MASADA 1567 CAPITOLO 14
MASADA n° 1567 2-9-2014 ROMANZO- UNA SECONDA
POSSIBILITA’ -CAPITOLO 14
Viviana
Vivarelli
L’arte dell’ospitalità –
La meraviglia del cucinare – Metti la passione in ogni cosa che
fai e supera te stesso a la vita diventerà meravigliosa
“In realtà nessun
essere umano indifferente al cibo è degno di fiducia.“
Manuel
Vázquez ...
“Le stelle sono venute
più vicine.
Forse verranno più vicine ogni sera.”
Forse verranno più vicine ogni sera.”
Dopo vari anni, praticamente dall’inizio della
malattia di mio marito, ho potuto fare di nuovo un pranzo con gli amici ed è il
primo che faccio da quando sono rimasta sola.
E’ stata una grande gioia, come riprendere la vita
normale. Mio marito era solito fare dei pranzi meravigliosi ed era lui il cuoco
della portate principali, a cui dedicava gran tempo e una cura infinita sia
nella ricerca delle materie prime migliori (“un buon piatto - diceva- nasce già
nella cura di quello che compri per farlo”, sia per la cottura e presentazione.
I suoi pranzi ricerca degli ingredienti migliori per farlo”. Io curavo solo i
particolari secondari, i contorni, la tavola, la sala, ma era lui l’artefice e
l’incantatore.
Mio marito era un iperattivo e, ora che è vicino a me
solo in spirito, me lo ha detto chiaramente: “Io mi sono ammalato di eccesso”.
Aveva lavorato tutta la vita in IBM come dirigente alle vendite, grosse vendite,
per miliardi, che hanno procurato forti guadagni all’Ibm, tanto da
farle ignorare che lui non riusciva a imparare una parola di inglese, e quel
lavoro, che lo portava sempre lontano in giro per il mondo, lo aveva assorbito
con una totalità assoluta, quasi inaccettabile per una moglie e una figlia che
lo vedevano solo nei fine settimana e sistematicamente sfinito e nevrotico. Ma
nel suo campo era diventato uno dei cinque migliori d’Italia, era stato riempito
di premi, molto apprezzato e molto amato e questo lo riempiva di soddisfazione.
Per gli hobby, nei tanti anni di professione
accanita, non c’era stato mai molto tempo. Da ragazzo avrebbe voluto fare la
scuola di arti e mestieri e imparare a fare il muratore o il falegname, ma il
padre architetto e la madre professoressa di lettere non lo avevano permesso e
lo avevano voluto ingegnere, così aveva studiato a forza e malvolentieri,
andando avanti solo grazie a una enorme intelligenza e memoria ma amando poco lo
studio, mentre io ero una sgobbona. Per decine di anni, poi si era trovato a
dover fare un lavoro che non aveva scelto e che implicava un aggiornamento
continuo, dunque uno studio continuo, ma lo portava avanti comunque col massimo
della volontà, sognando sempre un tempo in cui avrebbe potuto dedicarsi ai suoi
hobby manuali. E così aveva comprato nel tempo vari attrezzi di lavoro, da
falegname, da fabbro, da muratore.. e nelle poche ore in cui veniva a casa,
andava in garage e riordinava i suoi attrezzi, sapendo poi che non avrebbe avuto
il tempo di usarli. Malgrado questo, era riuscito, miracolosamente, a costruire
varie cose. Agli inizi del suo matrimonio e lavoro, quando eravamo a Milano, con
pochi soldi, in una piccola orribile abitazione stretta e buia, era riuscito a
portare a casa delle pesanti assi di pallet da imballaggio (al tempo i computer
erano enormi) e ci aveva costruito una fratina con le gambe a ciabatta, bella e
spessa, di color noce che abbiamo usato per tanto tempo. Non aveva, allora, un
banco da lavoro, non aveva nemmeno una morsa e aveva costruito questo tavolo in
bagno, assemblandolo con degli stracci. Mia figlia che era una bambina di 4-5
anni, quando le chiedevano che lavoro faceva il suo babbo,
rispondeva: “Fa le segature”.
