Ogni giorno in Italia 38 ciclisti rimangono coinvolti in incidenti stradali. I casi si concentrano soprattutto in Lombardia (10 incidenti in media al giorno), Emilia Romagna (8) e Veneto (5). Lo afferma un'indagine di Das, compagnia del gruppo Generali specializzata nella tutela legale.
L'Emilia Romagna è pero' la regione italiana con il maggior numero di sinistri con ciclisti coinvolti in rapporto alla popolazione (1 ogni 1.341 abitanti).
Edoardo Galatola, Responsabile Sicurezza FIAB ha dichiarato che il problema dell’incidentalità stradale è sicuramente di attualità e bene fanno gli organi tecnici quali l’ASAPS e gli organi di stampa a darvi la massima rilevanza. A maggior ragione è importante sottolineare che la protezione degli utenti deboli della strada è una delle priorità da affrontare a livello nazionale.
Il tema può però risultare fuorviante se, ribaltando cause con effetti, viene presentato come problema la pericolosità di andare in bicicletta. È bene pertanto partire da qualche dato di fatto. La riduzione dell’incidentalità stradale è stata richiesta a livello comunitario come obiettivo primario per tutti i paesi membri ponendo l’obiettivo di dimezzare morti e incidenti dal 2000 al 2010. In Italia, c’è stata una riduzione degli incidenti, anche se non sufficiente per raggiungere l’obiettivo prefissato.
In particolare il problema principale in Italia sono i centri urbani in cui si concentrano il 44% dei morti ed il 77% degli incidenti (in controtendenza con l’Europa) Inoltre le aree urbane sono quelle caratterizzate dalla minore riduzione di incidentalità
Il leggero aumento di incidentalità ai ciclisti va però analizzato con un significativo incremento dell’utenza ciclistica dello stesso periodo. Se consideriamo i dati ISFORT, si è passati negli ultimi 5 anni da circa 4 miliardi di km/anno percorsi dai ciclisti ai 6 miliardi del 2007. Di conseguenza gli incidenti per km percorso sono in costante diminuzione.
Fuorviante è invece analizzare solo il dato del tasso di mortalità (numero morti per 100 incidenti). Risulta infatti che il valore medio per tutti gli utenti della strada (5131 morti su 230871 incidenti) è pari a 2,2. Anche per i ciclisti il tasso è 2,2 (352 morti su 15700 incidenti registrati); per i pedoni il tasso è pari a 3, mentre per i motociclisti è 2. Risulta evidente che paragonare il tasso di mortalità complessivo di un ciclista (investito da una macchina) con quello dell’automobilista che lo ha investito è poco significativo. Essendo ancora superiore il tasso di mortalità per i pedoni cosa se ne dovrebbe ricavare? Che è più sicuro spostarsi in carro armato?
È bene non dimenticare infatti che è stato calcolato che il numero di anni di vita guadagnati come risultato dell’uso regolare della bicicletta è 20 volte maggiore degli anni perduti dai ciclisti negli incidenti stradali.
Risulta invece interessante confrontare i dati di incidentalità con un altro indicatore, ovvero la composizione modale del traffico.
Infatti c’è una correlazione tra aumento della ciclabilità e riduzione dell’incidentalità. Confrontando le statistiche di mortalità per unità di spostamento di diversi paesi (morti per miliardo di km percorsi) e quelle della composizione modale degli spostamenti (cioè percentuale sul totale degli spostamenti che viene effettuata in bicicletta), si può notare che maggiore è il numero dei ciclisti, maggiore è la sicurezza dei ciclisti stessi.
Questa correlazione è ancora più sorprendente se non la si confronta solo con gli incidenti per i ciclisti, ma con quella di tutti gli utenti della strada. Se si raggiunge la fascia che possiamo chiamare “di transizione” ovvero il 12-15% di composizione modale si registra una diminuzione delle morti sulla strada anche per gli utenti motorizzati. Questa riduzione è però ancora più rilevante in quanto si registra non solo in valore relativo (morti per km percorsi) ma addirittura in valore assoluto (morti per 100000 abitanti).
Il dato della composizione modale pari al 4% in Italia è dato dall’Isfort. Cosa fare allora per ridurre l’incidentalità? Due interventi su tutti. Il primo lo abbiamo già individuato, ovvero intervenire sulle politiche della mobilità (in Germania si sono posti l’obiettivo di raddoppiare la composizione modale dal 10 al 20%; per noi già il 15% sarebbe un traguardo notevole). Il sistema della mobilità, infatti, non si autoregola. Esistono circoli viziosi e circoli virtuosi. Un circolo vizioso è quello di costruire sistemi urbani sempre più estesi che portano a spostare le residenze sempre più decentrate che obbligano ad usare maggiormente l’auto che riducono l’autonomia di tutti gli utenti, ma soprattutto di giovani e anziani. Un circolo virtuoso è facilitare una multimodalità che permetta di scegliere fra varie opzioni: a piedi, in bicicletta, col trasporto pubblico, con il car sharing e anche con il proprio automezzo, in modo da poter scegliere il mezzo più adeguato a seconda delle esigenze, delle distanze e dell'offerta. Il secondo intervento e forse più importante è desumibile dal seguente grafico, tratto da una pubblicazione comunitaria, “kids on the move”.
