La storia americana è disseminata di eremiti fuggiti dalle grandi città e ritirati tra boschi, paludi e deserti. Una storia legata anche alla conquista del West. Da ex galeotti a persone in cerca del silenzio ecco le storie di alcuni di loro
Gli Stati Uniti sono un Paese incredibilmente vasto e soprattutto incredibilmente vuoto. Basta fare un viaggio, atterrare a New York e prendere la via dell’Ovest. Mano a mano che ci si allontana dalla costa, i centri urbani, super popolati, lasciano spazio a distese vastissime e disabitate. Ancora oggi fuori dal raggio di quelle che furono le Tredici colonie la popolazione scarseggia. Un posto fatto di deserti e praterie, montagne e vaste distese dove per centinaia di chilometri si rischia di non incontrare nessuno. Il posto perfetto per perdersi, il posto perfetto per scomparire.
La storia americana, soprattutto quella più recente, è fatta di tanti piccoli eremiti che si sono appartati lontano dalle coste, dai grandi centri urbani, o dai ricchi sobborghi borghesi appoggiati a ridosso delle megalopoli statunitensi.
Poco conosciuto in Italia e in Europa, Henry David Thoreau è considerato uno dei più noti scrittori americani dell’ottocento. Teorico della non violenza e ambientalista convinto, nel luglio del 1845 decise di sparire per “andare a vivere nei boschi”. La citazione non è casuale. Basta aver visto L’attimo fuggente, pellicola del 1989 diretta da Peter Weir e impersonata da Robin Williams, per averne un’idea: “Andai nei boschi perché volevo vivere con saggezza, in profondità, succhiando tutto il midollo della vita, per sbaragliare tutto ciò che non era vita e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto”.
La citazione proviene proprio da un testo di Thoreau, Walden ovvero Vita nei boschi, nel quale lo scrittore-eremita raccolse pensieri e riflessioni, e soprattutto la sua diretta esperienza nel vivere isolato in mezzo alla natura, sulle sponde del lago Walden in Massachusetts. Ignorato per quasi mezzo secolo, quel libro venne riscoperto dopo gli anni ’50 grazie alle Beat generation e ai movimenti successivi degli anni 60 e 70.
La conquista del West
Thoreau per molto tempo ha incarnato la figura perfetta dell’eremita, ispirando altre persone a fare come lui, facendo dell’America uno dei luoghi in cui era più facile trovare persone che si ritiravano dalla foga della società per cercare riparo nell’isolamento. La verità, come sempre, è che non basta il pensiero di una sola persona e convincere gli altri, ma un humus culturale, storico, che favorisca il processo.
Molti storici hanno sottolineato come il concetto di “americano”, o meglio di “statunitense” nasca come categoria nel momento in cui gli europei sbarcati nella costa est iniziano il lungo viaggio a occidente. È in quelle valli selvagge e pericolose che nasce l’americano, scrive Frederick J. Turner nel suo saggio La frontiera nella storia americana. Per Turner l’europeo che si addentra nella prateria, nei boschi, che commercia pellicce e sfida i nativi “diventa” americano e facendolo acquista un rapporto diverso col territorio. Un rapporto fondato sulla violenza, ma anche sulla solitudine e sul rapporto con la natura. Quindi un contesto ideale per la nascita di moderni eremiti alla Thoreau.
Il bosco
Lo scenario perfetto per questi eremiti è sicuramente il bosco, la foresta. Immortalato in decine di film e libri, è il santuario laico per la solitudine. Ne sa qualcosa Christopher Knight. Nel 1986 l’allora 20 enne prese la sua auto e si addentrò in una delle tante zone boscose del Maine, poco dopo abbandonò la sua auto, raccolse le poche cose che si era portato, per lo più attrezzatura da campeggio, e si inoltrò ancora più in profondità nel bosco dove sparii per 27 anni.
Poi nell’aprile del 2013 ricomparve dal folto della foresta, in manette. Le guardie forestali l’avevano trovato non lontano da un lago chiamato North Pond e l’avevano fermato perché lo ritenevano responsabile di circa un migliaio di furti avvenuto ai danni di alcune case posizionate a ridosso dei boschi. Dopo aver scontato circa otto mesi di carcere Knight è tornato in libertà e il giornalista Michael Finkel ha raccolto la sua storia in un libro. Per quasi tre decadi l’eremita di North Pond aveva vissuto in una tenda tra gli alberi, si era cibato di quello che trovava e aveva svaligiato piccole baite in cerca di un po’ di cibo, torce elettriche e libri.
Per il resto del tempo si era dedicato alla lettura, alle passeggiate, soprattutto quelle nel cuore della notte in inverno per non rischiare di morire assiderato, e alla contemplazione della natura. Finkel ha cercato molto spesso di capire le ragioni dietro la fuga, ma su questo fronte l’eremita del Maine non è mai stato molto specifico. “Chris ha detto che si sentiva molto a disagio a stare con altre persone”, ha raccontato il giornalista, “All'inizio avevo pensato che potesse esserci stata un'azione scatenante specifica, magari un crimine, ma ha insistito sul fatto che non c'era niente del genere. Ha spiegato che la decisione di stare da solo derivava da una forza gravitazionale, che spingeva tutto il suo corpo dicendogli che si sentiva più a suo agio stando da solo”.
