Cari compagni, care compagni,
Sabato 10 Luglio Massimo Pompili è stato eletto nuovo segretario
della
Federazione di Roma.
Pompili, che prende il posto di Nicola Zingaretti eletto al
Parlamento
Europeo, ha ottenuto oltre l'80 per cento dei consensi dei votanti.
Il neo segretario è un dirigente popolare, molto noto tra i DS romani,
e'
stato per molti anni nei banchi del Campidoglio dove ha ricoperto
l'incarico
di Presidente della Commissione Urbanistica, quindi e' stato eletto
parlamentare nel 96, per poi dedicarsi all'attivita' di partito.
Allego la sua releazione all'assemblea congressuale dei DS di Roma
svoltasi
Sabato scorso.
Ciao a tutti
Lorenzo Sornaga
Intervento di Massimo Pompili
Care compagne e compagni,
non è facile intervenire in questa sede.
Nella quale, magari, molti si attendono parole impegnative e convincenti
ed
io, com’è giusto, mi sento un po’ sotto esame.
Ho scelto, così, di non dilungarmi in dettagliati programmi (nel
prossimo
futuro sarà questo uno dei nostri compiti fondamentali, anche a
livello
nazionale), è una priorità battere la destra e tenere unita la
coalizione.
Non ripeto, quindi, analisi politiche che a Roma abbiamo già svolto
nell’
ultima direzione federale proprio sulla base di una mia relazione e
che
continueremo a svolgere dopo la direzione nazionale.
Voglio, invece, in questa sede esporre alcuni intenti generali, che
possano
dare anche il senso di uno stile di direzione, di una cultura politica,
di
una concezione del Partito che vorrei sottoporre al vostro giudizio.
Parto dalla considerazione che noi avremo di fronte mesi molto
impegnativi.
Le elezioni regionali, decisive anche per Roma.
Le elezioni politiche, che non escludo possano essere anticipate.
Il tutto, in un clima teso e confuso del Paese. Con una crisi evidente
ed
irreversibile di Berlusconi, che approfondisce il disorientamento generale
e
toglie ogni residuo punto di riferimento e guida all’Italia.
Tutto ciò comporta grandi responsabilità per noi e per tutto il
centro
sinistra.
Rende stringente il tema della credibilità e della forza di una
alternativa.
Bene.
Da Roma dobbiamo fare, ancora una volta, la nostra parte.
Noi siamo orgogliosi di rivendicare un lungo ciclo riformista ed una
sorta
di “modello Roma”.
Questo significa, però, essere attivi (e non semplici esecutori) nei
passaggi politici decisivi che ci stanno dinnanzi.
Le stagioni più belle del partito romano, sono state proprio quelle
nelle
quali, con misura, ma con coraggio e autonomia, abbiamo saputo
esprimere
contributi originali, idee nuove, sperimentazioni anticipatrici.
Vorrei che restassimo, nel futuro, su questo terreno fertile.
E vorrei, anche, che non si perdesse mai un ancoraggio decisivo di
ogni
nostra impostazione politico-programmatica.
Oggi esso rivive bene nell’azione di Veltroni, in questa sua capacità
di
mettere insieme la giustizia e la solidarietà con l’innovazione, la
modernità, il futuro.
L’ancoraggio che intendo è che noi siamo sinistra perché abbiamo il
compito,
ci siamo dati il compito di svolgere un lavoro incessante, continuo
di
riequilibrio dei rapporti di forza (attraverso la politica e la
democrazia)
tra chi sta sotto e chi sta sopra nella scala sociale, tra chi comanda e
chi
obbedisce, tra chi ha il potere e chi non ce lo ha.
E questo a Roma significa, in primo luogo, non far perdere mai al partito
le
sue radici popolari, il contatto con gli strati più deboli,
disagiati,
poveri.
So che spesso questi strati si infiammano di demagogia e qualunquismo, o
si
spengono nella rassegnazione.
Ma da essi non si può prescindere per qualsiasi azione di cambiamento e
in
essi, a certe condizioni, vi è una generosità, una intelligenza, una
passione democratica straordinaria e sempre decisiva nella storia di
Roma
per realizzare le fondamentali conquiste civili e di libertà.
