Giorgia Meloni ha chiesto 20mila euro di risarcimento al comico Daniele Fabbri per averla definita "puzzona" e "peracottara" durante uno spettacolo satirico.
Termini che, scrive la Presidente del Consiglio nella richiesta di risarcimento, "le hanno provocato danni alla psiche".
No, non è uno scherzo. È tutto tristemente vero.
Fabbri, nel suo monologo, aveva semplicemente spiegato che non serve usare insulti sessisti per criticare una donna politica: "Ci sono tante parole non discriminatorie che danno comunque soddisfazione", come appunto "puzzona" o "peracottara".
Tanto basta, oggi, per chiedere 20 mila euro di danni a chi fa satira. Ma dov'è finito il grido "basta dittatura del politicamente corretto"? Dove è finita la libertà di dire tutto e ridere di tutto? Ah già, vale solo se a parlare è la destra.
Dopo aver riempito social e tv con la guerra santa contro il politicamente corretto, la premier decide di trascinare in tribunale un comico per una battuta persino troppo infantile per essere presa sul serio: "Giorgia Meloni puzzona".
Eh, ma "la censura woke", signora mia.
Abolizione del suffragio universale
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