giovedì 3 ottobre 2013

La Borsa di Milano ci spiega oggi perchè la crisi non esiste ed è tutto uno squallido teatrino politichese. Italiota.



"Chi segue la idolatria del danaro, e la persegue, non sa che cerca e segue il Nulla; chi segue e persegue il Nulla rappresentato dalla ricchezza materiale è bene che sappia che diventerà quel Nulla che cercava".

                   Papa Francesco. Domenica 29 settembre 2013



di Sergio Di Cori Modigliani
Se la crisi politica fosse reale, a quest'ora la borsa valori di Milano avrebbe perso (tra lunedì e martedì) almeno il 10%. Avremmo visto in prima linea una totale emorragia di Rizzoli, De Benedetti, Cairo, con Mediaset spolpata all'osso. Tutto il comparto bancario a picco, perchè si sarebbero aperti i forzieri delle informazioni e si sarebbe andati alla resa dei conti. Domenica pomeriggio, tra una partita di calcio e l'altra, i professionisti della cupola mediatica avevano già dato fuoco alle polveri annunciando il crollo della borsa lunedì mattina e un tonfo definitivo il martedì. Enrico Franceschini, ministro per i rapporti con il Parlamento, aveva addirittura -in ben tre diverse esternazioni- prefigurato un rapporto dello spread "che schizzerà in alto di 100/200 punti in pochissimi giorni". 
Invece, non è accaduto nulla di tutto ciò.
Il perchè è fin troppo ovvio e le motivazioni "tecniche" appartengono alla consuetudine in vigore nel Gran Regno d'Ipocritania, perversa variante del capitalismo occidentale, altrimenti chiamato, con espressione peregrina, il capitalismo all'italiana.
La Borsa Valori di ogni Paese è il centro dello scambio delle merci prodotte dall'industria e commercio. Gli indici dei titoli rilevano (e rivelano) lo stato di salute delle aziende perchè se la domanda è alta (le azioni vanno su) significa che quella specifica azienda produce, vende, realizza profitti, quindi il normale cittadino di un paese normale, invece che tenere i soldi dentro al materasso o fermi in banca li investe acquistando quelle azioni. In tal modo si verifica una forbice virtuosa: da una parte si stanno dando soldi a un'azienda che funziona e quindi la si premia, dall'altra si guadagnano soldi grazie a chi produce e la moneta circola sul mercato dei capitali. Nei paesi capitalisti normali, non appena un'azienda è entrata nel mercato, la prima cosa che fa, si costituisce in società per azioni e va in borsa a chiedere capitali alla cittadinanza sulla base della propria idea, progettualità, strategia. Come fece nel 1979 Steve Jobs. Se l'idea è buona, la merce prodotta è di qualità al prezzo giusto, becca il trend vincente e il management dell'azienda è rappresentato da personale valido e competente, quell'azienda andrà avanti e prospererà. Una volta ingrandita, arriverà la concorrenza che cercherà di mangiarsela, di farla fuori, di eliminarla, e allora scattano specifici meccanismi di difesa a salvaguardia del titolo, usando i trucchi più inverosimili. Alla fine, comunque, i nodi verranno sempre al pettine, perchè ciò che conta, in borsa, è il bilancio dell'azienda: quanto investe, che cosa produce, quanto vende, dove vende e come vende. Soprattutto -in termini finanziari- dove va a investire il profitto realizzato.
Non così in Italia.
Da noi, ancora oggi, il capitalismo mercantile non esiste perchè non contempla l'esistenza della concorrenza, fondata sul principio basico per cui vince sempre chi è in grado di proporre il rapporto migliore prezzo/qualità, idee innovative, seducenti novità che ampliano il ventaglio del mercato.
Non è mai esistito, da noi, il capitalismo.
Ne abbiamo vissuto soltanto gli aspetti deteriori senza averne i migliori.