Poi per la casa di montagna, fece vari mobili i cui
progetti aveva trovato su una rivista di falegnameria e lavoretti vari che si
chiamava “Fai da te”: un grosso divano squadrato a sponde di legno, un tavolo,
due panche, delle mensole…tutto in legno chiarissimo e venato, che io avevo
completato con materasso e cuscini di grosso cotone bianco a mimose
gialle.
Ma i suoi hobby erano arrivati soprattutto quando era
venuto in pensione, e, dopo, lo avevano assorbito con la stessa intensità che
aveva dedicato al lavoro, diventando delle vere arti, perché qualunque cosa
facesse, voleva essere il migliore e a qualunque cosa si dedicasse, lo faceva a
360°, in gara con se stesso e facendosi insegnare dai più bravi, che erano in
genere artigiani timidi e silenziosi, tutti suoi amici, che lo adoravano. Si
cimentava in qualsiasi cosa. Quando cominciò a saldare si protesse male
producendosi una dolorosa bruciatura alle braccia ed al viso. Ricordo una volta
che si ruppe una caviglia scendendo di macchina e infilando malamente il piede
tra l’auto e il marciapiede e, nel tempo in cui dovette stare a
casa col gesso, cucì dei cuscini con dei rombi di pelle colorata di un
campionario di sua sorella che aveva una azienda di pelletteria. Li cuciva con
una normale Singer da tessuti ma, mentre li cuciva, questi slittavano
leggermente, per cui non combaciavano poi in modo perfetto, per cui ogni volta
li scuciva con pazienza e ricominciava da capo. Una pazienza infinita. Comunque
riuscì a farmi due cuscini di pelle a losanghe colorate. Poi la tortura di stare
a casa finì e tornò a lavorare ancora col gesso al piede.
Quando arrivò alla pensione, non riuscivamo a capire
come avrebbe potuto fare senza il suo lavoro di dirigente, quel lavoro che lo
gratificava così tanto e in cui si sentiva un dio in mezzo ai suoi
collaboratori, e per un anno e mezzo soffrì molto per la differenza di vita, al
punto da voler tornare a lavorare a Verona per uno dei vecchi clienti, come
professionista autonomo, ma era troppo faticoso e le tasse lo divoravano, così
capì da solo che doveva inventarsi una vita nuova e ci riuscì perfettamente.
Furono mille gli hobby a cui si dedicò con tutto
l’entusiasmo dei neofita, ma uno di questi hobby fu il cibo e lui ne fece
proprio un’arte.
La sua esclusività era che, qualunque cosa facesse,
ci metteva tutto se stesso, senza contare quanta fatica o tempo comportasse. Era
un uomo che viveva la passione. E quando parlava con estranei o amici,
raccontava di tutte le sue scoperte e dei suoi progressi e trasmetteva tutto
questo suo ardore così da risultare affascinante. Non c’è nulla di più bello al
mondo che godere di qualcuno che gode di quello che fa. La lezione di amore alla
vita che ti trasmette vale più di una sferzata di energia, più di qualunque
esempio esaltante.
Gli avevano dato un nome giusto: Fabrizio, che vuol
dire ‘colui che fa’, faber, il costruttore, e, se c’era una cosa che ignorava
era il tempo vuoto, il tempo della noia. In molte cose mia figlia gli somiglia,
anche lei è una iperattiva, e credo che la lezione splendida che ha ricevuto da
questo splendido padre, che era pochissimo presente di persona ma moltissimo
presente come esempio di forza e vitalità, sia questo lato appassionato del suo
carattere, per cui io lo dico sempre alle madri che temono di trascurare i loro
figli se lavorano, se seguono una propria passione o se hanno poco tempo
materiale di stare con loro, che non è la quantità del tempo con cui stiamo con
i figli, ma la qualità che vale, e una madre che fa bene il suo lavoro, che ha
un suo progetto di vita, una sua realizzazione, un suo ideale, e trasmette ai
figli l’esempio di una persona appassionata e utile alla vita, li crescerà
meglio di una casalinga annoiata e depressa che passa tutto il suo tempo in casa
con loro, lamentandosi perché non è soddisfatta di sé.
