sabato 24 luglio 2021

Come i sovietici, anche gli americani lasciano l’Afghanistan a mani vuote

 


 

La storia delle invasioni dell’Afghanistan da parte di due superpotenze è piena di similitudini.

Nel 1988, mentre si preparava a lasciare l’Afghanistan, l’Unione Sovietica incrementò gli aiuti economici e militari destinati al governo di Mohammad Najibullah, e questo nonostante Mosca fosse consapevole che le richieste di nuove armi erano illegittime e basate su numeri gonfiati. Michail Gorbačëv e il suo Politburo si sentivano in colpa e volevano ricompensare i loro “amici afgani” (espressione che nei documenti ufficiali dell’epoca indicava Najibullah e i suoi sostenitori) per averli abbandonati alla furia dell’opposizione, addestrata, armata e finanziata dagli Stati Uniti.

Gorbačëv era inoltre consapevole di una quesitone legata alla dignità. “Disse spesso che non potevamo tirarci su i pantaloni e scappare, come avevano fatto gli americani in Vietnam”, ha ricordato nel 2009 il suo consulente per la politica estera Anatolij Černjaev.

I sovietici impiegarono oltre tre anni a lasciare l’Afghanistan dopo aver preso la decisione definitiva. Quando consegnarono la basi e l’equipaggiamento militare, le procedure furono piuttosto elaborate. I nuovi proprietari locali ricevettero caserme immacolate e armi appena testate. Il generale Boris Gromov, a capo del ritiro, ha ricordato nelle sue memorie (The limited contingent) il modo in cui furono lasciati il presidio di Jalalabad e la relativa caserma: “I letti erano in perfetto ordine. Anche i tappetini scendiletto erano nella posizione adeguata. C’erano pantofole sotto gli armadietti. La caserma conteneva tutti gli equipaggiamenti necessari. L’acqua corrente arrivava senza la minima interruzione”.

Oggi gli Stati Uniti partono dall’Afghanistan e vorrebbero completare il ritiro pochi mesi dopo la decisione finale presa dal presidente Joe Biden. Washington sembra più preoccupata dei sovietici dalla possibilità che le sue armi finiscano in mano ai probabili nuovi padroni del paese. I soldati, infatti, stanno distruggendo molti equipaggiamenti, e parte di ciò che gli americani stanno lasciando in Afghanistan è inutilizzabile, per scelta o per caso. Per esempio le automobili e i camion vengono abbandonati senza le relative chiavi. Inoltre gli Stati Uniti non sembrano particolarmente legati all’idea di un addio elaborato, almeno a giudicare dalla partenza notturna e inattesa dalla base aerea di Bagram, dove gli americani si sono limitati a tagliare la corrente elettrica (e di conseguenza la fornitura idrica) prima di andarsene.

Ma più le cose sembrano diverse e più restano uguali. Il pulitissimo presidio sovietico di Jalalabad fu saccheggiato poche ore dopo la partenza dei russi. “Tutti gli oggetti di qualche valore – televisori, attrezzature audio, condizionatori, mobili, persino i letti – furono venduti nel mercato cittadino”, scrive Gromov. La stessa scena si è ripetuta a Bagram pochi minuti dopo la partenza degli statunitensi: i saccheggiatori hanno fatto irruzione e si sono portati via tutti gli oggetti di valore che sono riusciti a trovare.

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Foto Rawpixel

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