Partiamo da un punto fermo.
Checco Zalone non è un comico. Checco Zalone è una maschera comica (e drammatica insieme). Checco Zalone non porta mai se stesso sul palco ma una rappresentazione della società, la peggiore possibile. Non parla di sé ma di noi. Non fa battute, le incarna, presta loro corpo e voce. È un Sordi minore se vogliamo, ma quella è la sua cifra, quello il suo campo da gioco. È un Fantozzi dei nostri tempi. Ieri il bersaglio era la piccineria impiegatizia e l’annientamento sociale dell’individuo, oggi sono le ipocrisie, l’ignoranza becera e inconsapevole, il tartufismo dilagante.
Può piacere o meno, però quello fa Checco Zalone da 20 anni, con maggiore o minore esito, più o meno efficacia. Ma quello è, ed è su questa precisa faglia che andrebbe letta e giudicata la sua performance.
Checco Zalone è un genio. E quello di ieri è stato Zalone nella sua essenza, cioè geniale.
Però. C’è un però.
Se un’intera comunità di persone si è sentita colpita nell’intimo per quell’insistenza ossessiva sui più vieti e pesanti luoghi comuni sull’omotransfobia, quello è un fatto che non si può in alcun modo ignorare.
Se milioni di persone in buona fede e lontanissime dall’omofobia non hanno colto il senso della performance, non può essere solo “colpa” del pubblico.
Se una gag, uno sketch, un monologo arriva così macroscopicamente lontano dall’obiettivo della sua satira, allora significa che hai perso il contatto diretto col tuo pubblico o una parte non trascurabile di esso. E questo è un punto non eludibile per qualunque artista, di ogni tipologia e a ogni latitudine.
Se gli applausi arrivano più da Adinolfi che da Luxuria, allora una domanda deve sorgere. Poi puoi farci quello che vuoi, ma non puoi non fartela.
L’esibizione sanremese di Checco Zalone, alla fine, è stata ancora una volta una straordinaria occasione di riflessione su cos’è la satira oggi, quale il suo ruolo ai tempi dei social, quali le sue dinamiche più sottili, quale il suo bersaglio, il suo senso profondo.
Checco Zalone è servito a noi, per scavarci dentro, capire chi siamo e cosa non vogliamo essere.
Ma credo che servirà, e tanto, soprattutto a lui, per capire a quale parte di noi non è riuscito ad assomigliare.
Lorenzo Tosa
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