Tra i vari hobby e le varie passioni, mio marito
aveva un vero culto per il cibo e faceva del cucinare una vera arte e una gioia
infinita. Aveva seguito anche dei corsi presso le sorelle Simili, gli ultimi che
tenevano, perché ormai, quando le conobbe, le due signore erano già anziane.
Erano due celebrità bolognesi che avevano tenuto corsi di cucina in tutto il
mondo, a New York, a Parigi, a Tokio… Margherita a Valeria Simili, partite con
un forno in Via San Felice che era diventato un punto di ritrovo, prima dei
buongustai di Bologna, poi di persone che arrivavano da tutto il mondo. Quando
arrivò mio marito, c’erano giapponesi, indiani, americani che venivano a Bologna
apposta per imparare, ristoratori, cuochi e anche amanti della buona cucina come
lui. Credo che, quando mio marito le conobbe, fosse l’ultimo anno della loro
scuola perché la chiusero nel 2001. Così si appassionò alle loro ricette e
arrivava a creare cose magnifiche: corsi sul pane, sulla pasta… sulle polpette
perfino. Mio marito ripeteva a casa con grande zelo le ricette imparate. Ricordo
il corso di polpette, lui andava matto per le polpette e ne gustai di
stranissime, ai carciofi, di agnello… Ricordo anche il corso sul pane che lo
appassionò veramente. L’Italia è il paese del pane, ne abbiamo più di trecento
tipi, e ognuno è un piccolo capolavoro di storia, di cultura, di radici
ambientali. Quando un Italiano va all’estero il pane è la cosa che più gli
manca, è il sapore di casa, e spesso proprio il pane del suo paese è quello che
più gli dà il senso della sua patria, più della pasta. Quando io, che sono
cresciuta a Firenze, sono a Londra o quando ero a Vienna, a Parigi, a
Barcellona, sognavo il pane toscano, non raffinato, insipido, che quando lo
mastichi ti lascia in bocca il sapore dolce del grano, che è come
masticare una spiga ricolma. E non solo il pane sciocco toscano è unico ma unici
sono i vari tipi di pane nei vari punti della Toscana: quello di Prato, quello
di Pontassieve, quello di Marradi, quello del Mugello…ognuno con la sua
specificità, introvabile altrove.
L’insipido pane toscano ben si lega ai sapori forti
degli affettati, il prosciutto crudo e salato, la prosciuttella, la sbriciolona,
la soprassata, la finocchiona… e tutte tagliate a mano, alte, perché la lingua
ha da trovare il gusto pieno e forte, ché nel sottile si sperde. E quel pane sta
benissimo nei crostini, nella bruschetta, nella panzanella, nella ribollita,
nella pappa al pomodoro…E quando il pane è fatto bene, dura una settimana e non
un giorno e mezzo, come questi falsi pani precotti che ci ammaniscono le
Coop.
Così mio marito imparò a fare il pane alla maniera
delle sorelle Simili, le focaccine, i cornetti, la treccia, i panini dolci, la
ciambella pasquale farcita di uova sode… Il più difficile a farsi fu il
panettone salato, quello che si taglia a strati orizzontali per farcirli poi
diversamente ad ogni strato, con funghi, formaggio, prosciutto, maionese.. Si
deve farlo cadere con una lievitazione che gioca sulla forza di gravità, per cui
il panetto deve essere ben sospeso, in precario equilibrio, a capo in giù, tra
le spalliere in bilico di due sedie, così che si allunghi prendendo la forma
voluta.
Comprò anche un sacco di piccoli arnesi da cucina,
pinze, termometri da forno a secco o per immersione, wok, grattugie di ogni
tipo, miscelatori, frullatori, macchine che facevano la julienne…persino un
doppio colino a rete che serviva per friggere i nidi di patatine fritte. Aveva
anche le formine per fare le uova di cioccolata.
