Ilva: il filo d'acciaio sull'asse Taranto-Milano
In fabbrica produzione no-stop,destino in mano ad un commissario
La situazione del gruppo Riva, colosso siderurgico e strategico per il Paese, è sempre più che mai complicata perché le vicende giudiziarie di Ilva e Riva Fire, la holding che la controlla, da mesi si intrecciano sull'asse Taranto-Milano. Lo stabilimento Ilva di Taranto continua a produrre, grazie alla legge 231 del dicembre 2012, che ha 'bypassato' le decisioni dei magistrati e ha trovato conforto di costituzionalità dalla Consulta. Gli impianti dell'area a caldo sono sotto sequestro dal 26 luglio 2012, sotto il controllo di quattro custodi giudiziari; fino all'approvazione della legge 231 lo sono stati senza facoltà d'uso, anche se la fabbrica non si è mai fermata.
Entrata in vigore la '231', il gip vi si è attenuto concedendo la facoltà d'uso degli impianti, mentre sono state via via 'sdoganate' dallo stesso giudice un milione e 700mila tonnellate di prodotti finiti sequestrati il 26 novembre 2012 perché, a parere dei magistrati, frutto di attività imprenditoriale non consentita essendo in quei mesi gli impianti sotto sequestro senza facoltà d'uso. L'azienda è retta dal giugno scorso da un commissario straordinario, Enrico Bondi, nominato dal governo Letta, dopo le dimissioni del Cda del 25 maggio. Due mesi prima Bondi era stato chiamato dai Riva quale amministratore delegato ad affiancare il presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante.
Il Siderurgico è alle prese con i lavori di adeguamento alla nuova Autorizzazione integrata ambientale (Aia), rilasciata tra mille polemiche nell'autunno 2012 dal governo Monti. Ma le opere vanno avanti a rilento: il 21 ottobre scorso, sulla base della relazione Ispra frutto della ultima ispezione trimestrale Ispra-Arpa, il ministero dell'Ambiente ha diffidato per la terza volta l'Ilva a rispettare i tempi. Ilva spa è controllata da Riva Fire, la holding del Gruppo (per i magistrati ionici anche la 'cassa') finita nel mirino dell'inchiesta tarantina per il maxi-sequestro, funzionale alla confisca per equivalente, di beni mobili e immobili e di liquidità eseguito a partire dal 24 maggio scorso, su decreto del gip del Tribunale Patrizia Todisco, fino alla concorrenza di 8.1 miliardi di euro. Cifra che rappresenta la stima fatta da consulenti della Procura, e ritenuta conforme dal gip, sui soldi che il Gruppo Riva avrebbe risparmiato dal 1995 (anno del passaggio Ilva in mano privata) non adeguando gli impianti del Siderurgico tarantino alle normative ambientali.
Provvedimento esteso dal gip il 17 luglio scorso, ma eseguito a partire dal 6 settembre, anche a tutte le collegate a Riva Fire. In totale fino ad ora sono finiti sotto sequestro beni per poco meno di due miliardi di euro; le liquidità ammontano a poco più di 56 milioni di euro. Di tutti i beni è custode e amministratore giudiziario il commercialista Mario Tagarelli, che ricopre identico ruolo per gli impianti sotto sequestro dell'Ilva ma per la sola parte amministrativa. Fuori da Taranto, per i Riva non mancano altri guai giudiziari. La Procura di Milano, per una presunta maxi-evasione fiscale da 52 milioni di euro, il 2 luglio scorso ha chiesto il rinvio a giudizio di Emilio Riva e di due manager dopo aver sequestrato beni per 1.9 miliardi di euro sottratti (per i pm) alle casse dell'Ilva e spostati nell'Isola di Jersey. La Procura milanese sta indagando anche sui rapporti tra la società Riva Fire di Emilio Riva e la controllata Ilva con l'ipotesi di appropriazione indebita ai danni dei soci di minoranza del colosso siderurgico.
(ANSA)
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