Era il suo compleanno quando il suo migliore amico Eliseo venne ucciso a colpi d’ascia e bastonate. Deportato italiano come lui, aveva un ascesso sotto il braccio e il dolore era diventato così forte da costringerlo a chiedere aiuto ai soldati tedeschi. Ennio Trivellin lo pregò di non farlo, perché sapeva che l’avrebbero ucciso. L’amico Eliseo Cobel volle comunque provare.
I tedeschi lo macellarono, letteralmente. Lui e ogni altro italiano malato. Chi chiedeva aiuto, veniva massacrato e gettato in una fossa comune.
Da quel giorno, Ennio non festeggiò più il suo compleanno. Era un partigiano, brigata Montanari. Rastrellato e deportato assieme ad altri italiani a Mauthausen. Un inferno in terra fatto di botte, privazioni, torture continue. E se ti ammalavi e chiedevi aiuto, ti facevano a pezzi anche con le asce.
Dei ventidue arrivati sui carri bestiame, tornarono in due.
Per cinquant’anni Ennio non è quasi riuscito a parlare della sua esperienza. Poi si è aperto e ha voluto dare il suo contributo alla memoria. È perfino tornato lì, a Mauthausen, e Dio solo sa cosa deve aver provato rivedendo i luoghi dove le persone a lui care vennero fatte a pezzi.
Si è spento due giorni fa, a 94 anni. È stato uno degli ultimi testimoni dell’orrore di Mauthausen.
A lui, dobbiamo molto. Riposi in pace adesso.
Leonardo Cecchi
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