Preparare piatti perfetti era uno dei suoi tanti
hobby e gli permetteva di farne godere gli amici. Ma amava anche fare i liquori
e aveva fatto una ricerca nelle campagne per trovare vecchie ricette che
sembravano formule magiche “Il giorno di San Giovanni a mezzanotte cogli 24
noci…”. il nocino, il latte di suocera, il limoncello, roba non da
giovincelli che spesso sfiorava i 45°. Era un cultore della grappa bianca e le
sue grappe erano rinomate, gli era stato anche regalato un alambicco per fare la
grappa ma non riuscì mai ad usarlo… Ma era abile a farsi dare sfusi vini che
sfusi non li troverete mai come l’Amarone, ma era così simpatico e cordiale che
affascinava i produttori.
Una volta con degli amici comprò un maiale che venne
lasciato dal contadino a ingrassare e poi fu macellato da uno di loro che era
macellaio e lui pretese di insegnare agli amici bolognesi la ricetta della
soprassata toscana che è diversa dalla testa in cassetta dell’Emilia, molto più
colorita, speziata e di sapore. Ma, quando applicò il ‘pizzico di spezie’
all’impasto esagerò con la dose e il salume risultò immangiabile.
Ogni estate faceva una mole imponente di verdure
sott’olio, carciofini, cipolline, zucchini farciti di acciughe e peperoncino,
aglio sbianchito, rosee marmellate di cipolle per i bolliti, bronzee marmellate
di pomodori verdi e poi pesche in barattolo, ciliegine, frutta sotto spirito,
verdi bottiglioni panciute pieni di strati di frutta sotto grappa: uva passa,
prugne, uva fresca, albicocche, amarene… e le pescava con un suo ramaiolino
piegato a cucchiaino per la gioia degli amici. Aveva per le sue preparazioni una
pazienza straordinaria e consideriamo che nessuno in casa ne mangiava. Quando si
metteva a preparare le cipolle, metteva sul viso la maschera da saldatore per
non lacrimare e ho ancora quei suoi grembiuloni blu elettrico con le genziane
ricamate che aveva comprato in Trentino, dove sono le parannanze dei
contadini.
Mio marito era un uomo bellissimo e cordiale, con un
forte senso dell’accoglienza. Era un uomo prestante e notevole, era stato un
giocatore di basket ed era alto un metro e 88, con un viso delicato da biondo,
gambe e mani bellissime e un portamento elegante. Ma la cosa più bella che aveva
e che mantenne fino all’ultimo, anche quando diventò muto per la malattia, era
la spontaneità e la grazia del sorriso. Per quel sorriso lo ricordavano tutti,
anche le commesse delle Coop. Aveva un senso altissimo dell’amicizia ed era un
ottimo anfitrione. Credo che abbia speso cifre enormi per far star bene i suoi
amici. E sicuramente ha dedicato loro gran tempo della sua vita, spesso più che
alla famiglia. Questo non mi preoccupava perché stimo l’amicizia come una delle
cose più belle del mondo e per fortuna mia figlia ha preso dal padre questa
capacità di accogliere gli amici nella sua casa e di cucinare per loro. Amici e
anche sconosciuti, perché abita a Londra che è un po’ il crocevia del mondo e
spesso la suocera di Manchester, che è una missionaria della Nuova Chiesa di
Inghilterra e ha lavorato per 20 anni in India, le manda indiani, bengalesi,
asiatici.. che devono poi imbarcarsi in aereo per l’Asia e lei accoglie tutti
con la stessa grazia, amici e sconosciuti, a mangiare e a dormire, con lo stesso
garbo allegro e cordiale di suo padre. Fabrizio faceva sempre così
con tutti. Ricordo una volta che ero nella casa di montagna e lui lavorava in
città e mi fece sapere che, visto che in casa a Milano c’era solo lui, aveva
deciso di ospitare per un mese una famiglia di Indiani, due coniugi con bambini,
temporaneamente senza alloggio. “Erano senza casa - mi disse come un’ovvietà- e
io avevo la casa vuota per cui…”. Me lo disse come una cosa normale, scontata.