Un partito popolare, dunque, ma aperto, innovativo, egemone.
In grado di dialogare anche con l’insieme della società.
Un tempo si sarebbe detto: un partito di intellettuali e popolo.
Certo tutto è cambiato. Ma questa espressione rende bene l’idea.
Oggi gli intellettuali sono centinaia e centinaia di tecnici, di
ricercatori, di operatori della cultura, di liberi professionisti che
sono
cresciuti con il crescere delle funzioni moderne di Roma Metropoli.
Sono
cresciuti, quindi, anche grazie a noi. Che abbiamo modernizzato Roma.
E il popolo si è trasformato. Ci sono mille stratificazioni.
Tanto che sarebbe meglio parlare dei popoli della città.
Ma l’alleanza tra queste due parti di Roma resta strategica per vincere
e
governare.
Noi l’abbiamo cercata questa alleanza, abbiamo vinto e governato.
E attorno ad essa abbiamo costruito un rapporto di fiducia con
settori
produttivi, imprenditoriali, professionali, tradizionalmente moderati o
di
destra.
Così dovremo fare nel futuro.
Consapevoli che nella storia del partito romano quando sono prevalse
logiche
interne, apparatizie, burocratiche, si è andati sempre incontro a
divisioni
e a sonore sconfitte.
Quando, invece, ha prevalso la creatività intellettuale, la curiosità
verso
il nuovo e un rapporto di ampio respiro e fiducioso con la società,
abbiamo
conquistato risultati importanti.
Saremo aiutati, in questo lavoro, dalla presenza di Veltroni.
Un Sindaco eccellente.
Rispettoso della voce, dell’azione, dell’autonomia del Partito. E di ciò,
in
questa occasione, lo voglio affettuosamente ringraziare ancora.
Occorre lavorare, perché nei prossimi anni, tale reciproca autonomia
venga
mantenuta e difesa.
Tuttavia, nella consapevolezza più profonda che siamo una sola
squadra,
unita e dedita al bene della città e dell’Italia.
Quindi ogni presa di distanza furbesca, tattica, ogni gioco politicistico
a
fronte dell’enormità del compito di governare Roma, avrebbe il fiato
corto.
Siamo, appunto, squadra, perché è giusto così e perché questo Sindaco
lo
merita.
In questo quadro al partito spetta, in particolare, lo dico anche a
partire
dalla mia lunga esperienza di militanza a Roma, cimentarsi su tre
fronti
fondamentali.
La battaglia generale, ideale, sociale e politica.
Il partito romano è un pezzo fondamentale del partito nazionale.
Contribuisce, da vicino, a svilupparne la linea.
Talvolta l’anticipa.
Naturalmente ciò comporta onori ma anche oneri.
Togliatti amava ripetere che per un dirigente in Italia le due
postazioni
più difficili (oltre quella, com’è ovvio, del Segretario Generale) erano
il
direttore dell’Unità e il segretario della Federazione di Roma.
Sull’Unità
non saprei dire, per il Segretario della Federazione di Roma penso
che
ancora oggi sia vero.
In questi anni, con la segreteria di Nicola, abbiamo svolto il nostro
compito egregiamente.
E di questo il merito è soprattutto suo. Siamo stati l’anima dell’Ulivo.
Ma
con spirito unitario e generosità, proseguendo un ciclo riformatore
che
questo nostro partito, tra mille difficoltà, ha inventato e ben
impiantato
dall’inizio degli anni ’90.
Dico generosità. Sì. Perché ci siamo spesi e abbiamo vinto con nostri
candidati, ma anche con candidati di altri partiti. E questo non ci ha
fatto
meno forti, semmai, più forti.
Non è un caso, in fondo, che proprio a Roma la Lista Unitaria, con ben
oltre
il 36% dei consensi, abbia ottenuto un successo così rilevante. Perché,
qui,
forse più che altrove abbiamo seminato un’osmosi reale tra le diverse
forze,
un intreccio di esperienze, ed una contaminazione reciproca. Non è stato
un
incontro tra apparati, ma tra persone protagoniste di una medesima
esperienza, nella quale ognuno ha portato la sua cultura.
