Daverio critica la gestione del patrimonio italiano.
Chissà se davvero l'Afrodite di Morgantina e l'Atleta di Fano vogliono
lasciare il Getty museum di Malibù, Los Angeles, per finire la prima ad
Aidone (provincia di Enna) e la seconda a Fano, nelle Marche. La bella
Venere, gioiello di marmo di 2,2 metri scolpito da un discepolo diretto
di Fidia nel 400 avanti Cristo, trafugato da Villa del Casale, in Piazza
Armerina in Sicilia nei primi del '900, il prossimo gennaio verrà
smontata in tre pezzi e spedita in Italia. Ma ancora non si sa di
preciso dove sarà collocata. La Sicilia la vuole indietro, ma la chiesa
di San Domenico di Aidone, raggiungibile solo percorrendo chilometri di
tornanti che rendono difficoltoso persino il passaggio dei pullman
turistici, non è ancora pronta ad accoglierla.
L'altro capolavoro conteso tra Italia e Stati Uniti, l'Atleta di Fano di Lisippo (quarto secolo avanti Cristo) strattonato in una lunga battaglia giudiziale tra Italia e Stati Uniti, risiede oggi al museo di Los Angeles, ma le Marche lo rivogliono indietro a tutti i costi, tanto che il Gip di Pesaro ne ha recentemente ordinato il sequestro.
Scaramucce folli secondo Philippe Daverio, intervistato da Lettera43.it, preoccupato per la scarsa manutenzione italiana dei beni culturali e per la mancanza di spazi espositivi adeguati.
Domanda. Il rientro dell'Afrodite è una vittoria per l'Italia?
Risposta. Ormai la frittata è fatta. Il rientro di quel gioiello di marmo, che sarà diviso in tre blocchi e poi spedito in aereo, dovrà raggiungere via gomma, l'entroterra siciliano, superando indenne un reticolo di strade killer. Mi pare un atto criminale.
D. Lei non crede quindi che le opere trafugate al patrimonio italiano debbano far ritorno a casa?
R. In linea di principio dovremmo evitare di pensare che la cultura antica sia considerata una proprietà dell'una o dell'altra nazione. Nel caso specifico, l'opera è stata trafugata e quindi è giusto che venga restituita. Ma se deve finire in fondo a uno museo dimenticato, che rischia di crollare, tanto meglio che la Venere se ne stia a Malibù.
D. Quindi pensa che opere come la Monnalisa di Leonardo non meritino di essere considerate “italiane”?
R. I capolavori dell'arte italiana fanno bene a rimanere dove sono. Se non altro perché hanno una missione: comunicare al mondo che il Paese è in grado di “produrre” cose più intelligenti del nostro presidente del Consiglio, che ha detto che se ne frega di Pompei, quando deve fare campagna elettorale in Veneto.
D. Ma se l'opera in questione è finita in un museo estero tramite il mercato nero, è davvero così corretto che resti là?
R. Il Getty di Los Angeles, Il Metropolitan di New York, o il Louvre di Parigi, oltre che sedi più adeguate, sicure e belle per capolavori di una certa caratura, sono le vetrine del mondo. Se la biga etrusca lasciasse New York e rientrasse in Umbria, rischierebbe di essere dimenticata e di cadere nell'oblio.
D. E noi in cambio cosa ne ricaviamo?
R. Penso che il legame con l'italianità vada comunque rimarcato. Lasciamo le opere lì dove sono e proviamo a chiedere una sorta di diritti di prestito a questi musei. E, molto elegantemente, anziché aprire rozze rogatorie internazionali, chiediamo di far applicare delle targhe al fianco di questi capolavori, per ricordare ai turisti che sono italiane e che stanno lì per gentile concessione degli italiani.
D. Commenti ai fatti di Pompei?
R. Penso sia arrivato il momento di togliere dalle mani di amministratori varesotti, partenopei, romani, che non conoscono neanche la lingua latina la gestione del patrimonio culturale italiano. Affidiamo i patrimoni Unesco direttamente ai caschi blu dell'Onu. Questo è il mio appello.
http://www.lettera43.it/cultura/2555/capolavori-minacciati.htm
L'altro capolavoro conteso tra Italia e Stati Uniti, l'Atleta di Fano di Lisippo (quarto secolo avanti Cristo) strattonato in una lunga battaglia giudiziale tra Italia e Stati Uniti, risiede oggi al museo di Los Angeles, ma le Marche lo rivogliono indietro a tutti i costi, tanto che il Gip di Pesaro ne ha recentemente ordinato il sequestro.
Scaramucce folli secondo Philippe Daverio, intervistato da Lettera43.it, preoccupato per la scarsa manutenzione italiana dei beni culturali e per la mancanza di spazi espositivi adeguati.
Domanda. Il rientro dell'Afrodite è una vittoria per l'Italia?
Risposta. Ormai la frittata è fatta. Il rientro di quel gioiello di marmo, che sarà diviso in tre blocchi e poi spedito in aereo, dovrà raggiungere via gomma, l'entroterra siciliano, superando indenne un reticolo di strade killer. Mi pare un atto criminale.
D. Lei non crede quindi che le opere trafugate al patrimonio italiano debbano far ritorno a casa?
R. In linea di principio dovremmo evitare di pensare che la cultura antica sia considerata una proprietà dell'una o dell'altra nazione. Nel caso specifico, l'opera è stata trafugata e quindi è giusto che venga restituita. Ma se deve finire in fondo a uno museo dimenticato, che rischia di crollare, tanto meglio che la Venere se ne stia a Malibù.
D. Quindi pensa che opere come la Monnalisa di Leonardo non meritino di essere considerate “italiane”?
R. I capolavori dell'arte italiana fanno bene a rimanere dove sono. Se non altro perché hanno una missione: comunicare al mondo che il Paese è in grado di “produrre” cose più intelligenti del nostro presidente del Consiglio, che ha detto che se ne frega di Pompei, quando deve fare campagna elettorale in Veneto.
D. Ma se l'opera in questione è finita in un museo estero tramite il mercato nero, è davvero così corretto che resti là?
R. Il Getty di Los Angeles, Il Metropolitan di New York, o il Louvre di Parigi, oltre che sedi più adeguate, sicure e belle per capolavori di una certa caratura, sono le vetrine del mondo. Se la biga etrusca lasciasse New York e rientrasse in Umbria, rischierebbe di essere dimenticata e di cadere nell'oblio.
D. E noi in cambio cosa ne ricaviamo?
R. Penso che il legame con l'italianità vada comunque rimarcato. Lasciamo le opere lì dove sono e proviamo a chiedere una sorta di diritti di prestito a questi musei. E, molto elegantemente, anziché aprire rozze rogatorie internazionali, chiediamo di far applicare delle targhe al fianco di questi capolavori, per ricordare ai turisti che sono italiane e che stanno lì per gentile concessione degli italiani.
D. Commenti ai fatti di Pompei?
R. Penso sia arrivato il momento di togliere dalle mani di amministratori varesotti, partenopei, romani, che non conoscono neanche la lingua latina la gestione del patrimonio culturale italiano. Affidiamo i patrimoni Unesco direttamente ai caschi blu dell'Onu. Questo è il mio appello.
http://www.lettera43.it/cultura/2555/capolavori-minacciati.htm
Nessun commento:
Posta un commento