Probabilmente non li conosceva nemmeno, gliene aveva solo parlato qualche amico.
Io non conobbi mai la famigliola indiana, ma fu di un’altissima civiltà. Mi
lasciarono la casa in perfetto ordine, solo, in frigo, lasciarono una tazza di
salsa di pomodoro.
Mio marito era così, col cuore in mano. Una volta
arrivò a casa zuppo durante un violento temporale. Aveva dato il suo ombrello a
un barbone, “Sennò si bagnava”, si scusò. Il problema era che aveva un abito da
lavoro, scuro e costoso, che ora pendeva miseramente completamente
inzuppato.
Con la stessa naturalezza ospitò in casa per sei mesi
una ragazza handicappata del paesello di montagna, che aveva una sindrome che le
aveva deformato le ossa e la sera, quando tornava a casa, le insegnava ad usare
il computer, mentre di giorno lei frequentava un corso comunale di
informatica, così, grazie a questo apprendimento e al suo handicap, poté poi
essere assunta in Comune come impiegata.
Sempre per sei mesi ospitammo in casa, insegnandogli
l’italiano e l’informatica, il figlio di due vecchi coniugi del paese, che
avevano passato parte della loro vita in Argentina come fornai e in Argentina
avevano lasciato l’unico figlio con la sua famiglia di quattro figli, ma in
Argentina le cose andavano malissimo e così mio marito si premurò di spostarli
tutti in Italia. Ospitò questo giovane creandogli una lingua e una professione e
trovandogli lavoro. E, quando la moglie e i quattro bambini vennero anche loro
presso i nonni, in montagna, demmo loro tutto quello che avevamo tenuto di mia
figlia quando era piccola, dal seggiolone alla carrozzina ai vestiti, davvero un
sacco di roba.
Come spesso accade nella vita, sia il padre della
ragazza handicappata che questo giovane italo-argentino ricambiarono le
attenzioni ricevute e le cure prestate facendoci del male, ma questa è un’altra
storia.
Mio marito dunque era un artista degli hobby. La sua
regola era: se fai qualcosa, fattelo piacere e fallo meglio che puoi, in gara
con te stesso.
Per fare le pizze aveva costruito un forno nella casa
di montagna con l’aiuto del nostro padrone di casa che era il muratore del
paese, e aveva fatto un forno straordinario in pietra, molto bello, con
l’imbocco regolamentare col vetro spaccato in due come compete a ciò che deve
stare con un forte calore e due piccoli oblò, uno per guardare e l’altra per far
luce con una torcia. A Bologna per la sua ’casa dei giochi’ si era poi comprato
un vero forno da pizzeria che aveva impiantato nel ‘Covo’, la sua seconda casa
di città, un appartamentino su un cortile, aperto tutto il giorno agli amici, la
casa dei suoi hobby, dove passava le giornate, apparendo in famiglia solo ai
pasti e per dormire.
Aveva fatto un vero studio sulle farine di cui si era
fatto mandare campioni da tutto il mondo, e quelli che glieli inviavano gli
chiedevano poi quanti quintali volesse ordinarne, credendo che avesse una
azienda di panificazione. Aveva scoperto così la farina Kamut, che era nata da
chicchi di grano trovati in una piramide che poi erano stati seminati in Canada
ed era più sostanziosa e nutriente della nostra. E aveva fatto uno studio sui
tempi e le temperature della lievitazione per pane e pizze, prendendo un
frigorifero apposta per graduare i panetti lievitanti alla temperatura ottimale.
In casa metteva un piano di mattone refrattario nel forno elettrico per ricreare
l’ambiente per la pizza e usava sia una impastatrice professionale che una pala
da forno. Nel suo forno da pizzaiolo poteva fare pizze per tutto il cortile. Ma
anche pane, dolci, grandi teglie di patatine e costine di maiale, che allestiva
nel cortile stesso su grandi tavoli rustici e panche a comitive di amici del
cortile.
