ROMA - Incapsulate in microsfere e collocate in una zona precisa, vicinissime al fegato. Per la prima volta al mondo, un trapianto di cellule pancreatiche (le insule, che sono addette alla produzione di insulina e la cui carenza determina l'insorgenza del diabete) è avvenuto realizzando queste due condizioni. Con un due enormi vantaggi: le capsule, in materiale biocompatibile, evitano il rischio del rigetto, mentre la nuova tecnica laparoscopica consente di rendere il rilascio dell'insulina prodotta estremamente efficace, tanto che la speranza è di arrivare a sospenderla totalmente nei diabetici così trapiantati. L'intervento è stato eseguito al Policlinico Umberto I di Roma dal direttore del Centro Trapianti dell'Umberto I Pasquale Berloco, dal professor Massimo Rossi dello stesso Centro e dal Gruppo Diabetologico dell'Università di Perugia coordinato dal professor Riccardo Calafiore. Il paziente è un uomo romano di 44 anni affetto da diabete di tipo I dall'età di 10 anni e le cellule utilizzate provengono dal laboratorio dell'Università dell'Illinois di Chicago. A chiarire la novità dell'intervento, lo stesso Berloco: "E' un metodo unico al mondo, al quale stiamo lavorando da 20 anni. In pratica, in precedenza le insule venivano direttamente iniettate negli organi addominali del paziente tramite iniezioni. In questo modo, però, l'organismo le classifica come elementi 'estranei' e il rischio è che si scateni la reazione del rigetto, per evitare la quale il paziente è costretto ad assumere pesanti farmaci immunosoppressivi per tutta la vita". Con la nuova tecnica, invece, le insule vengono 'incapsulate' in microsfere fatte di materiale biocompatibile (alginato): "L'organismo, in questo caso - spiega l'esperto - riconosce le microsfere come elementi non estranei". Risultato: viene evitato il rischio del rigetto e il paziente non ha dunque più bisogno di assumere i farmaci immunosoppressivi. Allo stesso tempo, le sferette sono in grado di assicurare il rilascio dell'insulina, essendo dotate di microfori. Ma l'intervento presenta anche un secondo elemento di novità, cioé l'utilizzo della tecnica laparoscopica: "In precedenza - chiarisce Calafiore - le insule venivano iniettate sotto la guida di un ecografo, ma in questo modo la sede dell'impianto non è ben visibile. Con la laparoscopia, invece, siamo in grado di collocare le cellule pancreatiche in punti precisi e avendo ben visibile il luogo dell'impianto". Un vantaggio enorme perché, in questo modo, le insule possono essere collocate esattamente nelle vicinanze del fegato (la prima sede dove agisce l'insulina), il che, sottolinea Calafiore, "consente un più efficace rilascio dell'insulina prodotta". La speranza, afferma, è quella di arrivare ad una totale sospensione dell'insulina nei pazienti così trapiantati (finora, con le 'iniezioni' di insule, si è riusciti a sospenderla solo in parte). A ciò si aggiunge il fatto che questo tipo di intervento, affermano gli specialisti, è molto poco invasivo o rischioso. E gli esiti sul primo paziente sembrano essere più che positivi: l'intervento è avvenuto ieri, ma l'uomo è già stato dimesso e già oggi, rileva Berloco, "il suo fabbisogno di insulina si è ridotto del 70%. Per avere dei dati definitivi, però, bisognerà attendere almeno 15 giorni". Il trapianto è avvenuto nell'ambito di una sperimentazione clinica della nuova metodica tutta italiana riconosciuta dal ministero della Salute: è previsto che vengano così trattati 10 pazienti, per una validazione del metodo. Una 'svolta' significativa, dunque, perché se il metodo si confermerà efficace, la speranza per i diabetici è di poter definitivamente guarire, senza essere più schiavi dei farmaci. "Bisogna però essere prudenti, perché non vogliamo assolutamente creare false illusioni in tanti malati - concludono all'unisono Berloco e Calafiore - ma i primi risultati lasciano ben sperare, anche se è ancora presto per una risposta definitiva, per la quale bisognerà attendere il termine della sperimentazione". (ANSA) |
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