23 Maggio 1498
Il frate Girolamo Savonarola muore sul rogo in piazza della Signoria a Firenze
Nato a Ferrara il 21 settembre 1452 da una famiglia di nobili origini, Girolamo Savonarola da piccolo fu orientato agli studi di medicina che ben presto abbandonò per diventare frate domenicano. Giunto nella Firenze di Lorenzo de’ Medici, l’allora capitale culturale della penisola chiamata dallo stesso Girolamo, il “cuore d’Italia”, nel maggio 1482 conquistò i fiorentini con le sue prediche appassionate. Fu amato a tal punto che alcuni suoi seguaci si organizzarono nella setta penitenziale dei “piagnoni” così chiamati per le lacrime versate durante i sermoni di Savonarola. Censore della corruzione e decadenza della Chiesa, predicava la penitenza come sola via di salvezza. Fortemente contrario ad ogni forma di lusso, che riteneva fonte di depravazione, faceva processare chi giudicava vizioso, organizzando dei “roghi delle vanità” ossia di opere d’arte, libri e strumenti musicali nella Chiesa e nella società. Personaggio complesso e discusso qual era,si oppose ai Medici, i signori di Firenze a sostegno della breve esperienza della Repubblica di Pier Antonio Soderini, celebre personaggio politico in una riforma della costituzione per cui la città nel 1494 fu sottoposta ad un regime “Demo-teocratico”. Al tempo la Chiesa Cattolica attraversava un momento di estrema decadenza e sotto la guida di Alessandro VI, pontefice dal 1492 al 1503, questa aveva toccato nettamente il fondo. Lo spagnolo Alessandro VI, al secolo Rodrigo de Borja italianizzato in Borgia, dopo essersi comprato il conclave, aveva trasformato Roma in una città-bordello che poi Lutero paragonò a sodomia. Il critico più aspro fu proprio Girolamo Savonarola, che verso la Chiesa di allora non usava giri di parole: "Nella lussuria ti sei fatta meretrice sfacciata, tu sei peggio che bestia, tu sei mostro abominevole". Alessandro VI inizialmente lasciò dire, poi definì le tesi di Girolamo una “perniciosa dottrina, con scandalo e iattura delle anime semplici” e poiché le anime vanno tutelate, finì che il frate ribelle fu scomunicato il 12 maggio 1497.
C’è da dire che Alessandro VI in persona non si macchiava mai le mani di sangue, lasciava che lo facessero altri, in primis suo figlio Cesare Borgia, detto il Valentino, nominato cardinale nel 1493 e spretato nel 1497. Nel caso di Girolamo Savonarola, lasciò piena decisione ai fiorentini. Venutogli meno l'appoggio francese, fu messo in minoranza rispetto al risorto partito dei Medici che nel 1498 lo fece arrestare e processare per eresia. La cattura del frate, barricatosi coi confratelli in San Marco, fu particolarmente cruenta: la domenica degli Ulivi il convento fu assediato dai "palleschi", i fautori del partito mediceo e antisavonaroliano, mentre la campana "Piagnona" suonava invano a martello; la porta del convento fu messa a fuoco e il convento preso d'assalto per tutta la notte, con scontri tra i frati e gli assalitori. In piena notte Savonarola fu catturato e trascinato fuori dal convento con fra Domenico Buonvicini, attraversando al lume delle torce via Larga verso palazzo Vecchio, dove entrò per il portello. Nel chinarsi un armigero gli calciò il fondo schiena schernendolo: "Ve' dove gli ha la profezia!". Fu rinchiuso nell'Alberghetto, la cella nella torre di Arnolfo e subì interrogatori e torture. Il processo fu palesemente manipolato: Savonarola subì la tortura della corda, quella del fuoco sotto i piedi e fu quindi posto per un'intera giornata sul cavalletto, riportando lussazioni su tutto il corpo. Alla fine venne condannato a essere bruciato in piazza della Signoria con due suoi confratelli, Domenico Buonvicini, da Pescia, e Silvestro Maruffi, da Firenze. All’alba del 23 maggio 1498, prima dell’esecuzione Savonarola fu sconsacrato sulla ringhiera dei Signori (davanti a Palazzo dei Priori, oggi Palazzo Vecchio) davanti a dove erano riuniti i commissari apostolici nominati da papa Alessandro VI. Fra le urla della folla la condanna a morte fu eseguita mediante impiccagione. Il rogo fu acceso in un secondo tempo per distruggere le spoglie del frate ed evitare che fossero venerate. La forca innalzata per impiccare Savonarola e i suoi due confratelli aveva l’aspetto di una croce e una serie di catene di ferro reggevano i corpi per evitare che cadessero durante il rogo. Le ceneri dei tre frati, del palco e d'ogni cosa arsa furono portate via con delle carrette e gettate in Arno dal Ponte Vecchio.
CroniStoria
Nessun commento:
Posta un commento