domenica 4 luglio 2021

L’Afghanistan e le donne. Quel che resta della libertà

 


Nel 2001 furono cacciati i talebani. Ora gli integralisti stanno tornando nella scia degli accordi di pace e del ritiro alleato. Il loro primo obiettivo sarà cancellare i diritti. Ma qualcosa è cambiato: «Non ci lasceremo trascinare nell’oscurità»

 
L'Afghanistan e le donne. Quel che resta della libertà Steve MCCurry
 
«Non lasceremo che ci trascinino nell’oscurità», giura la parlamentare Naheed Farid. «Ma abbiamo bisogno di alleati in questo momento cruciale della nostra storia». L’intervento a guida Usa in Afghanistan nel 2001 fu presentato come un’opportunità per aiutare le donne. Dopo vent’anni dalla cacciata dei talebani da Kabul, il traguardo dei diritti è ancora lontano in un Paese classificato tuttora come il posto peggiore per essere donne, una società fortemente patriarcale dove sono considerate di proprietà degli uomini e dove i signori della guerra che hanno combattuto i talebani sono spesso altrettanto fondamentalisti. Ma le afghane di oggi non sono quelle di vent’anni fa. Sono il 40% degli studenti e oltre un quarto dei parlamentari, aprono conti in banca, possiedono 2.500 aziende. Sono pilote, ingegnere, gareggiano alle Olimpiadi e in squadre di robotica, sono professioniste e leader. E oggi hanno paura per la sicurezza e per il futuro. «Dopo le peggiori violenze, hanno scalato le vette più alte sventolando la bandiera afghana», ci dice la scrittrice afghana-americana Nadia Hashimi. «È triste vedere che sono state usate come grido di battaglia e poi abbandonate». Il dibattito non è semplicemente tra chi vuole che le forze straniere restino o se ne vadano. È la modalità del ritiro senza condizioni a danneggiare le donne e a rafforzare i talebani, che ora avanzano puntando a una vittoria militare. Le persone con cui abbiamo parlato vogliono il cessate il fuoco e garanzie di una futura inclusione, che solo la comunità internazionale può tutelare. 
 
L’Afghanistan e le donne. Quel che resta della libertà

Educazione: niente libri gratis né borse di studio

«Sotto i talebani, alle bambine con più di nove anni era vietato studiare mentre i maschi imparavano che un kalashnikov + un altro kalashnikov faceva due. Così abbiamo fatto l’unica cosa possibile: costruire scuole clandestine». Sakena Yacoobi, 64 anni, nel 1995 ha fondato l’Afghan Institute of Learning ed è nota come «la madre dell’istruzione». «Dopo il 2001 le cose sono migliorate. Ma ci sono ancora tante falle», continua Yacoobi. Secondo la Costituzione afghana, i primi nove anni di scuola sono obbligatori e gratuiti ma non esistono fondi per i libri e borse di studio per le primarie. Poi, il tema della sicurezza. «Come possiamo continuare a far entrare le nostre figlie in classe se le ammazzano», ha spiegato al New York Times Naugiz, madre di una delle scolare di etnia hazara prese di mira dall’Isis nell’ultimo attentato. Il risultato è che, per l’Unicef, oggi in Afghanistan il 60% delle bambine non studia (coi talebani era il 97%) e la maggior parte si sposa molto giovane (il 17% prima dei 15 anni). «Una società non progredisce se le sue donne non sono istruite» scriveva Khaled Hosseini, autore de Il Cacciatore di Aquiloni. E se i talebani, a Doha, hanno annunciato che assicureranno alle più giovani il diritto allo studio «nel rispetto della legge islamica», non tutti credono a questo cambio di passo. 

Steve McCurry  

Steve McCurry

Diritti: i talebani non accettano la Costituzione

«Una delle affermazioni dei talebani è che non accettano la Costituzione afghana», spiega Shukria Barakzai ad un incontro online organizzato dall’istituto di Sakena Yacoobi e moderato dalla giornalista iraniana Fariba Pajooh. Barakzai, appena sfuggita all’ennesimo attentato, contribuì a scrivere la Costituzione nel 2004 «con enormi difficoltà, sotto pressione di gruppi islamici radicali e signori della guerra ostili alla divisione dei poteri, all’uguaglianza e ai diritti civili; ma avevamo l’appoggio di Usa e Europa». «Non è la migliore Costituzione possibile», ma il vero problema è che non è mai stata davvero applicata, «a causa della debolezza del governo, della mancanza di consapevolezza del popolo e della convinzione che sia scritta dagli europei. Due cose però le ha ottenute: la libertà di espressione e l’accesso delle donne al Parlamento». Ora i talebani dicono che vogliono un sistema islamico, «ma c’è già scritto che l’Afghanistan è uno Stato islamico e che non può essere applicata legge che non sia conforme ai suoi valori. Un’altra loro scusa è che uomini e donne non sono uguali e non possono votare allo stesso modo, ma in realtà i talebani sono contro le elezioni in generale». Il timore è che introducano un consiglio religioso, come in Iran, che può mettere il veto ai candidati alle elezioni, escludendo così chiunque desiderino.

