28 Maggio 1974
A Brescia, alle ore 10.12, in Piazza della Loggia, durante un comizio antifascista, esplode un chilogrammo di tritolo nascosto in un cestino della spazzatura, causando la morte di 8 persone ed il ferimento di altre 103.
Brescia in quei giorni era attorniata da un clima tesissimo di terrore. Infatti, nelle ore precedenti la strage di Piazza della Loggia, si erano verificati in città una serie di attentati a sedi sindacali (Cisl), a diversi negozi e ad un supermercato, Coop, tutti di stampo neofascista. Il più grave episodio tra quelli che vennero ricondotti alla "Strategia della tensione" avvenne durante la notte di sabato 18 maggio 1974, quando in piazza del Mercato, a quell'ora deserta, si fermò una Vespa 125 con a bordo un giovane. Pochi istanti dopo un boato ruppe il silenzio. All’arrivo dei primi soccorsi giaceva a terra il corpo del ventenne militare neofascista Silvio Ferrari, che teneva tra le gambe una bomba ad alto potenziale. Questo episodio giunse dopo una lunga scia di sangue iniziata 5 anni prima con la strage di Piazza Fontana, con l’attentato del 1973 alla Questura di Milano, con il giovedì nero e la morte dell’agente di polizia Marino nell’aprile dello stesso anno. I timori di un attacco eversivo alle istituzioni democratiche sulla falsariga dei colonnelli in Grecia erano concreti. Il 23 maggio i Sindacati e il comitato antifascista annunciano la manifestazione cittadina in programma per il martedì successivo. La mattina di martedì 28 maggio 1974 pioveva a dirotto quando la coda del corteo dei manifestanti giunse presso Piazza della Loggia. Alle ore 10:12, in pieno comizio sindacale dei metalmeccanici Cisl, esplose una bomba. Il panico e le urla saturarono la piazza, la folla si mosse quindi in una fuga scomposta.
I primi soccorritori furono gli stessi operai, che tra le urla dei feriti trovarono 6 corpi in silenzio, quelli delle vittime, a cui se ne aggiungeranno altre due decedute in ospedale. I feriti trasportati dalle varie ambulanze furono più di 100. L’ordigno, artigianale ma potentissimo, era stato posto in un cestino dell’immondizia proprio nel punto dove normalmente si posizionavano le forze dell’ordine ma che in quel caso si erano spostate altrove perché i manifestanti avevano occupato i portici per ripararsi dalla pioggia. Dopo l’esplosione intervennero gli idranti dei Vigili del Fuoco che, a causa dell’alta pressione del getto cancellarono alcune tracce che avrebbero potuto facilitare le indagini. I funerali delle vittime si tennero venerdì 31 maggio 1974, a tre giorni dalla strage. A rendere omaggio alle salme c’era una folla immensa, si parla di circa mezzo milione di persone e tutte le più alte cariche dello Stato. Le primissime indagini portarono ad una organizzazione paramilitare neofascista a Pian del Rascino (Rieti) dove si tenne uno scontro a fuoco tra militari e Carabinieri che si concluse con la morte di Giancarlo Esposti (Squadre d’Azione Mussolini). Gli interrogatori fecero emergere il nome di Cesare Ferri, neofascista milanese e in seguito di Ermanno Buzzi, uno strampalato personaggio che nel 1979 verrà condannato all’ergastolo per la strage. Le incongruenze e la serie di depistaggi seguiti alla sentenza, passati per l’omicidio in carcere dello stesso Buzzi nel 1981, riaprirono il caso. Il processo a carico dei camerati di Buzzi, anch’essi condannati nel 1979 venne quindi ripetuto ma nel1987 giunse l’assoluzione per tutti gli altri imputati per insufficienza di prove. Esattamente un decennio dopo venne coinvolto come imputato il generale dei Carabinieri di Brescia Francesco Delfino assieme a Dolfo Zorzi, latitante in Giappone. Nel 2007 fu la volta di Pino Rauti, sospettato di essere un tramite con i servizi segreti deviati. Con lui andarono a giudizio Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, l’ex generale dei Carabinieri Francesco Delfino, Giovanni Maifredi e Maurizio Tramonte. Nel 2010 lo spettro della “strage impunita” si concretizzò dopo una nuova tornata di assoluzioni per mancanza di elementi probatori sufficienti. La riapertura del processo a Milano portò poi nel luglio 2014, alla condanna all’ergastolo per Carlo Maria Maggi (Ordine Nuovo) e Maurizio Tramonte (informatore del Sid),confermata il 21 giugno 2017 nel processo d’Appello bis. Tramonte venne arrestato in Portogallo durante un tentativo di fuga, 43 anni dopo la strage.
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