LECCE
- «Cercavamo da anni la tomba di San Filippo e finalmente l’abbiamo
trovata nei pressi di una chiesa che abbiamo riportato alla luce negli
ultimi mesi»: così Francesco d’Andria, docente di Archeologia presso
l’Università del Salento, ha annunciato l’ultima importante scoperta
fatta dalla squadra di archeologi italiani da lui diretta. La tomba di
uno dei dodici apostoli è stata ritrovata a Pamukkale, in Turchia
(l’antica Hiérapolis). Una scoperta «di primaria importanza per
l’archeologia e il mondo cristiano», dice D’Andria.
«Un capolavoro dell’architettura bizantina del v secolo, frutto delle tradizioni locali nella lavorazione del travertino e del raffinato sapere di architetti legati alla corte imperiale di Costantinopoli». Prossimo obiettivo l’apertura della tomba, per ora rimasta chiusa. «Questo avverrà senz’altro, prima o poi», promette l’archeologo. Nel 2008 l'equipe italiana aveva già identificato il sepolcro dell'apostolo. «Da anni tentiamo di ritrovare la tomba del santo», conferma D'Andria.
La ricerca della tomba ha una storia lunga. La ripercorre lo stesso D’Andria in un articolo pubblicato su L’Osservatore Romano. «Già nel 1957, al momento della fondazione della missione archeologica italiana a Hierapolis, Paolo Verzone, docente di ingegneria del Politecnico di Torino, aveva posto con forza la questione portando alla luce sulla collina orientale, fuori le mura della città, una straordinaria chiesa a pianta ottagonale», scrive l’archeologo. La pianta complessa inoltre fa riferimento alla simbologia dei numeri: gli otto lati del corpo centrale, il quadrato che ingloba l’ottagono, i cortili triangolari, le cappelle a sette lati sviluppano una sottile trama di riferimenti teologici. Verzone aveva identificato nell’ottagono il Martyrion di san Filippo e qui aveva cercato la tomba, ma senza risultati».
I lavori nell’edificio ripresero nel 2001 e si tornò a scavare, ma le ricerche non portarono granché.
Quest’anno la campagna di scavi della missione archeologica italiana a Hierapolis si è concentrata su un pianoro a pochi metri di distanza dall’Ottagono. «Qui - spiega l’archeologo leccese - emergeva, da un immane cumulo di pietre e di marmi lavorati, la parte superiore del frontone in travertino di una tomba a sacello di età romana. Era un fatto normale - dice ancora D’Andria - poiché la zona era interessata da una vasta necropoli di questo periodo, ma intorno numerose erano le tracce di muri e i frammenti di marmo bizantini. Così gli scavi coordinati da Piera Caggia (Ibam-Cnr) hanno portato alla luce una grande basilica a tre navate: si sono rinvenuti capitelli in marmo con raffinate decorazioni riferibili al v secolo, croci, tralci vegetali, transenne traforate, fregi con palme stilizzate all’interno di nicchie. Inoltre il pavimento della navata centrale è realizzato a intarsi marmorei con motivi geometrici a colori molto variati».
Ma il fatto più straordinario - sono ancora parole del docente di Archeologia - è che questa chiesa a tre navate è costruita intorno alla tomba a sacello di età romana che costituisce il fulcro di tutta la costruzione: inglobata in una struttura su cui è una piattaforma raggiungibile attraverso una scala di marmo». Quanto questo luogo fosse frequentato dai pellegrini lo dimostra «l’alto grado di usura delle superfici marmoree», che dimostrano il passaggio di migliaia di persone «e gli stessi segni di usura sono sull’architrave della porta d’ingresso alla tomba dove il travertino è lisciato come l’alabastro».
«Un capolavoro dell’architettura bizantina del v secolo, frutto delle tradizioni locali nella lavorazione del travertino e del raffinato sapere di architetti legati alla corte imperiale di Costantinopoli». Prossimo obiettivo l’apertura della tomba, per ora rimasta chiusa. «Questo avverrà senz’altro, prima o poi», promette l’archeologo. Nel 2008 l'equipe italiana aveva già identificato il sepolcro dell'apostolo. «Da anni tentiamo di ritrovare la tomba del santo», conferma D'Andria.
La ricerca della tomba ha una storia lunga. La ripercorre lo stesso D’Andria in un articolo pubblicato su L’Osservatore Romano. «Già nel 1957, al momento della fondazione della missione archeologica italiana a Hierapolis, Paolo Verzone, docente di ingegneria del Politecnico di Torino, aveva posto con forza la questione portando alla luce sulla collina orientale, fuori le mura della città, una straordinaria chiesa a pianta ottagonale», scrive l’archeologo. La pianta complessa inoltre fa riferimento alla simbologia dei numeri: gli otto lati del corpo centrale, il quadrato che ingloba l’ottagono, i cortili triangolari, le cappelle a sette lati sviluppano una sottile trama di riferimenti teologici. Verzone aveva identificato nell’ottagono il Martyrion di san Filippo e qui aveva cercato la tomba, ma senza risultati».
I lavori nell’edificio ripresero nel 2001 e si tornò a scavare, ma le ricerche non portarono granché.
Quest’anno la campagna di scavi della missione archeologica italiana a Hierapolis si è concentrata su un pianoro a pochi metri di distanza dall’Ottagono. «Qui - spiega l’archeologo leccese - emergeva, da un immane cumulo di pietre e di marmi lavorati, la parte superiore del frontone in travertino di una tomba a sacello di età romana. Era un fatto normale - dice ancora D’Andria - poiché la zona era interessata da una vasta necropoli di questo periodo, ma intorno numerose erano le tracce di muri e i frammenti di marmo bizantini. Così gli scavi coordinati da Piera Caggia (Ibam-Cnr) hanno portato alla luce una grande basilica a tre navate: si sono rinvenuti capitelli in marmo con raffinate decorazioni riferibili al v secolo, croci, tralci vegetali, transenne traforate, fregi con palme stilizzate all’interno di nicchie. Inoltre il pavimento della navata centrale è realizzato a intarsi marmorei con motivi geometrici a colori molto variati».
Ma il fatto più straordinario - sono ancora parole del docente di Archeologia - è che questa chiesa a tre navate è costruita intorno alla tomba a sacello di età romana che costituisce il fulcro di tutta la costruzione: inglobata in una struttura su cui è una piattaforma raggiungibile attraverso una scala di marmo». Quanto questo luogo fosse frequentato dai pellegrini lo dimostra «l’alto grado di usura delle superfici marmoree», che dimostrano il passaggio di migliaia di persone «e gli stessi segni di usura sono sull’architrave della porta d’ingresso alla tomba dove il travertino è lisciato come l’alabastro».
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