L’Afghanistan e le donne. Quel che resta della libertà

Giornalismo: uccise o costrette a fuggire

Le ultime ad essere state uccise sono state Mursal Wahidi, 25 anni, Sadia Sadat, 20, e Shahnaz Raofi, 20. Lavoravano a Jalalabad in una stazione radio dove facevano le speaker per programmi stranieri. A dicembre era stato il turno di Malalai Maiwand, giornalista televisiva di 26 anni, uccisa a colpi di arma da fuoco davanti alla sua emittente televisiva. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, dal 2018 in Afghanistan sono stati uccisi più di 30 dipendenti dei media e giornalisti. «Questi attacchi vengono effettuati anche in modo che tutti gli altri operatori dei media ricevano il messaggio che le donne vanno scoraggiate», spiega Kiran Nazish, fondatrice della Coalition for Women in Journalism, gruppo di advocacy che lavora per proteggere le giornaliste. Minacciate e nel mirino, c’è chi ha scelto di scappare all’estero. Tra loro Farahnaz Forotan, costretta a fuggire, dopo aver lavorato per 12 anni nei principali media afghani. «Mi hanno messa in lista nera dopo che avevo intervistato il portavoce dei talebani a Doha senza indossare il velo», ha scritto lei stessa sul New York Times Magazine. Così per Forotan la scelta è diventata tra la vita e l’esilio. «Le donne afghane vivono con la sensazione di essere invisibili. Nei luoghi di lavoro le nostre voci rimangono inascoltate, la nostra esistenza appena registrata. La nostra presenza in qualsiasi spazio pubblico è celebrata come uguaglianza di genere dentro e fuori l’Afghanistan, ma tutto ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana è disuguaglianza e discriminazione», spiega lei stessa dopo il trasferimento negli Stati Uniti. Secondo «Nai», un gruppo senza scopo di lucro che sostiene i giornalisti afghani, il risultato è che delle 1.900 giornaliste che lavoravano nel gennaio 2020, in 200 hanno lasciato la professione a novembre. Tutte voci messe a tacere.

L’Afghanistan e le donne. Quel che resta della libertà

Politica: un governo che sia condiviso (ma gli estremisti non vogliono)

«Quand’ero in Parlamento, c’erano diversi estremisti, ma il mio voto contava quanto il loro. Ed è così che vogliamo affrontarli, non con le armi ma con il potere dei nostri voti». L’ex vice Speaker del Parlamento Fawzia Koofi oggi fa parte del team dei negoziatori nel processo di pace con i talebani: lei si trova a Doha in Qatar, le sue due figlie aspettano in Afghanistan. «I talebani cercano di controllare i villaggi con la forza militare: sin dall’inizio dei negoziati la violenza è aumentata, inclusi gli assassinii mirati. Intanto nei colloqui non hanno spiegato davvero la loro posizione». «Noi attivisti per la pace non abbiamo altra alternativa che essere ottimisti», nota Koofi, ma sottolinea la delusione perché «l’annuncio del presidente Biden che gli Usa si ritireranno senza condizioni a settembre mette noi che rappresentiamo la Repubblica afghana in difficoltà, visto che l’altro lato pensa che vincerà militarmente. La nostra aspettativa nel febbraio 2020 era invece di un ritiro condizionato, legato alla formazione di un governo che includesse non solo i talebani, che sono una realtà del Paese, ma anche le donne, gli accademici, la società civile: un governo accettabile per tutti». Koofi crede che i talebani possano vincere militarmente, ma non durerà: «Vincere sul campo è facile, governare sarà difficile». «Quando i talebani presero il potere ero una studentessa, volevo diventare medico e, come centinaia di migliaia di donn e, fui costretta a restare a casa quando imposero l’emirato, ma non è durato. E stavolta la violenza sarà ancora maggiore, perché in vent’anni sono aumentate sia le armi che le divisioni etniche. Perciò chiediamo subito un cessate il fuoco e proponiamo che aderiscano ad un accordo per la divisione del potere, che sarà islamico, con un rispetto della diversità e dell’inclusione».

Salute: vivere (in media 66 anni) e partorire (spesso da sole)

L’Afghanistan e le donne. Quel che resta della libertà

Quando una bambina afghana viene al mondo ha un’aspettativa di vita di 66 anni. Nel corso della sua esistenza, l’altissima probabilità di diventare madre. E se il tasso di mortalità materna è sceso da 1.200 per 100 mila nascite nel 2002 a 638 nel 2017, miglioramento dovuto alla costruzione di centinaia di ospedali grazie agli aiuti internazionali piovuti sul Paese dopo la caduta dei talebani, tuttavia, oggi ancora 638 donne ogni 100 mila parti muoiono. «La mancanza di accesso alle strutture sanitarie al di fuori delle città è ancora critica», ha dichiarato Hosna Jalil, viceministro per le questioni femminili. Così molte donne fanno viaggi di ore se non di giorni prima di partorire. Ed essendo davvero pochi gli ospedali in cui l’assistenza è gratuita, nei villaggi più remoti i parti avvengono ancora in casa. Le statistiche mostrano poi che l’80 per cento di tutti i suicidi sono commessi da donne, dato che rende l’Afghanistan uno dei pochi posti al mondo in cui i tassi femminili sono più alti di quelli maschili. E un’anomalia che gli psicologi attribuiscono a un ciclo infinito di violenza domestica e povertà. «Mi fa male dirlo, ma la situazione sta peggiorando», spiega Jameela Naseri, un avvocato di 31 anni di Medica Afghanistan, che lavora per una organizzazione non governativa tedesca.

 

 https://www.corriere.it/esteri/21_luglio_02/afghanistan-donne-quel-che-resta-liberta-867623ba-d98b-11eb-9b34-ea2fae57adbd.shtml

Bush71

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