In una rozza sintesi diciamo che gli aspetti negativi del capitalismo sono quelli noti: consumismo, sfruttamento dei lavoratori, sperequazione sociale. Cui si contappone l'affermazione dei sindacati, al fine di combattere per una migliore posizione dei salariati,  da considerare "collaboratori attivi nella produzione di profitto" e non semplici schiavi. 
Ma il capitalismo è stato rivoluzionario perchè ha abbattuto la rendita passiva feudale degli aristocratici, ha annullato il concetto di censo familiare, ha cancellato il ferreo status bio-sociale di privilegi di casta, e ha promosso il merito, la competenza, l'abilità, la diligenza.
In sintesi: la creatività del lavoro al posto del sangue blu ereditato.
In Italia, invece, il processo di industrializzazione avviato nel 1949 non è andato di pari passo con l'affermazione di uno spirito imprenditoriale capitalista. Il potere partitico ha trasferito un modello feudale medioevale dentro l'industrializzazione, facendo in modo che a usufruire dell'improvviso benessere fosse si la massa, con qualche briciola per sopravvivere, ma riproponendo la comportamentalità medioevale tale per cui a gestire le aziende rimanevano le grandi famiglie aristocratiche, le stesse di sempre. L'elenco del telefono (se ci fosse stato) di Firenze e di Roma nel 1532 è lo stesso del 2013: le grandi famiglie che contano sono sempre le stesse, con poche e rare eccezioni.
Quando alla fine degli anni'80 irrompe sulla scena il capitalista Berlusconi, gran parte dei capitalisti (quelli veri) si infiammano e rimangono sedotti all'idea di aver trovato un nuovo Enrico Mattei, un erede di Raoul Gardini, un emulo di Adriano Olivetti, ovvero i grandi capitani d'industria, geniali, efficaci, efficienti. E così lo sostengono, in buona fede, sperando che faccia da battistrada per aprire il mercato italiano. Lui, Silvio, avrebbe spezzato le catene che ci legavano al feudalesimo, liberando le forze propulsive.
Durò pochissimo, neppure due anni. Il Berlusconi, invece (che di capitalista non ha nulla se non soltanto gli aspetti deteriori in tutti i sensi) siccome non era nè un imprenditore nè un industriale ma un semplice piazzista, non aveva nessuna ambizione ideale, tantomeno quella di capeggiare altri industriali. Capì subito che sarebbe durato in eterno se fosse stato in grado di servire al millesimo le famiglie aristocratiche, regalando loro una sorprendente chicca doc: "l'illusione del capitalismo" attraverso l'applicazione di parametri di marketing pubblicitario, in modo tale da sostituire -come avviene negli spot televisivi- l'apparenza alla sostanza, il mercatismo al posto della politica, cancellando la cultura come fattore trainante, sostituita dal narcisismo della visibilità: sesso e gioco d'azzardo al posto dei libri e della ricerca scientifica.
Così i capitalisti all'italiana da una parte allargavano sempre di più lo spettro del privilegio oligarchico, mantenendo inalterate le rendite di posizione, mentre dall'altra abbindolavano il popolo facendogli credere che si stava modernizzando il paese, mentre invece lo si stava facendo regredire.
Fin dall'inizio, le forze oligarchiche della nazione hanno amato e adorato questo piccolo-borghese, regalandogli l'unica cosa che lui aveva chiesto: il controllo monopolistico della tivvù. Glielo diedero subito, consentendogli di prendere le frequenze di un imprenditore che aveva vinto tutte le aste pubbliche, Francesco Di Stefano.  Se, nel 1993, il mercato televisivo fosse stato vero e concorrenziale, avremmo avuto almeno cinque network concorrenti tra di loro e forse -chi lo sa- non saremmo neppure entrati nell'euro.
