abbiamo aperto spiragli di speranza sulla ricerca. Appariva serena, elegante e bella, ma mai «troppo». «E' importante per gli altri — diceva — che io sia me stessa». Io credo che il suo saper essere se stessa fino all'ultimo giorno è stata la sua forma di sconfitta della malattia. Uno degli aspetti più crudeli delle grandi patologie è la progressiva solitudine del malato. Non si tratta solo di solitudine fisica ed affettiva. Sapere di essere malato di cancro è ancora oggi uno choc molto forte, per cui la persona tende ad isolarsi e rinchiudersi in se stessa fino ad annullarsi e seppellirsi nel proprio dolore.
Laura ha rinunciato a questa tentazione fortissima ed è riuscita a vivere intensamente, con tutta se stessa appunto, il tempo della malattia. Perché il tempo assume dimensioni e significati diversi quando si lotta contro la morte e lei ha imparato a rendere prezioso ogni istante rubato alla malattia: ha scritto, ha imparato, ha viaggiato, ha ascoltato, ha amato, ha ricevuto molto, e soprattutto ha dato. Ha dato tantissimo a chi come lei deve affrontare una malattia difficile, alla sua professione, al suo giornale, alla musica. E a noi che come medici l'abbiamo curata e come amici le abbiamo voluto bene. Grazie Laura.
Umberto Veronesi
11 marzo 2007
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2007/03_Marzo/11/veronesi.shtml
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