Dato un incidente, la differenza delle conseguenze potenziali (cerotto, stampella, carrozzina e bara) sta tutta in pochi chilometri all’ora di differenza di velocità di impatto! Infatti un impatto a 50 km/h ha il 50% di probabilità di conseguenze mortali, equivalente ad una caduta dal terzo piano di un’abitazione, a 70 km/h c’è praticamente la certezza di morte, come cadere dal quinto piano, mentre se l’impatto avviene fino a 30 km/h le conseguenze diventano trascurabili (equiparabile ad una caduta dal primo piano). La velocità è la prima causa (o concausa) di incidenti gravi. Quindi, tra gli interventi prioritari, le zone 30 devono essere regola e non eccezione; prioritarie anche rispetto alle piste ciclabili. Tra l’altro è un intervento realizzabile rapidamente e con risorse limitate, fermo restando che non basta mettere un cartello di divieto. Man mano occorrerà intervenire con i controlli e quindi anche con la sagomatura della strada (che riduca automaticamente la velocità massima). Non dimenticando che è anche uno dei migliori modi per fluidificare il traffico! In macchina, in città, infatti, generalmente si arriva prima se c’è una zona 30 senza semafori piuttosto che accelerare fino a 70 all’ora, rifermarsi, ripartire e così via, aumentando l’inquinamento, lo stress, il rischio per poi scoprire che la velocità media è stata di 12 km/h!
Altro principio fondamentale è garantire il non superamento dei 50 km/h in città, che è un obbligo, è scritto nel codice della strada, ma è un obbligo che nessuno rispetta! Naturalmente solo sulle direttrici di attraversamento che, anche queste, dovrebbero essere l’eccezione e non la norma per il traffico cittadino.
A queste condizioni la sterile ricerca di chi è la colpa di un incidente (se c’è un incidente ci sarà sempre qualcuno che ha sbagliato qualcosa) diventa irrilevante, dato che a basse velocità di impatto la gravità si annulla.
L'Emilia Romagna è pero' la regione italiana con il maggior numero di sinistri con ciclisti coinvolti in rapporto alla popolazione (1 ogni 1.341 abitanti).
Edoardo Galatola, Responsabile Sicurezza FIAB ha dichiarato che il problema dell’incidentalità stradale è sicuramente di attualità e bene fanno gli organi tecnici quali l’ASAPS e gli organi di stampa a darvi la massima rilevanza. A maggior ragione è importante sottolineare che la protezione degli utenti deboli della strada è una delle priorità da affrontare a livello nazionale.
Il tema può però risultare fuorviante se, ribaltando cause con effetti, viene presentato come problema la pericolosità di andare in bicicletta. È bene pertanto partire da qualche dato di fatto. La riduzione dell’incidentalità stradale è stata richiesta a livello comunitario come obiettivo primario per tutti i paesi membri ponendo l’obiettivo di dimezzare morti e incidenti dal 2000 al 2010. In Italia, c’è stata una riduzione degli incidenti, anche se non sufficiente per raggiungere l’obiettivo prefissato.
In particolare il problema principale in Italia sono i centri urbani in cui si concentrano il 44% dei morti ed il 77% degli incidenti (in controtendenza con l’Europa) Inoltre le aree urbane sono quelle caratterizzate dalla minore riduzione di incidentalità
Il leggero aumento di incidentalità ai ciclisti va però analizzato con un significativo incremento dell’utenza ciclistica dello stesso periodo. Se consideriamo i dati ISFORT, si è passati negli ultimi 5 anni da circa 4 miliardi di km/anno percorsi dai ciclisti ai 6 miliardi del 2007. Di conseguenza gli incidenti per km percorso sono in costante diminuzione.
Fuorviante è invece analizzare solo il dato del tasso di mortalità (numero morti per 100 incidenti). Risulta infatti che il valore medio per tutti gli utenti della strada (5131 morti su 230871 incidenti) è pari a 2,2. Anche per i ciclisti il tasso è 2,2 (352 morti su 15700 incidenti registrati); per i pedoni il tasso è pari a 3, mentre per i motociclisti è 2. Risulta evidente che paragonare il tasso di mortalità complessivo di un ciclista (investito da una macchina) con quello dell’automobilista che lo ha investito è poco significativo. Essendo ancora superiore il tasso di mortalità per i pedoni cosa se ne dovrebbe ricavare? Che è più sicuro spostarsi in carro armato?