Penso che sia proprio per questo che oggi Enrico Gasbarra sia voluto
essere
qui, tra di noi.
A rappresentare una classe dirigente romana unitaria, che ha i
medesimi
obiettivi e le medesime ambizioni.
Ma se il fronte della battaglia generale rimane prioritario, il
partito
romano ha almeno altri due compiti decisivi, come dicevo.
Primo. In rapporto con il gruppo consiliare, autorevolissimo in città e
in
Campidoglio, deve cimentarsi ancor di più sui temi di merito del governo
di
Roma.
Chi governa in prima persona, ha bisogno di un occhio terzo in grado
di
vedere con distacco i problemi, di creare il quadro di compatibilità
della
politica, di fare da aprighiaccio su decisioni spinose, di contribuire
a
definire gli scenari strategici.
Secondo. Questo lavoro va intrecciato allo sviluppo di un radicamento
organizzativo del partito nei quartieri di Roma.
A questo riguardo si è fatto molto.
Tanto che dopo la faticosissima campagna per le europee, centinaia di
volontari stanno gestendo la festa cittadina dell’Unità. Non mi
stancherò
mai di ringraziarli, perché essi garantiscono in queste settimane
estive,
una presenza politica del partito a Roma, che è esemplare per combattività
e
tenacia.
Tuttavia il radicamento non si acquisisce una volta per tutte. I
quartieri
cambiano. Le sezioni, spesso, non si trovano centrate rispetto ai
nuovi
insediamenti. O in certi casi, proprio a fronte delle inedite
stratificazioni sociali, e della realtà che muta, sentono l’esigenza
di
rompere il cerchio di un vecchio attivismo.
C’è da fare una analisi attenta, quindi, sul campo, per rafforzare un
radicamento. Che sia moderno, vitale, innovativo e che non si limiti
a
svolgere un ruolo solo propagandistico della nostra organizzazione.
Per mie caratteristiche personali, io vorrei poter dare un contributo
particolare su questi temi del governo e del Partito. E cercherò di
metterlo
a disposizione di tutte le compagne e i compagni con sobrietà e
misura.
Dunque, e vado a concludere, un partito di lotta, di combattimento; aperto
e
colto; modernamente radicato e in grado di governare.
Ma per fare questo occorre dire ancora qualcosa.
Vedete, e non lo dico per pura retorica, io intendo la mia
candidatura
davvero come servizio per il raggiungimento di alcuni obiettivi.
Chi mi conosce sa che se a qualcuno si addice l’appellativo di
mediano,
questo sono proprio io.
Il partito di Roma, dallo storico gruppo dirigente della metà degli anni
’
80, ha formato leader di grande autorevolezza.
Fino a Nicola.
E la nostra forza, se si riflette bene, è che queste personalità, pur
tra
mille difficoltà e collocazioni diverse, non hanno mai rotto un filo
unitario, un riconoscimento reciproco di stima, un codice di
comportamento,
una responsabilità comune di fronte alle prove difficili.
Ecco perché siamo una squadra, e siamo una squadra serena.
Il mio compito è di tenerla insieme, svolgendo, se ci sarà fiducia in me,
un
ruolo di regia unitaria.
Un ruolo di regia, con tre ambizioni.
Primo. Mantenere l’autonomia, la visibilità, il profilo originale, l’
autorevolezza della federazione romana.
Secondo. garantire che una nuova generazione di dirigenti cresciuti
nelle
sezioni, nelle zone, nell’esperienza di governo si affermi compiutamente
e
prenda in mano in prima persona la guida del Partito. Nicola ha fatto
emergere nuove e straordinarie leve. Sento come mia responsabilità
prioritaria garantire che esse possano esprimersi ancora più liberamente
e
pienamente.
Evitando verso di esse il doppio errore: quello dell’indifferenza o
della
cura paternalistica e pedagogica. Ma riconoscendo invece ad esse
fisionomia
e soggettività politica.
