mercoledì 17 settembre 2014




i alleati dell'Isis!
In un'interessante analisi da Beirut, Alberto Stabile inviato di Repubblica denuncia che il sedicente "Esercito libero siriano", un tempo destinato a rappresentare il braccio armato di quell’opposizione siriana laica e moderata, boccheggia in uno caos bellico tipicamente mediorientale, indebolito dalle migrazioni dei suoi ranghi verso le formazioni islamiche.
La cosiddetta “resistenza siriana moderata” si è rivelata incapace di rappresentare un’alternativa al governo di Damasco, anche soltanto dall’esilio. Per non dire poi sul terreno dove a dominare tanto sul campo di battaglia quanto nelle zone “liberate”, salvo rare eccezioni, sono lo Stato Islamico, braccio armato del Califfato, il Fronte al Nusra, gratificato dal successore di Bin Laden, Ayman al Zawahiri, del titolo di “legittimo rappresentante di al Qaeda in Siria” e il Fronte islamico finanziato dal Qatar e incentrato sulla cospicua forza combattente (15-20 mila miliziani) del gruppo Ahrar ash Sham, (il movimento islamico degli uomini liberi del Levante) sostenuto dall’Arabia Saudita. In altre parole, la rivolta siriana è ormai per la gran parte islamista, o non è. Gli oppositori laici e moderati, o non hanno preso le armi, o marciscono nelle prigioni del regime . E, comunque, se sussisteva qualche differenza tattica o di principio tra i gruppi armati siriani, esse sarebbero state appianate con un accordo siglato qualche giorno fa alla periferia di Damasco. Il che costringerà gli strateghi di Obama ad una cernita assai difficile per distinguere i buoni dai cattivi.
Fine della citazione. Possibile che la superpotenza mondiale commetta simili errori? Possibile che gli americani non sappiano che in Siria sostengono i terroristi islamici alleati di quelli che combatte in Iraq? Possibile che facciano finta di niente pur di non riconoscere l'errore di fare la guerra ad Assad sostenuto da Putin?
http://stabile.blogautore.repubblica.it/2014/09/16/obama-e-il-mito-dellopposizione-moderata-siriana/?ref=m%7Chome%7Cblog%7Cpos_4(*)

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Obama e il mito dell’opposizione “moderata” siriana

