sabato 13 novembre 2021

O muore lui o muio io

 


"O muore lui o muoio io!"


Disse così Kim Duk Koo prima del match con Ray Mancini. Koo scrisse anche la frase “Vivere o morire” all’interno di un paralume presente nella sua camera d’albergo. 


Poche ore dopo fu proprio lui, il sudcoreano ex lustrascarpe e guida turistica, a trovare la morte.  


Successe il 13 novembre 1982, quando al Ceasars Palace di Las Vegas prese forma uno degli incontri più cruenti della storia della boxe: uno scontro serrato e ferino, valido per il titolo mondiale dei pesi leggeri. 


Il match, dopo 14 lunghi round di battaglia a viso aperto, vide tuonare un destro di Mancini che spedì a terra lo sfidante asiatico, facendogli sbattere violentemente la testa. 


A pochi minuti dal ko, Kim entrò in coma e non si risvegliò più. La morte venne causata da un ematoma subdurale, conseguenza di un violento colpo alla testa, e venne certificata il 18 novembre. 


In tanti furono psicologicamente traumatizzati da quel decesso: Ray Mancini cadde in depressione e faticò a tornare a combattere, la madre di Kim Duk Koo si suicidò bevendo del pesticida e la stessa, triste, sorte toccò a Richard Green, arbitro dell'incontro, divorato dai sensi di colpa e suicidatosi nel luglio 1983. 


Anche la monolitica WBC venne scalfita da questo episodio. I round vennero ridotti da 15 a 12 e venne inserita una lunga serie di controlli medici, pre e post incontro, atta a garantire la salute degli atleti.

Athleta magazine 

Facebook 

Nessun commento:

Posta un commento