L'amore per il monopolio oligarchico, invece, prevalse. Con un'aggravante sottovalutata dai marpioni cinici di allora (la cui responsabilità è massima): il nostro piazzista si portava appresso, immettendoli nel circuito economico nazionale, amicizie criminali. Quando se ne accorsero, era ormai troppo tardi. La sinistra decise di scenderci a patti, costruendo un sistema consociativo al fine di costruirsi (anche loro) una insperata oligarchia del privilegio.
Il capitalismo italiano (o all'italiana) che è riuscito a fare ciò che nessun capitalismo è riuscito a produrre in occidente, ovvero distruggere il benessere e produrre disoccupazione e disperazione socio-esistenziale, ha prodotto la rivoluzione berlusconiana: la politica di mercato è stata sostituita dal mercato della politica.
I risultati li ha diffusi oggi il Cnel, ufficialmente: "Lo stato attuale e reale dell'economia nazionale segnala che il 2013 è stato l'anno peggiore dal 1947".
Così, la destra e la sinistra, insieme, sapendo con esattezza il male che stavano costruendo, hanno scientemente organizzato, prodotto, determinato e costruito un sistema ingessato, bloccato, paralitico, in quanto privo di capacità autonoma di deambulazione strategica nel dinamico e variegato mondo della globalizzazione planetaria.
I grandi controllori del sistema finanziario speculativo internazionale, una quindicina di anni fa, fecero la scelta strategica giusta (si intende, per i loro interessi): sostenere questa banda di piccolo-borghesi all'arrembaggio, affidandosi alle amorevoli e competenti cure dei loro emissari rappresentanti, gli splendidi ambasciatori cullati e istruiti nei corsi di perfezionamento di management operativo in Usa e Gran Bretagna.
La borsa di Milano, quindi, è di per sè un paradosso privo di senso.
Non rappresenta affatto interessi reali legati ai valori delle aziende, perchè non esiste la concorrenza: sono tutti incrociati tra di loro -come le grandi famiglie aristocratiche nel medioevo- e quindi si controllano a vicenda per impedire a ogni costo che in Italia si affermi e si sviluppi una generazione di imprenditori, industriali che vogliono concorrere, aziende strutturate sulla valorizzazione del merito individuale invece che sull'appartenenza a piccole conventicole privilegiate.
In tal modo, l'Italia ha cominciato a perdere produttività nel mondo perchè la competenza specifica è stata sostituita dall'apparenza e dall'illusione. L'affermazione del consociativismo ha comportato l'impossibilità di affidare la gestione delle aziende (e quindi anche le banche) a individui preparati. E gli squali della finanza d'assalto hanno avuto gioco facile.  
La Borsa Valori di Milano, quindi, è questo. 
Il suo andamento non rappresenta lo stato reale dell'economia, bensì ci segnala e ci comunica che cosa è accaduto la sera prima nella cena riservata a casa delle famiglie oligarchiche e soprattutto che cosa i grandi colossi finanziari hanno deciso per il nostro Paese.
Appunto.
Lunedì pomeriggio, alle ore 17, osservando puntigliosamente i dati della borsa, era chiaro come il sole che si trattava di un teatrino per gonzi, che non c'era nessuna crisi, e che stavano inventandosi un gioco virtuale per far credere al Paese che esiste uno scontro in atto, addirittura istituzionale.
A me è parso semplicemente un giro di fatture tra managers di un'azienda associata ad un'altra azienda. Se lo scontro fosse stato reale, ieri alle ore 18 si sarebbero contati i danni per emorragia in borsa. Ma non può succedere, dato che non esiste la concorrenza.
