Poteva chiedere scusa, sarebbe stato apprezzabile.
Poteva non dire più nulla, lasciare che il silenzio si portasse via la brutta figura, sarebbe stato almeno qualcosa.
Invece Elisa Di Francisca ha scelto la strada che seguono tutti quelli che in Italia dicono castronerie o esprimono pensieri medievali.
Contrattaccano, rivendicano. Si offendono. E offendono.
“Mi dispiace, ma io appartengo alla generazione passata. Il buonismo imperante non è la mia filosofia”.
Questo ha detto.
L’ha trasformata in una guerra generazionale, sventolando la solita, trita, litania di un passato mitico e puro in cui tutto si poteva dire senza che nessuno si scandalizzasse.
Ha ragione, ed è proprio quel passato che i giovani come Benedetta Pilato (ma anche, glielo assicuro, più anziani della stessa Di Francisca) stanno provando a cancellare, indicando una strada in cui si può anche arrivare quarti a un’Olimpiade col sorriso sulle labbra, in cui smettere di chiamare una persona fro*** o non chiamare una donna “trans”, “uomo”, “mostro” non è buonismo. È saper stare al mondo. È diventare persone adulte e consapevoli, e non ha niente a che vedere con l’anagrafe.
Benedetta Pilato non è né buona né tantomeno buonista. È un essere umano, con le sue emozioni, le sue fragilità che non ha paura di mostrare, la sua gioia anche nella sconfitta (o presunta tale). E qualche giorno fa ha insegnato a Di Francisca e a tutte le Di Francisca d’Italia - la maggioranza, ahinoi, di questo Paese - che cosa significhi maturità affettiva, emotiva e sportiva.
Non c’è medaglia che valga, a 19 anni, un simile traguardo e una simile lezione.
Da prendere e portare a casa.
Lorenzo Tosa
Nessun commento:
Posta un commento