Per capire perché il matrimonio omosessuale è cosa diversa dai pantaloni rosa, prendiamo in considerazione un’ulteriore questione. Che tipo di spettacoli devono essere trasmessi in tv? Per esempio, è giusto trasmettere “Snog Marry Avoid?”, che va in onda su Bbc 3, un reality che stravolge il look delle persone, semplificandolo, e reality show simili, di dubbio gusto? Potreste pensare che non è una domanda da politici. Chi vuole vedere programmi del genere può farlo, e chi non vuole non è costretto.
Ahinoi, non è così semplice. In America, Inghilterra e Australia, il governo tassa i cittadini per finanziare “i servizi televisivi pubblici”: Pbs in America, Bbc in Inghilterra e Abc in Australia. Ed ecco perché i programmi trasmessi da queste emittenti sono una questione politica.
Quando, nel 1922, fu fondata la Bbc, era un’emittente dichiaratamente intellettualistica, che si poneva l’obiettivo di elevare mente e morale degli inglesi. Questo atteggiamento aristocratico è passato di moda in politica, e i soldi dei contribuenti oggi servono a finanziare programmi il cui obiettivo principale è intrattenere, piuttosto che rendere degli sciocchi persone migliori. Qualche inglese snob non è felice di dover finanziare cose del genere e se ne lamenta coi politici.
Il matrimonio è una questione politica perché è stato nazionalizzato. In tutto il mondo occidentale, non è soltanto un contratto tra le parti coinvolte, né una semplice cerimonia religiosa. E’ una questione di normativa nazionale, che influisce sul trattamento che riceviamo dallo stato. La maggior parte dei sistemi pensionistici e fiscali nazionali tiene conto del fatto che si sia sposati o no. E vari obblighi e diritti legali, oltre a quelli relativi allo stesso contratto di matrimonio, vengono modificati all’atto delle nozze.
Ci interessa che una persona si possa sposare o no perché il matrimonio è un’istituzione riconosciuta e di norma premiata dallo stato. Se Brian potesse ottenere uno sgravio fiscale in virtù dei suoi pantaloni rosa, e a me venisse negato per i miei pantaloni blu, potrei fare campagna contro le sue terribili abitudini sartoriali. Le guerre culturali sono inevitabili quando lo stato si erge ad arbitro in materia culturale, che si tratti delle scelte di coabitazione, di programmi televisivi o di vestiti (così come è avvenuto in Francia, dove alcune mise musulmane sono illegali).
Molti cristiani in Inghilterra temono che la loro fede venga costantemente criminalizzata. Hanno ragione. In Inghilterra è illegale trattare una persona meno favorevolmente a causa della sua sessualità. Ad esempio, un albergatore cristiano che condivida l’oscura visione del Levitico sull’omosessualità non può rifiutarsi di affittare la camera a omosessuali. Se i matrimoni omosessuali venissero legalizzati, una chiesa che si rifiutasse di sposare due uomini violerebbe le norme inglesi contro la discriminazione. Il governo prevede di creare una deroga speciale per le chiese, rispetto alla discriminazione contro gli omosessuali che desiderano sposarsi, ma dubito che le norme dell’Unione europea sui diritti umani lo permetterebbero.
I cristiani che vogliono che il matrimonio omosessuale sia messo al bando fanno un errore di principio: lo stato non deve privilegiare le loro preferenze quanto a scelta di vita insieme rispetto alle scelte degli altri. E commette anche un errore tattico: l’ideologia delle élite politiche e giudiziarie in occidente è sempre più laicista. Un cristiano che voglia essere libero di praticare la propria religione non deve sprecare tempo facendo pressione sullo stato affinché sostenga i valori cristiani. Dovrebbe piuttosto spingere per ottenere la separazione tra stato e cultura.
Sul principio politico, i laicisti della sinistra progressista concordano coi cristiani che vogliono vietare i matrimoni omosessuali: entrambi pensano che la legge dovrebbe promuovere le proprie preferenze culturali. L’unica cosa diversa è rappresentata dalle preferenze. La loro disputa è come una lite tra fazioni rivali di un partito fascista, o tra fazioni elitiste o populiste dei responsabili di palinsesto di una emittente televisiva a finanziamento pubblico.
L’idea che la sinistra sia liberale confonde il significato politico dell’espressione “liberal”, inteso come progressista e liberale, con quello personale. Le persone di sinistra sono di norma più permissive dal punto di vista personale rispetto conservatori politici; per esempio, la maggior parte di loro non ha obiezioni morali o di altro tipo al matrimonio omosessuale. Ma non è vero che chi ha una posizione liberale in politica sia personalmente contrario a pochissime cose; piuttosto pensa che il ruolo dello stato nei nostri affari debba essere molto limitato, indipendentemente dalle preferenze sue o di chiunque altro.
Chi ha una posizione liberale in politica è contrario alle trasmissioni tv finanziate dallo stato, indipendentemente dai suoi gusti quanto a programmi televisivi, ed è contrario a qualsiasi forma di regolamentazione del matrimonio, quale che sia la sua posizione personale sulle unioni omosessuali o di altro tipo. Ma le persone di sinistra sono grandi sostenitrici delle televisioni a finanziamento statale e non vorrebbero mai cancellare il divieto dell’incesto adulto o della poligamia. E sono grandi sostenitrici anche delle norme contro la discriminazione, che costringono le persone ad agire come se condividessero le preferenze dei loro rappresentanti politici. Le persone di sinistra non sono liberali. Sono fascisti dalla mente aperta.
Anche una severa separazione di stato e cultura probabilmente non eliminerebbe del tutto i conflitti culturali. “Vivi e lascia vivere” è un bel principio, ma non si attaglia facilmente a noi umani, che abbiamo una sensibilità sociale che rispecchia ancora la nostra origine tribale. E’ un peccato. Ma la risposta corretta dei funzionari di governo non è quella di schierarsi da una parte o dall’altra in questi conflitti tribali; è invece di impedire a chicchessia di vincere con la forza piuttosto che con le proprie argomentazioni o con il buon esempio.
di Jamie Whyte, senior fellow del Cobden Center di Londra
Copyright Wall Street Journal per gentile concessione di MF (traduzione di Elia Rigolio)
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