Basterebbe pensare ai nomi delle due persone che gestiscono i patrimoni solidi nelle operazioni della borsa di Milano, per capire la vera natura della nostra società bloccata: Giacomo Draghi e Giovannino Monti, con l'aggiunta -da un anno a questa parte- di Federica Draghi. Sono i figli di Mario Draghi e di Mario Monti. Giacomo sta a Londra, dove lavora all'interno di Morgan Stanley nella sezione europea con la specifica "italian desk"; attraverso il suo tavolo passa il controllo azionario di circa il 22% delle operazioni di borsa. Giovannino sta sempre a Morgan Stanley, identica mansione, ma sta anche in Citigroup; sul suo tavolo passa circa il 30% delle operazioni vere alla borsa di Milano. Entrambi provengono dalla Goldman Sachs, con una breve comparsata del nostro Giovannino in Merryl Lynch intorno al 2009 -insieme a Gianni Letta- per gestire le operazioni finanziarie del Monte dei Paschi di Siena. Federica Draghi, invece, (biologa) è finita come responsabile della ricerca scientifica in Genextra, la più importante società nel campo biotech, con una partecipazione fondamentale nel consiglio di amministrazione, necessaria per controllare il capo dell'azienda, il più famoso finanziere italiano, colui che è stato il polmone di Andreotti (anni'70) poi di De Benedetti (anni'80) poi di Prodi (anni'90) poi di Cicchitto (2000) infine dei Letta (2010). Si chiama Francesco Micheli.
Il loro unico terrore consiste nell'esistenza della concorrenza, della competitività, della produttività. Rappresentano e gestiscono, tutti e tre insieme, il 38% del patrimonio finanziario delle grandi famiglie che contano in Italia, corrispondente a circa 3.600 miliardi di euro, equivalente al pil di Francia e Spagna messe insieme. L'Italia, infatti, ancora oggi, è la nazione più ricca d'Europa e tra le prime dieci nazioni più ricche del globo. Queste tre persone, insieme e di comune accordo, è presumibile che decidano chi sale e chi scende. 
La Storia dimostra che i popoli e le etnie sono in grado di svegliarsi dal lungo sonno subito sotto le dittature oligarchiche, nei momenti e nei modi più impensati.  Ciò che veramente conta è riuscire a mantenere la serenità del proprio spazio mentale interiore per non farsi abbindolare. E' già molto. Sarà lunga e lenta la strada verso la liberazione degli italiani da questi vampiri. Ma ci sarà. Siamo soltanto agli inizi. Stiamo semplicemente documentando tutti quanti, ciascuno nella propria modestia e nel proprio piccolo, a seconda della propria posizione e della propria competenza, come il film prodotto, sceneggiato, interpretato e diretto dalla classe dirigente politica italiana è tutto, assolutamente tutto, falso, illusorio, deviante: è il risultato di una diabolica perversione a monte, sorretta dall'ipocrisia collettiva di chi sostiene il falso quotidianamente sapendo di mentire, e di chi non è disposto ad arretrare neppure di un millimetro.
Questo è il Gran Regno d'Ipocritania.
Ma oggi esiste la rete, esistono i nodi, i social networks, e siamo in grado di scambiarci notizie, pensieri, umori, informazioni, suggestioni, progetti, proposte. Sappiamo tutti per certo che nessuno dei nostri progetti verrà mai accettato e neppure preso in considerazione.
Ma intanto, in rete, comincia a diffondersi un po' di luce, se non altro è sempre più chiaro a un sempre maggior numero di persone che siamo semplici spettatori passivi di uno spettacolo da circo, allestito e organizzato per la cittadinanza dalla cupola mediatica, i cui componenti e rappresentanti sono professionisti della comunicazione, il cui compito consiste nel far credere, di volta in volta, che Berlusconi è una vittima, che Bersani ha proposto a Grillo di fare un governo insieme, che a New York Letta ha avuto un'accoglienza entusiastica, che a Bruxelles è stato strappato un enorme successo, che Saccomanni pensa a come abbassare le tasse, e che tutti insieme hanno a cuore il bene comune della cittadinanza. Ciò che conta è non farsi avvilire dallo spettacolo indecoroso di questi pagliacci corrotti, insistere nel nostro percorso di smascheramento continuo.
Finchè gli italiani non si sveglieranno. 

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