Tutto ciò che è troppo complesso, è superfluo. Mentre ciò che è semplice, è necessario. Con questo mantra in mente l’ingegnere e progettista Michail Timofeevič Kalašnikov nel 1947 inventa quello che ancora non poteva sapere sarebbe diventato il fucile più famoso del mondo, nonché un simbolo di lotta e resistenza. Il suo nome completo è Avtomat Kalašnikova obrazca 1947 goda ma il mondo lo conoscerà con il nome abbreviato di AK47. Kalašnikov già nel 1941, nel pieno dell’invasione nazista dell’URSS, aveva in mente un fucile automatico che competesse con quelli ben più moderni in dotazione alla Wehrmacht. Ma è dopo la Grande Guerra Patriottica che avvenne il successo.
Kalašnikov immaginava un’arma facile da usare, sufficientemente leggera, dalla meccanica semplice ma dalla massima efficienza e con enormi capacità per la produzione di massa. Ci riuscì. Nel 1949 diventa il fucile in dotazione dell’Armata Rossa e di conseguenza anche di tutti gli eserciti del Patto di Varsavia. Kalašnikov lo progettò per poter essere utilizzato in ogni condizione operativa, indipendentemente dal meteo. La semplicità della struttura del fucile non risente né dell’acqua, né del ghiaccio, né della neve, né del fango o della polvere, rendendolo di fatto immune dall’inceppamento. Il basso numero di componenti oltretutto permette una manutenzione ordinaria e straordinaria facile e continua che ne allunga di molto la durata vitale.
Grazie a queste sue peculiari caratteristiche non solo divenne il fucile più esportato dall’URSS nel mondo, con ben 89 paesi che durante la guerra fredda lo misero in servizio nei loro eserciti, ma l’altro lato della medaglia è la facilità con cui si può replicare. Sono infatti decine e decine le varianti e i modelli ispirati o direttamente derivati dall’AK47, addirittura l’Italia ha un suo modello prodotto dalla Vincenzo Bernardelli spa. È difficile stabilire quanti ne siano stati prodotti. Le stime parlano tra i 70 e 100 milioni dal 1947 e le stesse affermano che su 500 milioni di armi tutt’ora circolanti almeno 70 siano Kalašnikov più 100 milioni di derivati. Senza contare quelli prodotti illegalmente, che non sono stimabili.
Della sua creatura Kalašnikov disse: “Sono orgoglioso della mia invenzione, ma mi dispiace che venga usata dai terroristi. Avrei preferito inventare una macchina che le persone potessero usare e che aiutasse gli agricoltori nel loro lavoro, ad esempio un tosaerba”. Seppur per tutta la sua vita rimase orgoglioso della sua invenzione, nata per difendere l’Unione Sovietica dai nazisti, non nascose mai il rammarico di non aver inventato qualcosa che non avesse lo scopo di uccidere. Non ha mai ottenuto profitti dalla sua invenzione che oltretutto non venne brevettata e non aveva quindi il copyright.Il che significa che chiunque avesse la possibilità di fabbricarsela, poteva farlo. Kalašnikov ha vissuto con una pensione dell’esercito. Muore nel 2013 a 94 anni. Un film russo del 2021 ne racconta la vita e la nascita del fucile.
La leggenda del Kalašnikov non nasce grazie al suo utilizzo negli eserciti regolari, o almeno non solo. Difatti è stato l’impegno incommensurabile dell’Unione Sovietica nel sostenere le lotte di liberazione nazionali anticoloniali in Africa, Asia, Medio oriente e America Latina a garantire un posto nella storia all’AK47. Ogni movimento rivoluzionario, ogni fronte di liberazione nazionale sostenuto dall’URSS si vedeva garantito l’approvvigionamento di Kalašnikov che divenne sempre più amato da ogni guerrigliero. Era amatissimo ad esempio dai VietCong di Ho Chi Min, assieme alla sua copia cinese denominato Type56. Così come i nordcoerani, egiziani, siriani, cubani e soprattutto in Africa dove divenne simbolo di alto valore delle lotte anticoloniali.
In Mozambico l’AK47 è parte integrande della bandiera nazionale e dello stemma della repubblica come simbolo della lotta di liberazione guidata da FRELIMO. Lì il fucile è esplicitamente legato alla resistenza anticoloniale e alla difesa della rivoluzione.
Costi bassi, manutenzione minima, funzionamento affidabile in condizioni estreme e un paese come l’URSS che ne permetteva la produzione nazionale oltre che l’esportazione. Questi sono i caratteri fondamentali che fecero dell’Ak47 il fucile più usato e famoso del pianeta. Il suo sviluppo simbolico nella cultura popolare, come nei film, nell’arte di propaganda e in ogni specie di merchandising risulta più che una scontata evoluzione. La sagoma soprattutto. Nella sua semplicità, che ricorre continuamente, la riproduzione anche con semplici linee lo rendeva un simbolo subito riconoscibile e unico del suo genere. Timor Est, Zimbabwe lo usano in molti stemmi e icone. Le FARC in Colombia anche. Una valenza quindi transnazionale di simbolo antimperialista e rivoluzionario.