Mangiare insieme ad una stessa tavola è uno dei
grandi piaceri della vita che fa parte della convivialità, dell’amicizia, del
dono. E’ una delle tante cose belle che possiamo godere, la gioia dello stare
insieme, la fratellanza di mangiare del cibo insieme, che fa sentire le persone
migliori e più amabili.
Uno dei film che più mi piace è il danese ‘Il pranzo
di Babette’ di Gabriel Axel, che narra della migliore cuoca di Parigi, che dopo
la rivoluzione della Comune di Parigi che le ha ucciso marito e figlio, è
costretta a scappare e si rifugia in Danimarca, in un paese poverissimo abitato
da vecchi, dove, senza rivelare la sua identità, va a servizio dalle due figlie
del defunto decano, che vivono in estrema ristrettezza, cuocendo erbe di campo e
poco altro e occupandosi dei più poveri e malati. E’ una vita di una povertà e
semplicità estreme. Ma, dopo quattordici anni, da Parigi arriva a Babette la
vincita di diecimila franchi d'oro alla
lotteria. Le due sorelle pensano che Babette userà la grossa somma per tornare
in Francia, ma lei
chiede di poter dedicare un pranzo alla memoria del pastore loro padre, nel
centenario della sua nascita. Vuol ricambiare l’ospitalità ricevuta
dalle due sorelle creando un magnifico pranzo, per cui farà venire da Parigi le
cose migliori, non solo tovaglie, bicchieri e stoviglie di gran pregio e vini di
qualità, ma manicaretti squisiti che mai le due povere sorelle e i vecchietti
altrettanto miseri del paese in tutta la loro vita avevano mai potuto
assaggiare, ostriche, quaglie, tartufi, perfino una grossa tartaruga. A questo
pranzo incredibile saranno invitate anche le due autorità della zona, il
generale con la sua nobile madre. I vecchietti prendono con grande diffidenza
questo incredibile e fastoso pranzo, litigano tra loro e guatano tutto con
estremo timore, “Dev'essere una
specie di limonata”, dice uno allo champagne e si ripromettono di
rifiutare o criticare tutto quello che sarà offerto. Ma a poco a
poco la dolcezza dei cibi, la bontà dei vini, la luce delle candele, lo
scintillio dei calici, la bellezza dell’incanto operano un miracolo e quelli che
tra loro sembravano ormai incompatibili e stizzosi si sciolgono, si abbracciano,
si riconoscono fratelli, si amano, mentre il generale riconosce dalla fattura
dei piatti la più grande cuoca di Francia e lo rivela. “Ogni ora siederò a
pranzare con voi: non con il mio corpo, che non ha importanza, ma con il mio
spirito. Perché stasera ho imparato, mia cara, che in questo nostro splendido
mondo ogni cosa è possibile”.
Alla fine della straordinaria cena, il colonnello
ripartirà beato con la nobile madre sulla sua carrozza dorata e quei vecchietti
che il giorno prima erano nemici tra loro si ritroveranno, sazi ed ebbri, nella
piazzetta sotto la luce della luna in un girotondo di gioia, pacificati e lieti,
attorno al vecchio pozzo.
Ora che Babette è stata riconosciuta potrebbe tornare
a Parigi, ma ha speso tutta la sua vincita, non le resta più nulla e ormai in
Francia non ha più nessuno. E’ stata ricca per un momento ma ora ha speso tutto
il suo denaro, però non è povera, perché, come lei dice: “Un artista non è mai
povero”.
