La storia della Banca Capasso di Alife. In 101 anni mai un bilancio in rosso
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Tra i due abbiamo scelto di andare trovare Capasso anche se forse era più agevole arrivare a Hong Kong.
Questa banca del sud merita perché: 1) ha 101 anni di storia e 101 bilanci in utile, compreso il 2013 ; 2) il core tier 1 (parametro che misura la solidità patrimoniale) supererà anche quest’anno il 40% quando normalmente le banche devono sudare le famose sette camicie per arrivare al 10%; 3) tra i soci c’è un ex alto dirigente della Vigilanza della Banca d’Italia.
Alife è un paese di 7.600 abitanti ai piedi del Massiccio del Matese, confine tra Campania e Molise. La sede di Banca Capasso Antonio, appena ristrutturata (non da Foster), dà una sensazione di efficienza svizzera. Se entrando in banca si chiede dell’amministratore delegato a un tizio che gira in scarpe da ginnastica e magliettina grigia con stampato «I like to ride my bicycle», occhio perché è quello l’amministratore delegato. Salvatore Capasso, 57 anni, ha più figli (sei) che filiali (tre), è un appassionato cicloturista, possiede il 40% di un istituto che il suo avo Antonio fondò, ventiquattrenne, nel 1912. Complessivamente la famiglia ha il 100%. La banca, nel suo piccolo, va bene, è sana, solida, moderna, ha una governance evoluta e un bilancio che per chiarezza e trasparenza supera parecchie colleghe quotate in Borsa. Nel 2013 la raccolta è stata di 125 milioni, 60 gli impieghi, un milione l’utile netto, patrimonio oltre i 30 milioni, crediti deteriorati sotto la media e con coperture sopra la media. Da domani la banca avrà un suo sito web. I clienti sono famiglie e piccole imprese. «La campagna – dice Salvatore Capasso – nei momenti difficili sopravvive più della città». La crisi si sente ma la terra, in effetti, non può fallire. E la criminalità? «Questo è un territorio vergine».
La banca ha radici in quest’area e spalle larghe per sostenerla. Spalle larghe costruite con una politica di continuo rafforzamento patrimoniale. Una norma dello statuto stabilisce che almeno il 40% degli utili annuali sia destinata a riserva. Ma in realtà a patrimonio va mediamente il 70%: i soci hanno sempre rinunciato ad arricchirsi con i dividendi per arricchire la banca. Pochi dividendi ma alti stipendi? No, Capasso guadagna 48 mila euro da amministratore delegato e 33.600 come consigliere. Il ticket restaurant per i più alti in grado (1 dirigente e 4 quadri) è 3,08 euro che a Hong Kong ci paghi sì e no il coperto ma «da Clara» è sufficiente per un pasto leggero.
Detto questo, chi sono i fratelli Ferdinando (50 anni) e Domenico (53) Parente che hanno il 36% del capitale? Sono cugini di Salvatore e figli di una Capasso che sposò il beneventano Parente trasferitosi a Roma a lavorare come bibliotecario. I due figli hanno vissuto e studiato nella capitale. Ferdinando è entrato per concorso in Banca d’Italia poi ha fatto carriera fino a diventare responsabile della Vigilanza a Milano. È in quel momento che eredita con il fratello il 36% della banca. Nasce un potenziale conflitto di interessi. Ferdinando si consulta con i vertici di Via Nazionale: non c’è soluzione. E lui tra Banca d’Italia e Banca Capasso sceglie Banca Capasso. Oggi è consulente d’azienda, consigliere di Banca Sella e docente alla Liuc di Castellanza (Va). Lui i biglietti da visita li ha. Il cugino di Alife, amministratore delegato, no: «Che me ne faccio? Mi conoscono tutti!».
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