Tutti conosciamo la foto della combattente palestinese Leila Khaled. Sorride e imbraccia, senza fingere alcuno stupore, proprio un Kalašnikov. Ancora oggi in Medio Oriente, soprattutto in Palestina, l’AK47 è l’arma più iconica che rappresenta la lotta di liberazione contro l’occupazione israeliana. Fin dagli anni ‘60 l’OLP, sia tramite URSS e la DDR che canali di contrabbando, se ne riforniva. Tanto che Al Fatah ha un Kalašnikov nel suo simbolo.
Ma non è solo Fatah ad usare l’arma, essa è trasversalmente distribuita in tutte le fazioni della resistenza palestinese. I gruppi Marxisti Leninisti come il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina lo hanno sempre avuto come arma principale, oltre che ad utilizzarlo su murales, manifesti e propaganda più disparata. Le stesse Brigate Al Qassam di Hamas lo utilizzano ancora oggi a Gaza in diversi modelli, sia cinesi che sovietici, oltre ad utilizzarlo nella propaganda. Avere a disposizione un così grande numero di un arma praticamente indistruttibile, facilissima da usare, manutenere e reperire è fondamentale in una Resistenza contro uno stato come Israele che della disumanità ha fatto la sua arma più grande. Il Kalašnikov nei fatti è uno dei più grandi alleati del popolo palestinese.
Impossibile poi non menzionare la presenza del fucile in primo piano nella bandiera di Hezbollah.
Nonostante l’enorme carico simbolico e la leggenda nata in tutti i popoli in lotta per la liberazione dall’oppressione, non bisogna mai dimenticarsi che si parla comunque di un’arma. Sembra una constatazione lapalissiana, ma in realtà serve a dare peso ad una analisi che altrimenti sarebbe apologetica. L’enorme facilità di utilizzo dell’AK47 infatti produce anche effetti negativi. Essendo letteralmente utilizzabile anche da un bambino, è stata in molti casi proprio l’arma più usata dai bambini soldato. Una tragedia che colpisce ancora molte aree del mondo. Per l’UNICEF almeno 100.000 sono i bambini arruolati dal 2005 al 2022 e probabilmente è una stima fatta per difetto, in quanto è difficile conoscerne la esatta entità. Le stesse caratteristiche l’han fatta diventare l’arma preferita dai gruppi terroristici di ogni sorta, compresi Al Nusra e Al Qaeda.
Se sei l’arma più diffusa al mondo, la più semplice da produrre ed usare, lo sarai sia per chi ha obiettivi nobili, sia per chi invece commette crimini contro l’umanità nel nome dell’oppressione e non della liberazione. La tecnologia non è né buona né cattiva, per sua stessa natura è neutra e dipende da come e chi la usa. Le armi sono una tecnologia che seppur formalmente neutra ha un solo scopo, quello di uccidere. È più che giusto pensare innanzitutto al suo uso per il “male” prima che per il “bene”. Un numero imprecisato di civili innocenti sono vittime dell’invenzione di Kalašnikov e ciò non va mai dimenticato. Nemmeno il più kantiano dei kantiani (quelli veri, non come si definiscono quelli di Azov) rifiuterebbe in ogni caso l’utilizzo delle armi, perché il trolley problem va risolto e una scelta deve essere fatta, nonostante il male che si può fare con essa.
Kalašnikov voleva difendere il suo paese da un male gargantuesco come quello nazista, per farlo ha inventato l’arma più adatta a tale scopo. Tutto ciò che si è sviluppato dopo è la conseguenza non dell’ingegno di Kalašnikov, accusarlo altrimenti sarebbe come dare la colpa ad Einstein e Fermi per Hiroshima e Nagasaki, ma della intrinseca natura delle armi e del compito per il quale sono nate. Il pacifismo, checché ne dicano i detrattori, non è mai stato e mai sarà passivismo. Anche il più pacifista riconoscerà sempre il diritto alla legittima difesa, alla lotta contro chi opprime e per l’autodeterminazione dei popoli. Nonostante il male che un’arma come l’AK47 ha provocato, sarebbe intellettualmente disonesto non riconoscere in esso l’enorme importanza che ha avuto ed ha nelle grandi rivoluzioni e nelle lotte di liberazione di interi popoli.
Dopotutto... Democrazia è il fucile in spalla agli operai.
Nicolo' Monti




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