Dirà il generale Lowen alla fine del pranzo,
riprendendo un discorso del decano: “Misericordia e verità si sono
incontrate, amici miei, rettitudine e felicità debbono baciarsi, nella nostra
umana debolezza e miopia crediamo di dover scegliere la nostra strada in vita e
tremiamo per il rischio che quindi corriamo. Abbiamo paura. Ma no. La nostra
scelta non è importante, viene il giorno in cui apriamo i nostri occhi e vediamo
e capiamo che la grazia di Dio è infinita. Dobbiamo solo attenderla con fiducia
e accoglierla con riconoscenza, Dio non pone condizioni, non preferisce uno di
noi, piuttosto di un altro. Ciò che abbiamo scelto ci viene dato e allo stesso
tempo ciò che abbiamo rifiutato ci viene accordato, perché misericordia e verità
si sono incontrate, rettitudine e felicità si sono baciate"
Anch’io, dunque, ho fatto il mio pranzo, non certo
come quello di Babette, ma importante perché è il primo, dopo tanti anni, ora
che sto riemergendo alla vita, dopo la lunga malattia di Fabrizio e la sua
morte, e so che il mio pranzo non avrebbe mai potuto stare alla pari con quelli
di mio marito, ma ho fatto del mio meglio per preparare un pranzo tipico
toscano. Un antipasto di bruschette su pane insipido tostato
leggermente con pomodorini datterini, olio toscano, aglio e basilico appena
colto; striscioline di pecorino stagionato; grosse olive verdi e nere, crostini
toscani su pane toscano con paté di fegatini di pollo, capperi e porcini;
piccole cipolline rosse di Tropea sott’aceto, e certi cuori grandi di carciofo
sott’olio semplici e col gambo che ho trovato al mercato; prosciutto crudo
salato toscano.
Per primo: ravioli quadrati di magro alla toscana con
spinaci, ricotta di pecora, parmigiano e noce moscata, con pommarola
fresca.
Infine una gran teglia con fondo di patate, pezzi di
pollo, coniglio, quaglie, salsicce e costine di maiale, spolverata di rosmarino
e aglio. Sul piattino a lato dei microscopici panini croccanti. Pisellini
Primavera dolci. Peperonata.
Per chiudere mi sono fatta fare da un vicino, perché
io non so fare i dolci, una torta magnifica di pan di Spagna, panna montata e
crema pasticcera, guarnita di ciliegine. Poi liquorini,
Jagermeister, Amaro lucano, whisky e caffè. In tavola un conchino di mirabelle,
piccole susine goccia d’oro, molto lassative.
Pignoletto durante il pranzo e moscato sul
dolce.
Non sono Fabrizio e ho fatto vari errori. Intanto non
avevo il Limoncello che piace alle signore. A metà cottura avrei dovuto levare
dal fondo delle teglie il sugo che i pezzi di carne avevano rilasciato e questo
avrebbe reso più asciutte le patate. Poi ho cotto almeno il doppio di quanta
carne occorresse, era inutile mettere un pezzo di ogni cosa a testa. I pezzi di
pollo e coniglio erano troppo grossi, meglio porzioni piccole. Non ho messo i
peperoni dentro sacchetti di carta del pane in forno ad annerire la buccia e poi
toglierla nell’acqua fredda, il che li avrebbe resi più digeribili, ma mi sono
fidata di chi mi ha detto che bastava sbollentarli, il che non è vero, perché
poi la buccia non veniva via. Lui avrebbe curato di più i vini e non avrebbe mai
messo un vino bianco con un arrosto, avrebbe scelto un Chianti, ma qui a Bologna
il rosso non va molto. E sicuramente avrebbe chiuso con i biscottini di Prato
fatti da lui ancora teneri con le grosse mandorle tostate, da inzuppare nel vin
santo.
Ma va bene così.
Mentre cucinavo, mi sembrava di sentirlo che
borbottava, come faceva sempre, dicendo che non sono abbastanza precisa, che non
ci metto abbastanza tempo, ma io sono un ariete e gli arieti si sa, corrono via
veloci.
“Amore, sesso e cibo sono le tre gemme della
vita.
Rispettale e onorale, perché sono tre
altari
dove varrà la tua grazia, il tuo gioire al
mondo,
la tua capacità di donarti a coloro che
ami.”
..