Alberto Stabile di Alberto Stabile

BEIRUT – Chi si ricorda più di Ryad al Asaad, o di Selim Idris,? Eppure, al Asaad fu il fondatore del Libero esercito siriano, o Fsa (Free syrian army), la prima formazione composta da disertori delle forse armate siriane e combattenti volontari a levare le armi contro Bashar el Assad. E Idriss fu il suo successore, fino al febbraio scorso, quando è stato rimosso per aver fallito il compito di trasformare il Libero Esercito in una forza militare credibile ed efficace non soltanto di fronte al nemico ma, soprattutto, di fronte alla inarrestabile avanzata dei gruppi jihadisti e salafiti che ormai monopolizzano il frastagliato arcipelago della rivolta armata contro il regime di Damasco.
A rigor di logica, alla prima domanda se ne dovrebbe aggiungere un’altra: e che fine ha fatto lo stesso Libero esercito, un tempo destinato a rappresentare il braccio armato di quell’opposizione siriana laica e moderata che, sulla scia della Primavera araba, ha chiesto a gran voce libertà e democrazia ottenendo come risposta, dal regime di Damasco, una repressione brutale? Quello che si può è che tre anni e mezzo dopo, la rivolta siriana boccheggia in uno caos bellico tipicamente mediorientale, (valga per tutti il precedente della guerra civile libanese) in cui si fronteggiano vari eserciti con obbiettivi e strategie diverse e in cui s’intrecciano alleanze e rivalità in un inestricabile focolaio di violenza. E del Libero Esercito, indebolito dalle migrazioni dei suoi ranghi verso le formazioni islamiste, sempre più raramente si sente più parlare. (Al Assad si sta riprendendo in Turchia da un attento che gli è costato l’amputazione della gamba destra e Idris soggiorna in Qatar).
E’ questa la situazione in cui il presidente Obama ha deciso di dichiarare guerra allo Stato Islamico, il nuovo protagonista sulla scena della Siria e dell’Iraq, ottenendo l’appoggio di 27 paesi, con il molteplice scopo di neutralizzare la minaccia rappresentata dall’armata jihadista agli ordini del Califfo al Bagdadi, salvaguardare gli interessi americani in Iraq e nel Kurdistan iracheno e rafforzare l’ala “moderata” della resistenza al regime di Damasco, cui, sulla carta, gli Stati Uniti e i loro alleati assegnano il compito di fornire quell’indispensabile forza terrestre senza la quale i bombardamenti, anche i più feroci, contro le posizioni dello Stato Islamico non servirebbero a nulla.
Si potrebbe subito dire che, alle prese con il mattatoio mediorientale, Obama alla fine ha fatto una scelta che smentisce i suoi iniziali propositi di sostituire la politica imperiale, basata sull’uso della forza e su alleanze di comodo, seguita dai suoi predecessori nei confronti del mondo arabo con la strategia del dialogo e della mano tesa. Così facendo, quale che siano gli esiti della guerra contro lo Stato Islamico, che comunque si preanuncia lunga e difficile, il presidente americano finirà con l’accentuare l’isolamento degli gli Stati Uniti in questa parte essenziale del mondo e la sfiducia che le opinioni pubbliche arabe coltivano nei confronti di un’Amministrazione che ha suscitato speranze di cambiamento ma in fin dei conti è rimasta prigioniera degli antichi vincoli.
Né basterà l’adesione chiaramente titubante alla campagna contro lo SI da pare dell’Arabia Saudita, degli Emirati del Golfo, dell’Egitto e della Giordania a fugare l’impressione che non di una coalizione di “volenterosi” si tratta, ma di un patto tra opportunisti, i quali cercheranno di minimizzare il proprio ruolo nella guerra, per non esporsi ai malumori e alle proteste delle rispettive opinioni pubbliche, puntando, al tempo stesso ad ottimizzare i guadagni che ne potranno derivare. La scelta di affidare ad una fantomatica resistenza siriana “moderata” il compito di contrastare le conquiste del Califfato in Siria, rafforzandone l’armamento e garantendone un più adeguato addestramento, risponde chiaramente ai bisogni dell’agenda saudita, la cui priorità, in Siria, è di abbattere il regime di Assad e, nella regione, di ridimensionare il ruolo dell’Iran e dei suoi alleati, gli sciiti iracheni e gli Hezbollah libanesi.
Da qui l’esclusione dell’Iran dal tavolo di Parigi e la porta sbattuta in faccia all’offerta di Assad di essere cooptato come alleato naturale della coalizione. Il che vuol dire che, dovendo scegliere gli alleati nella guerra contro lo Stato Islamico, tra coloro che in questi anni anni hanno sostenuto economicamente e militarmente i gruppi jihadisti e salafiti, i quali hanno monopolizzato la rivolta armata contro Assad, vale a dire l’Arabia Saudita e i suoi satelliti, e coloro i quali hanno combattuto lo Stato Islamico, vale a dire le milizie sciite irachene, l’esercito siriano e gli Hezbollah libanesi, Obama ha scelto di arruolare i primi e di snobbare i secondi.
Ma, a fugare ogni sospetto di contraddizione dovrebbe essere l’enfasi posta sul concetto di “resistenza siriana moderata”, probabilmente rappresentata da quella Coalizione Nazionale finanziata dagli Stati Uniti e dal Club degli Amici della Siria che si è rivelata incapace di rappresentare un’alternativa al governo di Damasco, anche soltanto dall’esilio. Per non dire poi sul terreno dove a dominare tanto sul campo di battaglia quanto nelle zone “liberate”, salvo rare eccezioni, sono lo Stato Islamico, braccio armato del Califfato, il Fronte al Nusra, gratificato dal successore di Bin Laden, Ayman al Zawahiri, del titolo di “legittimo rappresentante di al Qaeda in Siria” e il Fronte islamico finanziato dal Qatar e incentrato sulla cospicua forza combattente (15-20 mila miliziani) del gruppo Harar ash Sham, (il movimento islamico degli uomini liberi del Levante) sostenuto dall’Arabia Saudita. In altre parole, la rivolta siriana è ormai per la gran parte islamista, o non è. Gli oppositori laici e moderati, o non hanno preso le armi, o marciscono nelle prigioni del regime . E, comunque, se sussisteva qualche differenza tattica o di principio tra i gruppi armati siriani, esse sarebbero state appianate con un accordo siglato qualche giorno fa alla periferia di Damasco. Il che costringerà gli strateghi di Obama ad una cernita assai difficile per distinguere i buoni dai cattivi.

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