Claudio giocava a pallone con gli amici, in strada. Un uomo arrivato in moto lo chiamò per nome. Lui, che era solo un bambino, gli corse incontro.
L’uomo gli sparò in mezzo agli occhi. Poi risalì in sella e se ne andò.
Aveva undici anni Claudio Domino. E non aveva colpa alcuna, se non quella di essere figlio degli imprenditori la cui azienda aveva vinto l’appalto per pulire l’aula bunker dove, proprio in quei giorni, si teneva il processo contro la mafia siciliana. Un appalto vinto faticosamente, ma frutto del lavoro di una famiglia, quella Domino, trasparente. Gente che si era fatta il mazzo per una vita costruendo un’azienda da sola.
A distanza di più di trent’anni, la famiglia di Claudio non ha ancora giustizia. Non c’è un colpevole. Ci sono però le dolorose prese in giro. Come quando in quei giorni gli stessi mafiosi in aula negarono che quel delitto fosse opera loro. La mafia, vuole la leggenda, non tocca infatti i bambini. Quando glielo dissero, la madre di Claudio si mise a contarli: centosette bambini uccisi dai mafiosi. Strangolati, sciolti nell’acido, crivellati di colpi.
Nel ricordare Claudio e la sua famiglia, anche quest'anno non dimentichiamo cos'è la mafia e di cosa è capace.

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