INDICE ROMANZO
CAPITOLO 1 : http://masadaweb.org/2014/07/13/masada-n-1545-13-7-2014-romanzo-una-seconda-possibilita-capitolo-1/
Regressioni a vite precedenti – La guarigione a
distanza – Le visualizzazioni- I numeri simbolici
CAPITOLO 2 : http://masadaweb.org/2014/07/17/masada-n-1546-17-7-2014-romanzo-una-seconda-possibilita-capitolo-2/
Le malattie psicosomatiche – Induzione e ipnosi come
forma di terapia – Le verruche
CAPITOLO 3 : http://masadaweb.org/2014/07/22/masada-n-1547-romanzo-una-seconda-possibilita-capitolo-3/
Tutto comincia dalla testa – Talismani: la croce di
Ankh – Rievocare altre vite o momenti traumatici del passato – Incubi ricorrenti
– Leggere negli altri una storia fatta di tante storie
CAPITOLO 4 : http://masadaweb.org/2014/07/28/masada-n-1550-28-7-2014-una-seconda-possibilita-romanzo-capitolo-4/
Isobare psichiche – Rane – La lezione del dolore – La
lezione del piacere – La sessualità sacra – La verginità eterna – Ma cos’è
l’orgasmo? – Eiaculazione precoce, vaginismo e omosessualità
CAPITOLO 5 : http://masadaweb.org/2014/07/29/masada-n-1551-29-7-2014-romanzo-una-seconda-possibilita-capitolo-5/
Pene d’amore – Il tradimento – La trasgressione –
Amare l’impossibile
CAPITOLO 6 : http://masadaweb.org/2014/08/06/masada-n-1552-6-8-2014-una-seconda-possibilita-romanzo-capitolo-6/
La casa infestata – Sogni premonitori – Messaggi
dall’al di là – Le vite precedenti
CAPITOLO 7 : http://masadaweb.org/2014/08/13/masada-n-1554-13-8-2014-romanzo-una-seconda-possibilita-capitolo-7/
Storia di Deneb – Testimonianze sulla premonizione –
Sentirsi estranei a questo mondo – Rispettare la propria unicità – La diversità
è un dono – I prescelti
CAPITOLO 8 : http://masadaweb.org/2014/08/13/masada-n-1555-13-8-2014-romanzo-una-seconda-possibilita-capitolo-8/
Le discriminazioni – La cultura è il frutto del
potere – Rifiuto sociale delle diversità – Chiaroveggenza – Il motivo per cui
siamo venuti a nascere – Un compito che si realizza in più esistenze successive
– Profezia – Il terzo occhio – L’archivio globale
CAPITOLO 9 : http://masadaweb.org/2014/08/16/masada-n-1557-16-8-2014-romanzo-una-seconda-possibilita-capitolo-9/
Il mio amico omosessuale – I segni sincronici –
L’essenza di una coppia
CAPITOLO 10 : http://masadaweb.org/2014/08/21/masada-n-1560-21-8-2014-romanzo-una-seconda-possibilita-capitolo-10/
Esistere come non umani – Nostalgia delle esistenza
perdute – Altri mondi-
Siamo tutti angeli caduti – Un messaggio dell’Imperatore
Siamo tutti angeli caduti – Un messaggio dell’Imperatore
CAPITOLO 11 : http://masadaweb.org/2014/08/23/masada-n-1562-romanzo-una-seconda-possibilita-capitolo-11/
Vedere i fantasmi – Bachi vampirici, boli, ragnatele,
girandole di luce – I punti nodali – Figure non terrestri – Una guarigione
miracolosa- Uscire dal corpo – La psiche, l’anima, lo spirito – il Tunnel –
L’Osservatore- L’Aldilà
CAPITOLO 12: http://masadaweb.org/2014/08/25/masada-n-1563-25-8-2014-romanzo-una-seconda-possibilita-cap-12/
Un ignoto chiamato l’angelo – La potenza energetica
di un gruppo – Messaggi da lontano – L’animale totemico – La voce diretta – La
scrittura automatica – Storia di Lucina
CAPITOLO 13 : http://masadaweb.org/2014/08/30/masada-n-1565-romanzo-una-seconda-possibilita-capitolo-13/
Omaggio a Elisa – L’amore è più forte della morte- I
figli. Un mistero
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