L’aspetto forse più significativo è stato il suo rapporto con la noia. Spiega ancora Finkel: “Non si è mai annoiato nemmeno per un momento, in tutti i 27 anni. Non è mai stato solo. Ha detto che si sentiva quasi l’opposto, che si sentiva intricato e connesso al resto del mondo. Chris sentiva una comunione assoluta con la natura e con il mondo esterno”.
Questa storia è emblematica di quelle che sono avvenute prima e nel mezzo. Se cambiamo quadrante e ci spostiamo nel Grande Nord dell’Alaska ci sono almeno altri due episodi degni di nota. Il primo è quello di Richard Proenneke. Ex marinaio della Us Navy e meccanico decise di ritirarsi tra i boschi dell’Alaska nel 1968. Il suo fu un ritiro più soft di quel di Knight perché continuò ad avere contatti con amici e familiari ma sempre più rarefatti fino al 1999 quando lasciò l’Alaska per la California.
Il Last Frontier State però porta alla mente anche la storia di Christopher McCandless, il giovane morto nel “Magic Bus” tra le foreste dello Stampede Trail raccontato in un libro e nel film di Sean Penn, Into the Wild. Dopo aver vagabondato per l’America circa 2 anni rimase da solo per circa tre mesi in completo isolamento in una radura per poi trovare la morte verso la fine dell’estate per un presunto avvelenamento dovuto a semi di patata.
Il bosco ha chiamato a sé anche una delle poche eremite donna che ci conoscono, Dorothy Molter. Nata in Pennsylvania nel 1930 decise di stabilirsi a Isle of Pines, un’isoletta immensa nei boschi in uno dei tanti laghi del Minnesota che si trovano lungo il confine tra Stati Uniti e Canada. Qui la Molter dopo una breve convivenza con l’unico abitante dell’isola rimase sola nel 1949. Per anni fu l’unica residente della Boundary Waters Canoe Area Wilderness, un’area selvaggia di oltre un milione di acri coperta di acqua e boschi e allora disabitata.
Dorothy rimase lì fino al 1986 anno della sua morte, ma per diversi decenni i suoi contatti rimasero pochissimi, alcuni escursionisti e visitatori nel corso dell’estate e poco altro. Di lei resta però la casa in cui ha vissuto, senza acqua né corrente, nella quale produceva birra da vedere ai viandanti.
Paludi e deserti
I boschi, però, non sono stati i soli ad attirare eremiti. È il caso ad esempio della storia di Jean R. Guilhot. Nato in Francia Guilhot arrivò nel Nuovo Mondo a cavallo del secondo, nel 1898. Come ha ricostruito il Sun Herald, Guilhot passò un periodo nel penitenziario di Eastern State, a Philadelphia. Dopo essere uscito, nel 1920 circa, lasciò perdere le sue tracce per un po’ per poi riapparire a Biloxi, in Mississippi come coltivatore di ostriche.
Lì decise di spostarsi a Deer Island, un’isola di circa 400 acri abitata da poche famiglie che però se ne andarono già nel 1947 dopo che un violento uragano distrusse gran parte delle case. A quel punto Guilhot fu l’ultimo a rimanere, vivendo in una baracca di fortuna. Questo gli fece guadagnare il soprannome di “Eremita dell’isola dei cervi” e lo fece diventare, suo malgrado, un’attrazione locale cosa che gli permise anche di ricevere riferimenti e cibo. Morto nel 1959, all’età di 81 anni, è rimasto l’ultimo (e unico) abitante dell’Isola che ancora oggi rimane disabitata.
Destino simile anche per un altro eremita del mare: Robert Harrill. Fuggito nel 1955 da un istituto psichiatrico dov’era stato rinchiuso dopo un divorzio burrascoso, trovò rifugio nella Fort Fisher Recreation Area. Lì si stabilì in un’area costiera nel Nord Carolina, più precisamente in un bunker in cemento armato costruito come avamposto di osservazione durante al Seconda guerra mondiale e nel quale visse in solitudine per una ventina d’anni cibandosi soprattutto di frutti di mare. Non visse completamente isolato dato che in breve tempo divietò anche lui un’attrazione locale. Morì nel 1972 in circostanze mai del tutto chiarite. Come racconta The Archive, il suo decesso venne derubricato come semplice infarto, ma altri sostengono che dove venne ritrovato il corpo erano presenti segni di lotta e che forse Harrill non era solo.
Ovviamente rintracciare eremiti “vivete” è ancora più complicato. Ci ha provato qualche anno fa Paul Willis sul Guardian. Nel suo racconto ha spiegato come rintracciarli sia molto complesso, molti non vogliono contaminare la solitudine, altri danno appuntamenti ma poi non si presentano. Alla fine, ha raccontato Willis, l’unico modo di trovare qualcuno era provare a seguire le leggende locali. Alla fine a Gila Wilderness, una vasta area del New Mexico spuntò Doug Monroe. L’uomo ancora oggi vive in completa solitudine lontano una decina di miglia dal primo centro abitato, in mezzo a una zona rocciosa che si può raggiungere solo da un lungo sentiero.
Rispetto ad altri ubriaconi o persone con evidenti problemi, Monroe ha dato l’impressione di essere un uomo posato, ha raccontato Willis. Un uomo affascinato dalla solitudine fin da ragazzo ma che solo dopo il 40 anni ha deciso scientemente di trasferisci in mezzo al nulla, con 150 dollari in tasca e poco altro. Oggi Monroe sopravvive anche grazie a donazioni locali che raccoglie solo una volta l’anno prima di ritirarsi, in solitudine a contemplare il silenzio.
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