Terzo. Improntare la direzione politica ad un vero spirito pluralista.
Ma
non per buona educazione o per freddo rispetto delle regole. Ma perché,
se
non ascoltassimo tutte le anime e le energie del partito, saremmo più
deboli, più fragili, e non intercetteremmo pezzi fondamentali di società.
Il
pluralismo non è una concessione, è una necessità. E a me non sfugge,
pur
nelle differenze di analisi e di proposta che permangono, e che vanno
onestamente rimarcate, il contributo decisivo che a Roma le varie
componenti
del Partito hanno dato per la splendida vittoria delle europee. Ho
quasi
finito compagne e compagni.
Il nuovo gruppo dirigente, con questi indirizzi, dovrà affrontare la
discussione congressuale prevista per l’autunno. Ho visto che la
sinistra,
con intelligenza, ha affermato che non è in discussione il segretario
nazionale. Bene. Perché questo consentirà di discutere più liberamente
di
programmi, di cose concrete e del destino dell’Italia.
Ma bene anche, ad onor del vero, perché si riconosce di fatto una
stabilità,
serietà e forza della direzione nazionale garantita da Fassino.
Se siamo, qui oggi, a contare le vittorie, lo dobbiamo anche ad una
guida
generale che da tre anni con intelligenza e dedizione ha ridato slancio
alla
vita delle nostre strutture.
Facendo, anche in questo caso, dell’unità e del servizio, per tutti,
la
cifra fondamentale della nostra azione.
Prima delle europee, in fondo, i DS potevano egoisticamente prepararsi
ad
incassare un certo buon risultato di partito. Con un vantaggio per se
stessi
e un aumento di prestigio del proprio leader.
Fassino invece ha voluto spendere la nostra forza, e la sua forza, in
un
progetto più generale, in ambizioni più alte.
Ha fatto bene. Vedremo se gli altri, i nostri alleati, nel futuro
sapranno
stare all’altezza di questa politica, e di questi sentimenti.
Ma per noi, per la sinistra, per i DS è impossibile non pensare prima
di
tutto all’Italia, al suo futuro.
Siamo stati grandi per questo, siamo ancora decisivi per questo. E
questo
sta nel nostro codice genetico.
Occorre allora un nuovo protagonismo, oltre i gruppi dirigenti.
Di tutti i militanti, donne e uomini, che nonostante tante difficoltà
credono ancora ad un’azione politica disinteressata, pulita, rigorosa,
ricca
di ideali.
La squadra è qualcosa che va oltre noi stessi, oltre il Partito. Già
nell’
assemblea di oggi, e poi nel congresso, dobbiamo attingere più coraggio
per
aprirci ancor di più e parlare con chi è incerto, smarrito o è stato
abituato al silenzio.
Il Partito per noi non è un feticcio, non è uno strumento morto, non è
il
luogo dove accaparrare vantaggi. E’ uno strumento e un organismo
vivo.
E’ un’esperienza che ci permette di lottare per il domani cambiando
qualcosa
in meglio di ognuno di noi già oggi.
Alcuni ci domandano se serve ancora un partito così. E ci dicono di nò.
Di
mollare.
La loro tesi è che i conflitti sono sopiti e possono al massimo
esprimersi
con il linguaggio spezzato della rivolta corporativa.
Io dico che tutti i giorni ci accorgiamo invece che le cose stanno
diversamente. E che c’è una resistenza larga all’omologazione e una
forte
domanda di cambiamento.
Ho concluso davvero.
I cuori e la ragione parlano di nuovo socialismo. Come in Francia, come
in
Spagna.
Socialismo. Parola difficile, fraintesa. Parola in parte da
reinventare.
Ma essa è sospinta in avanti dalle urgenze della modernità e non va
contro
la modernità.
La partita, come abbiamo detto, si è riaperta alla Regione e nel
Paese.
Esige nuovo pensiero e, appunto, nuovo protagonismo.
Care compagne e compagni, facciamo la nostra parte per l’affermazione
di
questi ideali.
A Roma, in Italia e, oggi più che mai, in Europa e nel Mondo.
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