È bene non dimenticare infatti che è stato calcolato che il numero di anni di vita guadagnati come risultato dell’uso regolare della bicicletta è 20 volte maggiore degli anni perduti dai ciclisti negli incidenti stradali.
Risulta invece interessante confrontare i dati di incidentalità con un altro indicatore, ovvero la composizione modale del traffico.
Infatti c’è una correlazione tra aumento della ciclabilità e riduzione dell’incidentalità. Confrontando le statistiche di mortalità per unità di spostamento di diversi paesi (morti per miliardo di km percorsi) e quelle della composizione modale degli spostamenti (cioè percentuale sul totale degli spostamenti che viene effettuata in bicicletta), si può notare che maggiore è il numero dei ciclisti, maggiore è la sicurezza dei ciclisti stessi.
Questa correlazione è ancora più sorprendente se non la si confronta solo con gli incidenti per i ciclisti, ma con quella di tutti gli utenti della strada. Se si raggiunge la fascia che possiamo chiamare “di transizione” ovvero il 12-15% di composizione modale si registra una diminuzione delle morti sulla strada anche per gli utenti motorizzati. Questa riduzione è però ancora più rilevante in quanto si registra non solo in valore relativo (morti per km percorsi) ma addirittura in valore assoluto (morti per 100000 abitanti).
Il dato della composizione modale pari al 4% in Italia è dato dall’Isfort. Cosa fare allora per ridurre l’incidentalità? Due interventi su tutti. Il primo lo abbiamo già individuato, ovvero intervenire sulle politiche della mobilità (in Germania si sono posti l’obiettivo di raddoppiare la composizione modale dal 10 al 20%; per noi già il 15% sarebbe un traguardo notevole). Il sistema della mobilità, infatti, non si autoregola. Esistono circoli viziosi e circoli virtuosi. Un circolo vizioso è quello di costruire sistemi urbani sempre più estesi che portano a spostare le residenze sempre più decentrate che obbligano ad usare maggiormente l’auto che riducono l’autonomia di tutti gli utenti, ma soprattutto di giovani e anziani. Un circolo virtuoso è facilitare una multimodalità che permetta di scegliere fra varie opzioni: a piedi, in bicicletta, col trasporto pubblico, con il car sharing e anche con il proprio automezzo, in modo da poter scegliere il mezzo più adeguato a seconda delle esigenze, delle distanze e dell'offerta. Il secondo intervento e forse più importante è desumibile dal seguente grafico, tratto da una pubblicazione comunitaria, “kids on the move”.
Dato un incidente, la differenza delle conseguenze potenziali (cerotto, stampella, carrozzina e bara) sta tutta in pochi chilometri all’ora di differenza di velocità di impatto! Infatti un impatto a 50 km/h ha il 50% di probabilità di conseguenze mortali, equivalente ad una caduta dal terzo piano di un’abitazione, a 70 km/h c’è praticamente la certezza di morte, come cadere dal quinto piano, mentre se l’impatto avviene fino a 30 km/h le conseguenze diventano trascurabili (equiparabile ad una caduta dal primo piano). La velocità è la prima causa (o concausa) di incidenti gravi. Quindi, tra gli interventi prioritari, le zone 30 devono essere regola e non eccezione; prioritarie anche rispetto alle piste ciclabili. Tra l’altro è un intervento realizzabile rapidamente e con risorse limitate, fermo restando che non basta mettere un cartello di divieto. Man mano occorrerà intervenire con i controlli e quindi anche con la sagomatura della strada (che riduca automaticamente la velocità massima). Non dimenticando che è anche uno dei migliori modi per fluidificare il traffico! In macchina, in città, infatti, generalmente si arriva prima se c’è una zona 30 senza semafori piuttosto che accelerare fino a 70 all’ora, rifermarsi, ripartire e così via, aumentando l’inquinamento, lo stress, il rischio per poi scoprire che la velocità media è stata di 12 km/h!
Altro principio fondamentale è garantire il non superamento dei 50 km/h in città, che è un obbligo, è scritto nel codice della strada, ma è un obbligo che nessuno rispetta! Naturalmente solo sulle direttrici di attraversamento che, anche queste, dovrebbero essere l’eccezione e non la norma per il traffico cittadino.
A queste condizioni la sterile ricerca di chi è la colpa di un incidente (se c’è un incidente ci sarà sempre qualcuno che ha sbagliato qualcosa) diventa irrilevante, dato che a basse velocità di impatto la gravità si annulla.
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